Straniero, ma come un familiare

**Straniero, ma il più Vicino**

— Laura Signora, ma che dice?! Non si può fare così! — La voce di Marco Tremonti tremava di sdegno. — Io non sono un suo parente!

— E chi lo è, allora? — La donna si raddrizzò bruscamente, stringendo tra le mani un foglio spiegazzato dell’ospedale. — Mio figlio, che chiama una volta ogni sei mesi da Milano? O mia nipote, che si è dimenticata della nonna? Tu, invece, da tre anni passi a chiedermi come sto, mi compri le medicine quando non ho soldi!

Marco rimase impacciato nell’ingresso, spostandosi da un piede all’altro. Alto, curvo, con la barba grigia e gli occhi stanchi ma buoni. Era venuto quella mattina, come al solito, per sapere se serviva qualcosa dal supermercato, e invece…

— Ma la casa, non può intestarla a me! Cosa dirà la gente? I vicini cosa penseranno? — Tormentava nervosamente un vecchio berretto tra le mani.

— E a me non importa nulla di cosa pensano! — Laura entrò in salotto, sedendosi nella sua poltrona preferita accanto alla finestra. — Siediti, non restare lì come un grissino.

Marco si accomodò timidamente sul bordo del divano. Fuori, la pioggia di ottobre scivolava sui vetri, creando un senso di calore nella stanza. Sul davanzale fiorivano le violette — lui stesso le aveva portate in primavera, dicendo che a casa sua non sopravvivevano, ma forse qui avrebbero fatto felice la padrona.

— Ascoltami bene, — Laura incrociò le mani sulle ginocchia. — Ieri sono stata dal dottore. Ho il cuore messo male, la pressione salta. Dice che potrebbe accadere… insomma, sai.

— Non parli così! — Marco si spaventò. — Resterà qui ancora a lungo, io la aiuterò come sempre. Ci sono medicine nuove…

— Marco, — lo chiamò piano, e lui trasalì. Raramente usava il suo nome, di solito era più formale. — Capisci cosa intendo? Ho paura di morire sola. Una paura terribile. Con te vicino, invece, mi sento al sicuro.

Si erano conosciuti tre anni prima, in fila all’ASL. Laura aspettava per il cardiologo, afferrandosi il petto, respirava a fatica. Lui era lì per l’urologo. Vedendola in difficoltà, le offrì dell’acqua e rimase accanto a lei.

— Grazie, caro, — sussurrò allora Laura. — Sei una brava persona.

Poi scoprirono di vivere nello stesso quartiere. Marco iniziò a passare a trovarla, a chiedere come stava. Prima una volta a settimana, poi sempre più spesso. Lei gli preparava il pranzo, lui sistemava qualcosa in casa. Senza accorgersene, divennero indispensabili l’uno per l’altra.

Anche Marco aveva la sua storia. La moglie era morta cinque anni prima, un tumore. Non avevano avuto figli. Era rimasto solo, in un appartamento dove ogni oggetto parlava del passato. Aveva lavorato come meccanico in fabbrica, una pensione modesta, una vita tranquilla.

Il figlio di Laura, Luca, era partito per Milano subito dopo l’università. Programmatore, sposato, due bambini. All’inzia veniva per le feste, poi sempre meno. Chiamava a Natale e per il compleanno, domande di circostanza, promesse mai mantenute.

— È molto occupato, — giustificava Luca davanti alle vicine. — Il lavoro è importante. E i bambini sono piccoli, la moglie non sta bene…

Ma la verità era che il figlio si era dimenticato di lei. Non per cattiveria, la vita lo aveva travolto, e sua madre era finita in un angolo della mente. Lontana, con la pensione, ormai invisibile.

La nipote Sofia mandava qualche foto su WhatsApp. Occhi intelligenti, sorriso smagliante, ma estranea. La nonna quasi non la riconosceva.

— Marco, non hai mai desiderato dei figli? — chiese un giorno Laura, mentre bevevano il caffè in cucina, con una torta appena sfornata.

— Sì. Molto. — Mescolò lo zucchero nella tazzina. — Ma non è successo. Mia moglie, riposi in pace, era spesso malata. Poi era troppo tardi… Mi diceva: “Sposa una più giovane, abbi dei figli”. Ma come avrei potuto amare un’altra? Lei era… l’unica.

Laura gli prese la mano, la strinse.

— Sei un uomo speciale, Marco. Raro.

Lui arrossì, distolse lo sguardo.

— Non sono niente di speciale. Un uomo normale.

— No. Gli altri sono indifferenti. Tu invece hai un cuore che batte per tutti.

Era vero. Marco non sapeva voltare le spalle a chi soffriva. Nel palazzo, tutti lo chiamavano per qualsiasi bisogno. Un rubinetto rotto, una carrozzina da riparare, persino un gatto da accudire se qualcuno finiva in ospedale.

— Ti senti responsabile del mondo intero, — gli diceva Laura. — Ti consumerai così.

— E come fare altrimenti? — rispondeva, sorpreso. — La gente ha bisogno.

I vicini lo stimavano, ma a volte ridevano di lui: troppo buono, quasi un santo. Laura, però, sapeva che uomini così andavano protetti.

Anche lei aveva avuto una vita complicata. Bibliotecaria, sempre immersa nei libri, nei pensieri. Vedova giovane, aveva cresciuto Luca da sola, dedicandogli tutta se stessa. E lui era volato via, come un uccello dal nido. Una storia comune, ma non per questo meno dolorosa.

— Sai cosa mi ha ferito di più? — confessò una sera a Marco. — Non che se ne sia andato. I figli devono vivere la loro vita. Ma che sia diventato un estraneo. Mi chiama, e nella sua voce sento solo educazione, distacco. Come se parlassi con un conoscente qualsiasi.

— Forse non sa come fare altrimenti? — ipotizzò Marco. — Noi uomini siamo goffi in queste cose.

— No, Marco. Sa. Ma non vuole farmi entrare nella sua vita. Si vergogna di me, della madre di provincia. Sua moglie è milanese, i genitori professori universitari. Io solo una bibliotecaria di paese.

— Allora è un idiota, — sbottò improvvisamente Marco. — Scusi la franchezza, ma lo è. Vergognarsi di sua madre.

Laura lo guardò sorpresa. Marco non criticava mai nessuno, sempre pronto a giustificare. Ma quella volta…

— Non te la prendere per le mie parole, — si scusò. — Ma non lo capisco. Una madre è unica. Come si può voltarle le spalle?

— Siamo di un’altra generazione, Marco. Per noi la famiglia contava di più.

Ora erano di nuovo in salotto, e Laura riprendeva il discorso sul testamento. Marco continuava a torcersi il berretto tra le mani.

— Ascolta, — riprese lei. — Ho riflettuto bene. A Luca non serve questa casa, ha la sua vita. La venderebbe e basta. Tu invece ci vivresti, innaffieresti i miei fiori, forse aiuteresti qualcun altro. Tu sei così, non sai ignorare chi ha bisogno.

— Laura Signora, — sospirò. — Capisco che lo fa per generosità… Ma come sembrerà? Diranno che venivo da lei solo per interesse.

— E tu l’hai fatto per interesse?

— Ma che dice! Mai! Solo che… ero solo. Con lei, invece, c’era calore.

— E per me è lo stesso. Senza di te, ho paura. Capisci? Paura di morire sapendo che a nessuno importa.

Squillò il telefono. Laura si alzò, rispose.

— Pronto? Luca? — Il suo volto si illuminò. — Figlio mio, cheSi sedettero di nuovo in silenzio, mentre il sole illuminava le lacrime silenziose sulle loro guance, sapendo che l’amore più vero a volte arriva tardi, ma resta per sempre.

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