Aspetto il silenzio, ricevo il rumore

Aspettavo il silenzio, ho ottenuto solo rumore

“Giulia, ti avevo chiesto solo noi, in famiglia!” – Anna, in piedi davanti ai fornelli, si voltò verso la figlia stringendo un mestolo di legno. La sua voce tremava d’irritazione, ma cercava di rimanere calma.

Giulia, seduta al tavolo della cucina, scorreva il telefono senza alzare lo sguardo. I suoi capelli scuri erano raccolti in una crocchia scomposta e sul viso si leggeva un’espressione stizzita.

“Mamma, ma cosa c’è che non va?” – sbuffò, senza staccarsi dallo schermo. – “È il tuo compleanno! Cinquant’anni, un traguardo! Non puoi semplicemente bere un tè e andare a dormire. Ho già invitato tutti.”

“Chi… tutti?” – Anna si bloccò, il mestolo le tremò in mano. – “Giulia, ti avevo detto: tu, Luca, i bambini. Al massimo zia Maria. Chi altro?”

Finalmente Giulia alzò lo sguardo, rotolando gli occhi al cielo.

“Ma tutti, mamma! Zia Maria con zio Paolo, il loro figlio con la moglie, nonna Clara, le mie amiche con i mariti, un paio di vicini. Ah, e anche le tue vecchie colleghe della scuola. Si sono proposte quando l’hanno saputo.”

Anna sentì il sangue salirle alle tempie. Appoggiò lentamente il mestolo sul tavolo e si asciugò le mani sul grembiule.

“Giulia, sei seria? Per sei mesi ho chiesto un solo giorno di tranquillità! Uno! E tu mi organizzi un matrimonio?”

“Mamma, non fare tragedie,” – Giulia si alzò, aggiustandosi i jeans. – “La gente vuole farti gli auguri. Li cacci via? Rilassati, penso io a tutto. Tu prepara solo la torta, eh? Quella con la crema, la tua specialità. Io mi occupo del resto.”

Anna aprì la bocca per protestare, ma Giulia era già uscita dalla cucina, lanciandole un’ultima frase:

“E non brontolare, mamma. È il tuo giorno!”

La porta sbatté, e Anna rimase sola. Guardò la pentola con il brodo bollente, la pila di piatti sporchi nel lavandino, e sentì tutto contrarsi dentro di lei. Cinquant’anni. Aveva sognato una serata tranquilla: una cena intima con la figlia, il genero e i nipoti, una coperta calda, vecchie foto. Invece: folla, rumore, confusione. E, come sempre, tutto il lavoro addosso a lei.

Anna amava la sua casa. Un piccolo bilocale in un vecchio palazzo era la sua roccaforte. Lì aveva cresciuto Giulia, lì aveva superato il divorzio, lì aveva imparato a essere forte. La cucina era il suo orgoglio: tende chiare, un tavolo di legno, una mensola con tazze di porcellana raccolte negli anni. Ogni compleanno preparava una torta – la sua specialità, con crema pasticcerà e frutti di bosco. Una tradizione, un piccolo rituale. Ma quest’anno tutto era andato storto.

Giulia aveva annunciato il “gran festeggiamento” due settimane prima. Anna aveva cercato di dissuaderla, ma la figlia era irremovibile. “Mamma, te lo meriti! Basta nasconderti!” – ripeteva. Anna, come sempre, aveva ceduto. Non sapeva discutere con Giulia – una figlia che aveva ereditato la sua caparbietà, ma non la sua pazienza. E adesso, il giorno prima del compleanno, era ai fornelli a cucinare per una folla che non aveva nemmeno invitato.

Verso sera, la casa era diventata un magazzino. Giulia era arrivata con scatole di bevande, sacchetti di stuzzichini e un enorme mazzo di fiori che occupava mezza cucina. Anna, impastando la torta, cercava di non pensare a come far stare tutto nel suo piccolo spazio.

“Mamma, dove sei?” – gridò Giulia, entrando in cucina con due amiche. – “Oh, che buon profumo! È la torta?”

“Sì,” – borbottò Anna, senza voltarsi. – “Ma non toccatela, non è pronta.”

Le amiche di Giulia – Sara e Elena – risero, sedendosi al tavolo. Sara, con il rossetto rosso acceso, allungò la mano verso la ciotola della crema.

“Anna, posso assaggiare? Adoro la tua crema!”

“Meglio di no,” – Anna si voltò, cercando di sorridere. – “Non è ancora finita.”

“Dai, suvvia,” – Sara prese un cucchiaio di crema e lo leccò. – “Dio, che buona! Giulia, tua madre è un genio!”

Anna strinse le labbra, ma tacque. Giulia, ignara della tensione, chiacchierava con le amiche mentre queste mangiavano la crema direttamente dalla ciotola. Quando se ne andarono, Anna guardò la ciotola vuota e sentì le lacrime bruciarle gli occhi. Respirò profondamente e iniziò a preparare un’altra dose.

Il giorno del compleanno iniziò nel caos. Anna si svegliò alle sei per finire la torta e preparare le pietanze. Alle nove, la casa era in subbuglio: Giulia correva con decorazioni, appendendo palloncini e festoni, mentre il marito Luca cercava di montare un tavolo pieghevole in salotto.

“Anna, dove hai la tovaglia?” – gridò Luca, rovistando nell’armadio.

“In camera, nel comò,” – rispose Anna, tagliando i cetrioli. – “Ma stai attento, è quella antica di mia madre.”

“Sì, capito,” – borbottò Luca, e dopo un minuto si sentì uno strappo. Anna corse in salotto e si bloccò: Luca teneva la tovaglia, strappata a metà.

“Scusa, Anna,” – sorrise colpevole. – “Si è impigliata in un chiodo.”

Anna strinse i pugni, ma annuì.

“Niente. Prendine un’altra, nell’armadio.”

Tornò in cucina, sentendo ribollire la rabbia. Non era una semplice tovaglia – l’aveva ricamata sua madre, era un ricordo. Ma Anna accantonò il risentimento. Quel giorno era il suo, e non voleva litigi.

A mezzogiorno, gli ospiti iniziarono ad arrivare. Zia Maria con zio Paolo portarono una torta enorme, che prese posto accanto alla sua. Nonna Clara, brontolando, chiese uno sgabello con un cuscino. Le ex colleghe della scuola – tre donne chiassose – iniziarono a rimembrare il passato, senza lasciare ad Anna spazio per parlare. E i bambini – i nipoti di Anna e i figli di Giulia – correvano per casa, rovesciando tutto.

“Anna, dov’è il bollitore?” – gridò zia Maria, entrando in cucina. – “E i crostata? Ho fame!”

“I crostata sono nel forno,” – rispose Anna, asciugandosi la fronte. – “Il bollitore è sul fornello.”

“Oh, questa è la tua torta?” – Maria indicò la torta decorata con frutti di bosco. – “Bella, ma la nostra è meglio. L’abbiamo presa in pasticceria, con la pasta di zucchero!”

Anna strinse i denti, ma sorrise.

“Anche la vostra è bellissima. A momenti servo tutto.”

La cucina divenne un viavai. Gli ospiti entravano, prendevano piatti, chiedevano posate, volevano il bis. Anna correva tra i fornelli e il tavolo, mentre Giulia intratteneva tutti in salotto, accettando complimenti per la “festa fantastica”. Anna sentì la figlia dire: “Sì, ho organizzato tutto! La mamma deve riposare!” – e sentì un nodo allo stomaco.

Alle tre del pomeriggio, la casa rimbombava comeAnna si sedette sulla panchina del balcone, chiuse gli occhi e sorrise mentre il sole del tramonto le accarezzava il viso, finalmente in pace.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

13 − 10 =

Aspetto il silenzio, ricevo il rumore