**Diario di Alice**
Mia madre adorava l’attrice Alida Valli, e per questo mi ha chiamato come lei. Mio padre ci ha lasciato quando avevo otto anni. La vita è diventata più dura, ma almeno le litigate quotidiane sono finite. Ero già abbastanza grande per capire perché i miei genitori litigavano.
Mamma gridava che papà non riusciva a resistere a nessuna gonna. Quello che non capivo era come donne giovani e belle potessero accettare di avere una relazione con lui, sapendo che aveva moglie e figlia.
“Basta! Non ce la faccio più con le tue accuse infondate. Preferisco passare il tempo con gli amici piuttosto che con te!” urlava mio padre, sbattendo la porta.
Io ero sollevata quando non c’era. A casa c’era pace, nessuno urlava, nessuno piangeva. Tanto mio padre non si occupava mai di me. Lavorava fino a tardi, e nei weekend spariva con gli amici.
Una volta litigarono così forte che sentii il rumore dei piatti rotti.
“Non ti importa nulla di noi, nemmeno di tua figlia! La stai abbandonando come hai fatto con me!”
“Allora me la porto con me,” rispose lui.
“E la tua nuova donna sarà d’accordo? Ha già un figlio che non controlla affatto, un vero teppista!”
Ero seduta nella mia stanza con le mani sulle orecchie, terrorizzata. Poi, improvvisamente, tutto tacque. Quando mamma entrò, aveva gli occhi gonfi.
“Ti sei spaventata? Non aver paura.” Mi strinse. Ci fermammo così per un po’.
“Papà è andato via? Da un’altra donna?”
“Tutto andrà bene, vero? Vuoi un po’ di tè con i biscotti?”
Dopo un attimo, uscii. La vidi raccogliere i cocci, piangendo in silenzio. Tornai di corsa in camera mia.
Quell’estate, mi mandò dalla nonna paterna, che ci trattava sempre bene e rimproverava suo figlio. Mi mancava tantissimo la mamma, ma la nonna diceva che aveva bisogno di pace e di trovare un nuovo padre per me.
“Io non voglio nessuno, solo lei!” rispondevo sempre. Mamma venne a riprendermi ad agosto, prima della scuola. Ci abbracciammo a lungo, e non mi staccai più da lei.
“Metti via le tue cose,” disse la nonna. Io feci finta di non ascoltare la loro conversazione.
“Quando glielo dirai?” chiese all’improvviso la nonna.
“Presto. Grazie per l’aiuto,” rispose evasiva la mamma.
“Non c’è di che. Non è colpa tua. Tornate quando volete.”
“Non voglio restare! Voglio tornare con la mamma!” urlai, precipitandomi in cucina.
Non capivo bene, ma avevo paura che mi lasciassero lì. Mamma mi riportò in città. Da allora, la trovavo spesso persa nei suoi pensieri, con un sorriso. E a me faceva piacere vederla così.
Poi, un giorno, arrivò con un uomo. Mi regalò una scatola di cioccolatini. Era lo zio Marco, che da quel momento visse con noi.
A scuola, alcune avevano i patrigni. Alcune li lodavano: “Meglio di un padre!” Altre li odiavano. Io temevo che Marco fosse come questi ultimi. Invece mi comprava il gelato, e mamma era felice. Mi tranquillizzai, anche se continuavo a vederlo come un estraneo.
La mia vita non cambiò molto, solo che non c’erano più litigi. Ma mamma smise di leggermi le favole la sera.
“Sei grande, puoi leggere da sola. Dormi.” Spegneva la luce e andava via. Io sentivo le loro voci in cucina fino a tardi.
Un giorno mi chiese: “Vuoi un fratellino o una sorellina?”
“Nessuno dei due.”
Sei mesi dopo arrivò Giulia, piccola e strillona. Mamma non la posava mai, e io mi sentivo messa da parte.
“Ti ama, solo che la piccola ha bisogno di più attenzioni. Crescerà e giocherai con lei,” diceva Marco.
La osservavo incuriosita, ma per me era estranea come lui. A chi importava cosa volevo?
Poi Giulia crebbe, e mamma mi chiese di badarle. Scoprì in me un istinto materno: la accudivo con orgoglio, come una bambola vivente.
Poi Marco morì nel sonno. Un trombo al cuore, dissero i dottori. Mamma cadde in depressione. Fu un incidente a farla reagire.
Ero al parco con Giulia. Un bimbo la spinse giù dallo scivolo. Gridava, sanguinava. La caricai di corsa e la portai a casa.
Mamma si svegliò dal torpore, medicandola. Io cercai di spiegare, ma Giulia incolpò me. Mamma mi cacciò via, urlando. Mi chiusi in camera, soffocando nel pianto.
Da allora, per lei non esistevo più. Capii che aveva amato Marco, e Giulia era l’unica cosa che le restava di lui. L’odio per mio padre si era esteso anche a me.
Mi sentivo un’intrusa. Quando glielo dissi, rispose: “Tu hai ancora un padre, Giulia no.”
“Che padre? Non l’ho più visto da quando se n’è andato! Pagava il mantenimento e basta!”
Inutile. Lei condivideva il dolore con Giulia, dedicandole tutta l’amore. Io mi allontanai piano.
Poi conobbi Luca e me ne andai di casa. Mamma parve quasi sollevata.
Luca studiava e lavorava. Affittammo un bilocale. Andavo a trovarle, portavo dolci a Giulia. Mamma mi chiedeva cose a caso, ma non ascoltava le risposte. Raccontava solo di Giulia. E io mi sentivo sempre più straniera.
Ci sposammo quando aspettavo i gemelli. Comprammo casa con un mutuo. Con due bambini, non avevo più tempo per andare da lei. Lei non mi cercò mai.
Una volta mi chiamò, disperata: “Giulia ha abbandonato la scuola, esce fino a tardi, e tra poco ci sono gli esami!”
Alla fine, Giulia entrò a malapena all’istituto magistrale, niente medicina come sognava mamma.
“L’insegnamento è un bel lavoro. Le servirà,” dissi.
“Che insegnante! Fuma, fa chiasso. Ho fatto tutto per lei… Se suo padre fosse vivo…”
“Se il mio non ci avesse lasciati, sarebbe stato meglio. Non ci sarebbe stata Giulia, e tu avresti amato solo me.”
Mi chiamò egoista e non mi parlò più.
Poi si ammalò. Scoprirono un tumore. Iniziai ad aiutarla. Fece la chemio, ma peggiorò. Giulia sparisceva per giorni.
“Ha la scuola, i ragazzi… Non può stare con un’ammalata!” la scusava mamma.
“Non le mancheranno! Poteva aspettarmi almeno, non lasciarti sola!”
Andavo da lei ogni giorno, sacrificando tempo per i miei figli. Se la portavo a casa, avrebbe dovuto stare nella stanza dei gemelli. Troppo stretto. Glielo proposi, ma rifiutò: “E Giulia?”
“È grande! Potrebbe occuparsi di te invece di divertirsi!”
Giulia trovava sempre scuse. Una volta disse: “Qui puzza di medicine. Portatela via!”
Organizzai l’ospizio, ma mamma chiedeva sempre di lei.
Prima di morire, tornò a casa. Io mi trasferii da lei, lasciando la famiglia.
Una volta mi mostrò una cartella. “Documenti importanti.” La misi via e me ne dimenticai.
Chiamai Giulia: “Vieni a dirle addio, ti ama tanto!”
“Passerò quando ho tempo.” Non rispose maiDopo il funerale, quando aprii quella cartella e trovai il testamento a mio nome, capii finalmente che, nonostante tutto, in fondo al cuore mi aveva sempre amata.