**Una Bocca in Più**
A tavola dovettero stringersi. La cucina di cinque metri quadri ormai non riusciva a contenere cinque persone: due adulti e tre bambini.
«Daniele, porta una sedia dalla sala.»
Il diciassettenne alzò gli occhi al cielo ma obbedì, tornando con la sedia.
«Ecco. Spostiamo il tavolo e ci stiamo tutti. Tranquillo, Massimino, tranquillo.» La donna non guardava il bambino di cinque anni, causa di tutto quel trambusto. Si girò invece verso l’uomo, che mostrava chiaramente il suo disappunto per quel riarrangiamento.
Per prima cosa, Elena mise davanti al capofamiglia una scodella di minestra calda. Affettò rapidamente il pane e il lardo, poi passò alla figlia una testa d’aglio da sbucciare. In un attimo, altre scodelle apparvero sul tavolo. Il figlio maggiore, imitando il padre, prese una fetta di pane scuro, la coprì con una strisciolina sottile di lardo affumicato e la mandò giocondo in bocca, alternandola a cucchiaiate di minestra. L’aglio venne rapidamente diviso tra padre e figlio, lasciando il piattino vuoto.
Massimo teneva il cucchiaio in mano ma non mangiava; osservava i due uomini seduti uno di fronte all’altro. Avrebbe voluto imitarli, ma le scodelle erano troppo lontane per arrivarci.
«Mangia.» Sonia, di dieci anni, gli porse un pezzo di pane e poi una fetta di lardo.
Massimo acciuffò tutto e si mise a masticare come se fossero cioccolatini. Elena sorrise e prese anche lei il cucchiaio.
Il padre rifiutò il bis. Daniele annuì in silenzio. La figlia chiese il sale per insaporire il pane. Bevvero il tè senza parlare, ognuno assorto nella propria tazza. I biscotti seccarono rapidamente dal porta-pane; tutti avevano fretta.
Finita la cena, Alessandro si alzò per primo e disse:
«D’ora in poi, i bambini mangiano per primi, poi noi due. Il tavolo è troppo piccolo.»
Elena si fermò con un piatto in mano, voleva obiettare, ma non contraddisse il marito, non reagì. Daniele lanciò un’occhiata torva al bambino che masticava un biscotto.
Il giorno prima, il padre era tornato a casa non da solo. Aprì la porta e, per accelerare le cose, spinse il bambino davanti a sé.
«Entra, Massimo.» Elena era nell’ingresso con un asciugamano in mano.
Era chiaro che i genitori ne avevano parlato, e per loro l’arrivo di Massimo era una scelta ponderata.
«Chi è?» Daniele uscì dalla camera con un libro.
«Lui è Massimo» disse la madre con dolcezza.
«Ho sentito come si chiama. Chi è?» ripeté il figlio.
Alessandro ed Elena non erano pronti. Avrebbero dovuto spiegare prima ai figli, ma non l’avevano fatto, sottovalutando l’importanza della cosa.
«Massimo vivrà con noi. Metteremo un altro letto nella vostra camera.»
«Nella nostra?» Sonia sbucò anche lei nell’ingresso.
La loro stanza, già divisa da un armadio, era minuscola. Dove sistemare un altro letto? Nessuno lo sapeva.
«Niente storie, fate spazio.»
L’autorità del padre era indiscutibile. Spesso non aveva neanche bisogno di parlare: bastava uno sguardo perché i figli obbedissero senza domande.
Sette anni prima, il padre aveva lasciato la famiglia. Un litigio terribile. La madre, sempre calma, singhiozzava in preda all’isteria, supplicandolo di non lasciarla sola con due bambini piccoli. Ma Alessandro prese una borsa e se ne andò. Si era innamorato. Aveva conosciuto Antonietta in fabbrica e non riusciva a pensare ad altro. Neppure i figli lo trattennero.
Dopo due anni, tornò. Con la stessa borsa. Non chiese scusa, si limitò a dire davanti alla porta aperta:
«Se hai chiesto il divorzio, me ne vado. Lì è tutto finito.»
Elena non riuscì a rispondere. Quante ore aveva aspettato quel momento, quanto aveva sofferto. E ora non trovava le parole. Aveva già perdonato, da tempo. Voleva solo rivederlo.
Per quasi un anno vissero come estranei, finché Alessandro non confessò tutto alla moglie, chiedendo perdono. Allora Elena si sciolse, e tutto riprese un corso quasi normale, anche se diverso. Poi arrivò Massimo.
Quella donna, Antonietta, non era malata, non le era successo nulla: semplicemente, quel bambino le dava fastidio, le impediva di essere libera. Lo aveva partorito solo perché la fabbrica dava una stanza in cambio.
«O lo prendi o lo mando all’orfanotrofio» disse ad Alessandro quando venne a trovare il figlio.
«Dove lo metto? Siamo già in quattro in due stanze!»
«Non so dove. Quando è nato, non me lo hai chiesto.»
«Pensavo mi amassi e volessi Massimino.»
«Ah! Lo credevi. Hai tempo fino alla fine del mese. Il primo è il mio giorno libero, se non lo prendi, lo porto via.»
Stava bluffando, sapeva che Alessandro non avrebbe mai permesso una cosa del genere. E così fu.
Elena accettò subito di prendere il bambino, senza esitare. Non faceva differenze tra i figli, cercava di dare a ciascuno ciò che gli serviva. Amava tutti allo stesso modo.
Passò il tempo. Comprarono un tavolo grande per la cucina, così potevano cenare tutti insieme. Per Sonia trovarono una soluzione fortunata in salotto, liberando spazio nella camera dei fratelli.
Daniele si iscrisse all’università, Massimo iniziò la scuola. Sembrava che tutti si fossero ormai abituati. Ma Daniele manifestava sempre più risentimento verso il fratellino. Neppure il fatto che avessero lo stesso padre e fossero fratelli di sangue contava. La madre interveniva con tatto, evitando litigi e proteggendo Massimo.
Sonia, invece, lo aveva accolto subito e amato. Le assomigliava di più, di carattere, rispetto al fratello maggiore.
Massimo non mancava di nulla. Vestiti, giocattoli, tutto come gli altri. Elena divideva tutto equamente. Ma a Daniele non piaceva. In privato chiamava il fratellino «una bocca in più», con disprezzo. Se i genitori non c’erano, si sfogava su di lui.
Una volta, tornato da lezione, Daniele mangiò una cotoletta a pranzo e poi, per scherzare, ne prese un’altra. Elena ne aveva preparate una per ciascuno. Lui lo sapeva.
A cena, la madre scaldò le cotolette, lessò il grano saraceno e servì tutti.
«Oh, chi ha mangiato quella in più?» chiese.
«Massimo a pranzo ha rubato le cotolette, anche Sonia l’ha visto» disse Daniele soddisfatto.
Sonia annuì. Aveva visto il fratellino mangiare solo una cotoletta.
«Sì, ne ho mangiata una» confermò Massimo.
«Una, sicuro? Ieri vi avevo chiesto di lasciarne una a cena.»
«Sì. È stato Daniele, e ora mi accusa, come l’altra volta.»
Elena non guardò neppure il figlio maggiore. Prese la sua porzione e mise davanti a Massimo grano e cotoletta.
«Da qualche parte ho letto che una bocca in più è peggio di una pistola. Giusto, mamma?»
Il padre sbatté un pugno sul tavolo, si alzò e prese con fare teatrale il piatto di Daniele. Lo fissò per alcuni secondi con uno sguardo di disapprovazione.
Mise il pE da quel giorno, la famiglia trovò finalmente la pace, unita non più solo dal sangue, ma anche dalla comprensione e dall’amore che avevano imparato a coltivare insieme.