Annalisa vide per la prima volta un faro in un libro quando aveva cinque anni. Nella foto, si ergeva solitario e imponente, circondato da un mare nero e tempestoso come l’inchiostro. La bambina appoggiò le dita sulla pagina e sussurrò: “Voglio vivere lì.” I genitori risero. La nonna disse: “Hai la fantasia di un’artista.” La zia Lucia sbuffò: “Sono solo fiabe. Meglio diventare ingegnere.”
E Annalisa lo diventò. Si iscrisse alla facoltà di ingegneria elettronica, perché sembrava una scelta seria. Ma il cuore continuava a chiamarla verso il mare. Dopo le lezioni, disegnava fari sui quaderni, rileggeva Salgari, ascoltava il rumore delle onde e ogni vacanza correva verso la costa.
“Ma che vuoi fare?” diceva la madre. “Tutti vanno al mare in Puglia, e tu vai in qualche sperduto paesino della Liguria!”
“Amo il nord,” sorrideva Annalisa.
“Dovresti pensare a maritarti, non ai tuoi fari!”
Dopo l’università, trovò lavoro in un’azienda che gestiva apparecchiature nautiche. Era un lavoro normale: circuiti, saldature, manutenzione. Ma un giorno il capo le disse:
“C’è un posto libero. Sulle coste liguri. Un piccolo villaggio, una stazione radiofonica per un faro. Ti interessa?”
Annalisa annuì in silenzio. Era come se avesse aspettato quella proposta per tutta la vita.
“Sarà dura. Turni di tre mesi. Solo il faro e il custode. A volte vengono i paesani.”
“Accetto.”
La madre fece una scenata:
“Vuoi congelarti in quel buco? Sei impazzita? Ti abbiamo cresciuta per una vita migliore, e tu vai a rinchiuderti con un vecchio custode!”
“Mamma, è la mia occasione.”
“Un’occasione per la solitudine e la miseria!”
Il padre fissò la finestra, poi disse:
“Lasciala andare. Che provi.”
Il paesino si chiamava Scogli Altri. Una manciata di case, un molo per i pescatori, un negozietto e il faro su una scogliera. Quando Annalisa mise piede sulla spiaggia, il vento quasi la spazzò via. Il mare ruggiva, i gabbiani strillavano, il cielo era basso come se stesse per aprirsi in pioggia. Eppure, il suo cuore cantava.
“Sei Annalisa?” Un uomo alto e canuto, con una giacca pesante, le si avvicinò. “Io sono Renzo. Il custode. L’angelo protettore di questo posto.”
Rise, le prese lo zaino e la condusse alla casetta accanto al faro. Dentro, l’odore di cherosene si mescolava a quello del pane e del miele. Su un tavolo, una lampada a olio; sugli scaffali, libri e conchiglie.
“Qui vivrai. Il faro è tuo. La stazione è vecchia ma funziona. Aiuterai a mantenerla.”
“Ce la farò.”
“Non dubito. Hai l’aspetto di chi sa parlare con il mare.”
I primi tempi furono duri. Tempeste, silenzi, sere infinite. Annalisa riparò le apparecchiature, si fece amica i paesani, specialmente Maria, la gracile commessa del negozio.
“Parlare con te è come bere un tè al gelsomino. Mi scalda,” diceva lei.
Annalisa, intanto, la sera sedeva sui gradini del faro e scriveva lettere. A sé stessa. Al futuro. Nel passato, c’erano solo le aspettative infrante dei suoi. Ora, c’era solo lei.
Un giorno arrivò un pacco dalla città. Una lettera della madre:
“Sei strana, lo ammetto. Io e Lucia non capiamo cosa cerchi lassù. Ma tuo padre è orgoglioso. Torna, se vuoi. O almeno scrivi.”
Annalisa sospirò. Sentì, per la prima volta da tempo, un calore dentro di sé.
Passarono tre mesi. Era ora di ripartire. Il faro ormai era casa. Renzo la strinse forte:
“Torna. Senza di te, qui è più vuoto.”
In città, la accolsero con freddezza. La madre controllò i bagagli con aria critica, la zia Lucia sbottò:
“È stato un errore. Torna a un lavoro normale.”
Ma Annalisa sapeva già: non sarebbe tornata. La decisione era sua. Sola.
Sei mesi dopo, era di nuovo davanti al faro. La tempesta si placava. Renzo le fece un cenno:
“Eccoti! Ho già preparato i biscotti!”
Ora aveva il suo angolo nella casetta, un cartello sulla porta: “Ingegnere nautica. Annalisa Marina.” Così la chiamavano i paesani.
“Sei come il mare,” diceva Renzo. “Prima urli, poi riscaldi.”
Sofia, una ragazzina del villaggio, le portava disegni—fari, proprio come Annalisa faceva da piccola. I pescatori le regalavano triglie fresche. Qualcuno le accennava persino al matrimonio.
“Renzo, perché non sei sposato?” chiese una volta.
“Lo ero. Ma lei annegò. Tanti anni fa. Da allora, il faro è la mia compagna.”
“Mi dispiace…”
“Non serve. Con te qui, è come se la sua voce tornasse.”
Un giorno, la stazione radio del faro si guastò. Annalisa lavorò ventiquattr’ore senza sosta, chiamò il capo, chiese aiuto. Arrivarono i tecnici. Tra loro, un uomo sui trenta, Matteo.
“Allora sei la famosa Annalisa del faro? Tutti ne parlano in ufficio.”
“Ma dai. Faccio solo ciò che amo.”
Bevvero caffè, risero, discutevano di circuiti. Matteo rimase un paio di giorni. Partendo, disse:
“Tornerò. Se non hai nulla in contrario.”
“Sarò contrariata solo se non torni.”
Annalisa era in piedi sulla scogliera. Le onde si infrangevano sulle rocce. Dietro di lei, il faro brillava. Il suo faro. Il vento le scompigliava i capelli. Aprì le braccia e gridò:
“Ehi, mondo! Ho trovato me stessa!”
E il mondo rispose—con il mormorio del mare, la luce del faro e una voce leggera nel cuore: “Sei a casa.”
Da quel momento, Annalisa non ebbe più dubbi. Perché ogni sera, quando la luce del faro si accendeva, sapeva che qualcuno in mare l’avrebbe vista e avrebbe capito dove andare.
E questo non aveva prezzo.
La primavera a Scogli Altri arrivò all’improvviso. La neve non si sciolse—sparì. Come se se ne andasse senza salutare. Annalisa era sul portico del faro, guardava il mare grigio e sentiva nel petto quella pace per cui era venuta lì.
“Allora, Marina, pronta per la stagione?” Renzo uscì con una tazza di caffè.
“Quasi. Mancano due cavi da sostituire, poi il segnale automatico è a posto. Il capo ha detto che manderà nuove attrezzature.”
“Te la caverai?”
“Io sì. E tu?”
“Io sono abituato. Sono qui dal ’78.”
Indicò le scogliere, dove la baia luccicava nella luce dell’alba.
“Ma mi dispiace per la gente. Temono che chiuderanno la stazione. Hai sentito le voci?”
Annalisa lo sapeva. Da tempo, nel paese si mormorava di automatizzazioni, tagli al bilancio, controllo da remoto. Il faro sarebbe diventato solo una torre decorativa, non più il cuore del villaggio.
Una settimana dopo, arrivarono a Scogli Altri: un tecnico, un funzionarioE quando il funzionario annunciò che il faro sarebbe rimasto aperto, tutti nel villaggio festeggiarono, sapendo che la luce di Annalisa avrebbe continuato a guidarli, come aveva sempre fatto.