Il Pasticcio della Riconciliazione

**La Torta della Riconciliazione**

— Cecilia, lo giuro, se quel Signor Renato batte ancora sul pavimento, lo denuncio per molestie! — Marco, nell’ingresso, strofinava con furia le impronte delle zampe del cane sul linoleum. La voce gli tremava dalla rabbia, e la maglietta era zuppa di sudore nonostante la frescura della sera. Nerone, scodinzolando colpevole, masticava un giocattolo di gomma vicino alla porta.

— Marco, piano, i bambini dormono — Cecilia, seduta sul divano con il suo lavoro a maglia, si massaggiò le tempie. I ferri si fermarono, e sulle ginocchia le riposava un cappellino per bambini mezzo finito. — E niente denunce, è troppo. Lui è solo… pignolo. Gli parlerò io, cercherò di spiegare.

— Spiegare? — Marco lanciò lo straccio nel secchio, gli occhi che scintillavano. — Ieri nell’androne urlava che Nerone “puzza” e “rovina i suoi fiori”! Cecilia, il nostro cane non va nemmeno vicino alle aiuole!

— Lo so, lo so — Cecilia posò il lavoro a maglia, la voce dolce ma tesa. — Ma è il vicino, Marco. Se cominciamo una guerra, non avremo pace. Farò una torta, proverò a rabbonirlo.

Marco sbuffò, guardando Nerone che aveva lasciato cadere il giocattolo e ora leccava il pavimento.

— Una torta? — scosse la testa. — Va bene, prova. Ma se scrive un altro reclamo all’amministratore, non rispondo di me.

Marco e Cecilia, una giovane coppia con due figli — Luca di otto anni e Sofia di sei — vivevano in quel palazzo di cinque piani da cinque anni. Quando avevano preso Nerone, sognavano passeggiate allegre e risate di bambini, ma il pignolo vicino del piano di sopra, il Signor Renato, aveva dichiarato guerra al cucciolo. Ora il loro androne era diventato un campo di battaglia, e la casa odorava non solo di pelo di cane, ma anche di reclami.

Tutto era iniziato una settimana dopo l’arrivo di Nerone. Cecilia, tornando dalla passeggiata mattutina, notò che i gerani nei vasi all’ingresso, che il Signor Renato annaffiava con maniacale precisione, erano stati calpestati. Pensò fossero i bambini del quartiere, ma quella sera bussarono alla porta. Sulla soglia c’era il Signor Renato — magro, con la camicia stirata, un taccuino e una penna, come un investigatore in missione.

— Signora Cecilia, è stato il vostro cane a schiacciare i miei gerani? — La voce era secca, gli occhiali che luccicavano alla fioca luce della lampadina. — Li coltivo da tre anni, e ora sono ridotti a fango!

— Signor Renato, mi dispiace — Cecilia si confuse, trattenendo Nerone per il collare. — Ma è sempre al guinzaglio, lo teniamo d’occhio. Forse è stato qualcun altro?

— Qualcun altro? — Il Signor Renato strizzò gli occhi, annotando qualcosa sul taccuino. — Nell’androne puzza di cane, ci sono impronte su ogni scalino, e voi dite “qualcun altro”! Toglietelo, o scrivo all’amministratore!

Cecilia forzò un sorriso, chiudendo la porta. Nerone, senza capire, le ficcò il muso tra le ginocchia. Quella sera lo raccontò a Marco, che pelava le patate in cucina.

— Ma è impazzito? — Marco gettò il coltello, il volto arrossato. — Nerone non abbaia nemmeno nell’androne! Dobbiamo parlargli, Cecilia, senza tanti giri di parole.

— Non serve — Cecilia scosse la testa, mescolando la minestra. — È solo, si attacca per noia. Proverò a rabbonirlo con una torta.

Il giorno dopo, Cecilia sfornò una crostata di mele e cannella e bussò alla porta del Signor Renato. L’odore di lucido per mobili e un ordine quasi sterile la accolsero: neanche un granello di polvere, niente fuori posto, solo vasi di violette sul davanzale, una vecchia radio e un divano perfettamente rifatto.

— Signor Renato, ho portato una torta — Cecilia sorrise, porgendo il pacchetto avvolto nella carta stagnola. — Possiamo parlare di Nerone? Non è colpa sua per i fiori, lo teniamo d’occhio.

— Una torta? — Il Signor Renato strizzò gli occhi, ma prese il pacchetto, annusandolo come un detective. — Furba, Signora Cecilia. Va bene, entri, ma solo un minuto. Il vostro cane abbaia la mattina, sporca l’androne, puzza. È inaccettabile!

— Abbaia quasi mai — Cecilia parlò piano, sedendosi sul bordo della sedia. — E le impronte le puliamo. Forse sono stati i bambini a calpestare i fiori? O qualcun altro?

— I bambini? — Il Signor Renato sbuffò, aprendo il taccuino. — I bambini non hanno zampe. Togliete il cane, o agirò.

Cecilia se ne andò, sentendo che la torta non aveva funzionato. E quella sera, nell’androne apparve un avviso scritto con calligrafia precisa su un foglio A4: “Si prega di rimuovere il cane dall’androne! Rovina i fiori e disturba la quiete! — R.”. Marco, vedendolo, strappò il foglio, diventando paonazzo.

— Questa è guerra, Cecilia! — indicò il foglio nell’ingresso. — Vado a dirgliene quattro!

— Marco, no — Cecilia lo afferrò per il braccio mentre infilava le scarpe. — Proviamo ancora. Se non funziona, valuteremo.

Alla fine della settimana, la situazione era insostenibile. Il Signor Renato batteva sul pavimento ogni volta che Nerone abbaiava, anche solo per il campanello. Affiggè nuovi avvisi: “Il cane puzza!”, “Impronte inaccettabili!”, e una volta chiamò l’amministratore, lamentandosi di “mancanza di igiene e rischi per la salute”. Cecilia, tornando dalla passeggiata, lo trovò a misurare le impronte nell’androne con un righello, come se raccogliesse prove per un processo.

— Signor Renato, ma che fa? — rimase immobile, tenendo Nerone al guinzaglio, che si agitava felice verso il vicino.

— Raccogliere prove — si raddrizzò, sistemando gli occhiali. — Queste impronte sono del vostro cane, cinque centimetri di diametro! Le fotograferò e le manderò all’amministratore!

— Non è Nerone — Cecilia alzò la voce, la pazienza esaurita. — Le sue zampe sono più piccole, è un cucciolo! E non calpesta i fiori, lo portiamo in cortile!

— Non lui? — Il Signor Renato sbuffò, scrivendo sul taccuino. — Allora chi? Un fantasma? Toglietelo, o andrò fino in fondo!

Cecilia tornò a casa, furiosa. Marco, sentendo il racconto, sbatté il giornale sul tavolo.

— Non è più divertente — si alzò. — Vado a dirgliene due! O lo denuncio per diffamazione, vediamo se prova qualcosa!

— Marco, calma — Cecilia lo afferrò mentre cercava la giacca. — Troveremo un modo. Ma senza scenate.

Il giorno dopo, Cecilia decise di riprovarci. Preparò dei muffin all’uvetta e bussò alla porta del Signor Renato, ma il vicino fu irremovibile.

— Signora Cecilia, basta torte — incrociò le braccia sulla soglia. — Il suo cane è una minaccia. Ieri ha abbaiato alle sette, non ho dormito!E quel giorno, mentre Cecilia e Marco ridevano in giardino con i bambini e Nerone, il Signor Renato fu visto affacciarsi alla finestra con una nuova missione: sistemare una trappola per i piccioni che avevano osato posarsi sul suo balcone.

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