Il dolce della riconciliazione

**Il dolce della pace**

“Mamma mia, se quel signor Enrico bussa ancora sul soffitto, lo denuncio per stalking!” Antonio si asciugava la fronte con il braccio, mentre strofinava con rabbia le impronte delle zampe di Fido sul linoleum dell’ingresso. La sua maglietta era zuppa di sudore, nonostante la sera fosse fresca. Fido, scodinzolante e colpevole, masticava un pupazzo di gomma vicino alla porta.

“Antonio, tranquillo, i bambini dormono,” sospirò Lucia, seduta sul divano con i ferri da maglia tra le mani. Una mezza sciarpa per bambini le pendeva sulle ginocchia. “E non parlare di denunce, è esagerato. Lui è solo… pignolo. Parlerò con lui, cercherò di spiegare.”

“Spiegare?” Antonio lanciò lo straccio nel secchio, gli occhi accesi. “Ieri nel palazzo ha urlato che Fido ‘puzza’ e ‘rovina i suoi fiori’! Lucia, il nostro cane non si avvicina nemmeno alle aiuole!”

“Lo so, lo so,” Lucia posò il lavoro a maglia, la voce dolce ma tesa. “Ma è nostro vicino, Antonio. Se iniziamo una guerra, non avremo pace. Farò una torta, cercherò di ammorbidirlo.”

Antonio sbuffò, guardando Fido che leccava il pavimento dopo aver lasciato cadere il pupazzo.

“Una torta?” Scosse la testa. “Va bene, prova. Ma se scrive un altro reclamo all’amministratore, non rispondo di me.”

Lucia e Antonio, una giovane coppia con due figli — Matteo di otto anni e Sofia di sei — vivevano in quel condominio da cinque anni. Quando avevano preso Fido, sognavano passeggiate allegre e risate infantili, ma il puntiglioso vicino del piano di sopra, il signor Enrico, aveva dichiarato guerra al cucciolo. Ora, l’androne era diventato un campo di battaglia, e l’aria sapeva non solo di pelo di cane, ma anche di lamentele.

***

Tutto era iniziato una settimana dopo l’arrivo di Fido. Lucia, tornando dalla passeggiata mattutina, aveva notato che le gerbere nei vasi all’ingresso, che il signor Enrico annaffiava con maniacale precisione, erano state calpestate. Pensò fossero i bambini del quartiere, ma quella sera bussarono alla porta. Sulla soglia c’era il signor Enrico — magro, con una camicia stirata e un taccuino in mano, come un ispettore in missione.

“Lucia, è il tuo cane che ha rovinato le mie gerbere?” La sua voce era tagliente, gli occhiali luccicanti nella luce fioca del lampadario. “Le coltivo da tre anni, e ora sono distrutte!”

“Signor Enrico, mi dispiace,” Lucia si sentì a disagio, trattenendo Fido per il collare. “Ma è sempre al guinzaglio, lo controlliamo. Forse è stato qualcun altro?”

“Qualcun altro?” L’uomo strizzò gli occhi, annotando qualcosa sul taccuino. “L’androne puzza di cane, ci sono impronte ovunque, e dici ‘qualcun altro’! Toglietelo, o scrivo all’amministratore!”

Lucia sorrise forzatamente e chiuse la porta. Fido, ignaro, le sfiorò le ginocchia col muso. Quella sera, raccontò tutto ad Antonio, che stava pelando le patate in cucina.

“Ma è impazzito?” Antonio gettò il coltello, il viso arrossato. “Fido non abbaia nemmeno nell’androne! Dovremmo parlargli, Lucia, senza tanti giri di parole.”

“No,” Lucia scosse la testa, mescolando la minestra. “È solo, si attacca per noia. Proverò a rabbonirlo con una torta.”

***

Il giorno dopo, Lucia sfornò una crostata di mele e cannella e bussò alla porta del signor Enrico. All’interno, l’odore di cera per mobili e un ordine sterile: nessun granello di polvere, nessun oggetto fuori posto, solo vasi di violette sul davanzale, una vecchia radio e un divano impeccabile.

“Signor Enrico, le ho portato una torta,” sorrise Lucia, porgendo il pacchetto avvolto nella stagnola. “Possiamo parlare di Fido? Non è colpa sua per i fiori, lo teniamo d’occhio.”

“Una torta?” L’uomo annusò il pacchetto con sospetto. “Furba, Lucia. Va bene, entra, ma per poco. Il tuo cane abbaia la mattina, sporca, puzza. È inaccettabile!”

“Non abbaia quasi mai,” Lucia parlò con calma, sedendosi sull’orlo della sedia. “E puliamo le impronte. Forse sono stati i bambini a rovinare i fiori?”

“Bambini?” Il signor Enrico sbuffò, scrivendo sul taccuino. “I bambini non hanno zampe. Toglietelo, o agirò.”

Lucia se ne andò, sentendo che la torta non aveva funzionato. Quella sera, nell’androne apparve un avviso scritto a mano: “Si prega di rimuovere il cane dall’androne! Rovina i fiori e disturba la quiete! — E.” Antonio, vedendolo, strappò il foglio con rabbia.

“Questa è guerra, Lucia!” indicò il foglio nell’ingresso. “Vado subito a dirgli quattro cose!”

“Antonio, no,” Lucia lo trattenne per il braccio mentre infilava le scarpe. “Riproveremo. Se non funziona, penseremo a qualcosa.”

***

Alla fine della settimana, la situazione era insostenibile. Il signor Enrico batteva sul soffitto ogni volta che Fido abbaiava, anche per un solo verso. Affiggeva nuovi avvisi: “Il cane puzza!”, “Impronte inaccettabili!”, e una volta chiamò l’amministratore, lamentando “rischi igienici”. Lucia, tornando dalla passeggiata, lo trovò a misurare le impronte nel corridoio con un righello, come un investigatore.

“Signor Enrico, cosa sta facendo?” chiese, trattenendo Fido che cercava di avvicinarsi.

“RaccE quella sera, mentre Fido dormiva sereno sul tappeto e i bambini ridevano guardando il video del gatto colpevole, Lucia sospirò sorridendo, realizzando che a volte bastavano una torta e un po’ di pazienza per trasformare un nemico in un vicino semplicemente brontolone.

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