**Il test di parentela — fallito**
Elena mescolava freneticamente il latte nel porridge del bambino, mentre Vito tentava di costruire con i mattoncini “l’ascensore più alto del mondo”. A tavola, la suocera, Silvana Pavoni, tossicchiava — occhi grigi, lingua tagliente, avvolta in un accappatoio ricamato con galli.
— Guarda un po’, ha di nuovo le sopracciglia come strappate — borbottò, fissando il nipote — non una sola nostra caratteristica! Magari almeno le orecchie di suo padre…
— Mamma, ma guardami, neanch’io sono una copia di Daniele — sorrise Elena, allontanando la ciotola. — I geni sono una cosa imprevedibile.
— Imprevedibile o no, è strano — replicò la suocera, sparendo in cucina per il secondo bollitore.
Elena inspirò profondamente: “Resisti. Mancano quattro giorni a sabato”. Sabato sarebbe stato il sessantesimo compleanno di Silvana Pavoni. Elena aveva organizzato una festa-riappacificazione: ristorante “La Rosetta”, orchestra jazz vintage, torta a piani con fontane e — soprattutto! — un soggiorno di tre settimane nel centro termale “Pineta del Lago”. “Si riposerà e smetterà di cercare somiglianze”, sognava la nuora.
Quella sera, mentre controllava il preventivo, Daniele fece capolino nello studio:
— Ho ordinato l’album con le vecchie foto per mamma, arriverà entro sabato.
— Perfetto! Ma tienilo segreto, voglio vederla commuoversi.
— Ascolta, non prendere a male le sue parole — le disse — è buona, solo che ha la lingua tagliente.
— Lo so. Ma se dice ancora ‘non somiglia’… esplodo.
Daniele baciò Elena sulla testa e andò a controllare i compiti del figlio.
Giovedì mattina arrivò un corriere. Una ragazza in giacca gialla consegnò a Elena una scatola senza etichetta.
— È per lei. Firma qui.
Elena prese il pacco e lo posò in salotto accanto agli altri regali: la scatolina con una costosa sciarpa di seta, il sacchetto di miele di castagno, la busta con il voucher. Rimandò l’incarto a venerdì — la sorpresa doveva essere perfetta.
Il sabato mezzogiorno splendeva di sole primaverile. Nell’atrio de “La Rosetta” si sentiva il profumo di peonie e caramello. Silvana Pavoni entrò, sorretta galantemente dal figlio:
— Che sfarzo! Non ho lavorato quarant’anni per niente, allora.
— Solo per voi — sorrise Elena, ammiccando al cameriere per lo champagne.
Gli ospiti si sedettero, il sassofono iniziò a suonare. Le lanterne alle parete brillavano di un caldo ambra, cancellando gli ultimi segni di scetticismo dal viso della suocera. Elena captava ogni suo sospiro: “sembra felice…”.
A metà serata, portarono in tavola una torta monumentale, una fontana di scintille sibilò come un razzo, la sala applaudì. Elena, con mani tremanti, annunciò dal foglietto:
— E ora, il regalo più bello! — porse a Silvana la busta con il soggiorno. — Tre settimane di silenzio, massaggi e grotte di sale!
La suocera sussultò:
— Ma che scherzate! Non sono malata.
— Non solo i malati riposano — ribatté Daniele, abbracciandola.
Vito, accanto ai fiori, estrasse un piccolo plico argentato con la scritta “GENETIX | personale”.
— Mamma, è un altro regalo? — lo porse a Elena.
— Non è nostro — mormorò lei, riconoscendo il logo. — Rimettilo giù.
Ma Silvana Pavoni lo afferrò con un guizzo:
— Oh! Questo sì che è mio. Grazie, tesoro. — Lo aprì, estrasse due fogli e si bloccò, fissando i numeri. Le guance le si incendiarono.
— Mamma, cos’è? — Daniele cercò di sbirciare.
— Niente… — riuscì a dire, strappando i fogli.
Elena gelò: “Quel maledetto test del DNA?”
Dietro, un vassoio cadde con fragore. Gli ospiti si animarono, qualcuno accese la musica di “Tanti auguri” — il suono coprì l’imbarazzo, ma non per Elena: lo sguardo della suocera la bruciava da lontano.
Quella notte, quando Vito si addormentò, i coniugi si ritrovarono in salotto. Daniele stringeva il plico stropicciato.
— Mamma è uscita in lacrime. Tu sai cos’è? — Le porse il foglio. In alto, a caratteri cubitali: “Relazione nonna/nipote — 0% di probabilità di legame di sangue”.
— Non sono stata io! — sussurrò Elena. — L’ha ordinato lei. Volevo farle una festa, e invece… questa porcheria!
— Aspetta, ma i numeri… — Daniele si passò una mano sul volto. — Com’è possibile?
— Forse il test è falso. O l’ha fatto apposta.
— Mamma? Perché?
— Per provare la sua teoria del ‘non somiglia’. Farmi impazzire.
Daniele sospirò:
— Domani vado da lei, chiarirò.
La suocera lo accolse in accappatoio, con una pila di cartelle.
— Siedi. Ti spiego. — Estrasse un braccialetto dell’ospedale: “Rossi D.” e il numero della stanza. — L’ho tenuto come ricordo. Poco fa, cercando nell’album, ne ho trovato un altro! Vedi? — Ne mostrò un secondo, con un numero diverso. — Ho ordinato il DNA per iniziare dalle basi.
— Mamma, dimmelo chiaro: pensi che Vito non sia mio figlio?
— Sembra di no. Anzi, che tu non sei mio. — Un tremito le attraversò il sorriso. — Mentre festeggiavate, sono corsa a fare l’esame del sangue, pagato con la carta.
Daniele prese il foglio: “Relazione madre/figlio — 0%”.
— Mamma, ma tu mi hai partorito!
— Ho partorito un maschietto, sì. La mattina mi hanno mostrato te. Ma quell’anno c’era il caos in ospedale, spostavano i neonati. Credevo fossero leggende. Invece… non ho mai avuto figli miei. — Silvana non pianse, ma strinse le mani come per tenere insieme i pezzi di sé.
— Ferma. È un errore. Faremo un test ufficiale: io, te, Vito. E basta.
Lunedì, la famiglia andò al centro genetico. Vito, felice dell’”avventura”, mangiò caramelle dal distributore. Dopo quattro giorni, i risultati arrivarono.
In cucina, seduti come a un interrogatorio, Elena tremava, Silvana era rigida, Daniele aprì la busta.
— “Relazione padre/figlio — 99,98%”. — Daniele esalò, mostrando il foglio. — Vito è mio figlio, questo è certo.
Elena gli strinse la mano.
— Continuo. “Relazione nonna/nipote — 0%”. — Alzò gli occhi su Silvana. — E “Relazione madre/figlio — 0%”.
Il silenzio si spezzò come ghiaccio sotto i pattini.
— Quindi davvero non sei mio… — mormorò Silvana, ridendo all’improvviso. — Trentacinque anni nell’illusione! Incredibile.
Elena le si avvicinò:
— Ma voi avete cresciuto Daniele, lo amate…
— Amarlo? Senza di lui non respiravo! —E quella sera, mentre tutti dormivano, Silvana aprì l’album di famiglia e aggiunse una nuova foto accanto a quella di Daniele da bambino — un ritratto di Alex, il figlio che aveva ritrovato, sorridente e con gli stessi occhi grigi che finalmente riconobbe come suoi.