LO ZIO MASSIMO
Zio Massimo era buffo. Goffo come un orsacchiotto. Piccolo di statura, paffutello, coi capelli ricci. Occhietti piccoli, azzurri e trasparenti come caramelle. Portava gli occhiali. E aveva un’espressione infantile, gioiosa, ingenua.
Luca aveva paura degli uomini. Sobbalzava alle voci maschili, alle risate. Se per strada gli tendevano la mano, come si fa con un adulto, a soli sei anni si nascondeva subito dietro la mamma.
“Elisa! Ma che difensore fifone che hai!” ridevano i grandi.
Luca non era fifone. Aveva protetto la vicina Giulia quando tre ragazzi le avevano rubato il pallone per strada. Si era messo davanti a lei e aveva detto con fermezza:
“Non toccatela! È una ragazza. Se volete litigare, fatelo con me!”
E i ragazzi se n’erano andati.
“Guarda un po’ questo moccioso coraggioso!” avevano borbottato.
Giulia, dopo, gli aveva preso la mano dicendo: “Facciamo amicizia!”
E quando il gattino era salito sull’albero, Luca ci era arrampicato da solo. Per fortuna la mamma l’aveva visto dalla finestra ed era corsa fuori, chiamando i vicini. Loro avevano tirato giù sia il bambino che il micio. Lo avevano portato a casa e l’avevano chiamato Puffo.
All’asilo Luca era il più coraggioso, il più bravo. Lo prendevano come esempio. Ma degli uomini aveva comunque paura.
Tutto era iniziato a due anni, quando suo padre urlava e alzava le mani su sua mamma. Era grande e bello, coi capelli neri, gli occhi scuri, forte. Quando camminava per strada, la gente si voltava a guardarlo. Marco era l’ideale. Nell’aspetto, ma non nell’anima. Luca non ricordava un solo abbraccio, una sola carezza da parte sua.
“Basta piagnucolare! Non sei una femminuccia. I maschi non piangono! Non fare il rammollito. Dormirai al buio, niente storie della buonanotte. E togli quel peluche dal letto, non sei una bambola, mica devi coccolarti con le cose morbide! Hai rotto la barchetta? Non avrai più giocattoli, maldestro. Vattene. Va’ a giocare. Non disturbare. Zitto.”
Queste erano le parole che Luca sentiva dalla persona che più amava.
Molto dopo avrebbe scoperto di essere stato un figlio non voluto. Suo padre non voleva sposare sua mamma, ma i nonni avevano insistito.
“Ti vuole bene, Luca. Forse col tempo capirà. È fatto così. L’accetteremo come è.”
Il tempo passava. Il comportamento di suo padre non cambiava.
“Dovevi aspettare che fossi io a volere un figlio! Te l’avevo detto. E invece è nato questo piagnucolone, questo debole.”
A suo padre non piaceva niente di Luca. E il bambino, poco a poco, si era abituato. Suo padre spesso non c’era. Poi se n’era andato del tutto. Diceva che avrebbe mandato soldi, ma non voleva vedere il figlio. Non quello che si aspettava. Forse un giorno.
La mamma di Luca era carina. Capelli lunghi color miele, occhi grandi. A Luca sembrava una sirena. Lavorava tanto.
Un giorno tornò a casa con zio Massimo. Era il suo capo al lavoro e l’aveva offerta di accompagnarla, visto che aveva delle borse pesanti.
“Ciao, piccolo. Sono zio Massimo. Sono passato a trovarvi. Se è un momento scomodo, me ne vado. Ho portato… dei pasticcini per te. E questo aeroplanino. È vecchio, me l’ha dato mio nonno. Tua mamma ha detto che ti piace la tecnica. E anche un coniglietto di peluche. Guarda com’è morbido, sembra vero.”
La voce di zio Massimo era dolce, calma. Si agitava sulla soglia. Luca stava in silenzio. Aveva di nuovo paura.
“Va bene, Elisa. Me ne vado. Il piccolo vuole stare con te.” Zio Massimo posò i pacchetti e si diresse goffamente verso la porta.
Camminava come un orsacchiotto. Luca sorrise senza volerlo. E gli corse incontro.
“Non andare via, zio!”
Zio Massimo lo sollevò tra le braccia. Profumava di colonia, di panini e di casa.
“Che bel bambino che sei! Che bello! Quando sarai grande, tutte le ragazze saranno tue! Elisa, ma quanto è bello questo piccolo! Non ne ho mai visti così!” diceva zio Massimo con ammirazione.
Da quel giorno cominciò a venire a trovarli. Si sedeva per terra in giacca e cravatta per giocare con Luca. Gli leggeva libri e gliene portava tanti. Quando la mamma era stanca, cucinava lui. Sapeva fare tante cose. Zuppe, polpette, torte squisite. Il padre di Luca non aveva mai toccato un fornello. Non si versava nemmeno il tè da solo. Diceva che non era roba da uomini.
“Perché cucini, zio Massimo?” chiese timidamente Luca.
“Mi piace, Luca. Vengo da una famiglia numerosa, sono il più grande. Mamma e papà erano sempre occupati, dovevo sfamare gli altri. E poi, è divertente! Preparare qualcosa con amore, per la propria famiglia. Tua mamma è stanca dal lavoro, lasciala riposare.”
“Ma anche tu sei stanco. Hai lavorato.”
“Io sono forte, non mi succede niente. D’estate andiamo nella mia casa in campagna, è bellissimo. C’è una rana nel pozzo. Ti mostrerò. Pescheremo dei pesciolini. Raccoglieremo margherite per la mamma!” Zio Massimo lo strinse a sé.
Luca gli si aggrappò con le manine. Desiderava più di ogni altra cosa che zio Massimo non scomparisse mai.
Un mese dopo, incontrarono suo padre per strada. Per caso. Era con una donna e barcollava.
“Chi è questo? Hai già trovato un sostituto, Elisa? In fretta eh! Non c’era di meglio di questo spauracchio?” rise suo padre.
E la donna con lui fece lo stesso.
Zio Massimo tacque.
“Papà, questo è zio Massimo. Non insultarlo!” disse Luca.
“Cosa? Ripeti, moccioso! Ti si è rotta la voce, eh? Che zio Massimo?” E suo padre afferrò zio Massimo per il colletto.
“No! Papà! Ti prego, no!” gridò Luca, aggrappandosi alla gamba di suo padre.
Dopo quell’episodio, i nonni paterni cominciarono a prendere Luca più spesso. Criticavano la mamma. Zio Massimo. Dicevano che il padre era uno solo e che zio Massimo non contava niente.
Luca provò a parlarne con zio Massimo.
“Hanno ragione, piccolo. Lui è tuo padre, devi rispettarlo, onorarlo e volergli bene. Perdonami se… vengo a casa vostra, vivo con voi. Forse senza di me le cose si sarebbero sistemate.”
“No! Non si sarebbero sistemate! Non andartene, zio Massimo!” implorava Luca.
Crescendo, trovava la casa silenziosa e accogliente. Zio Massimo era sempre in movimento. Lavorava, coltivava qualcosa in campagna. Cucinava, faceva conserve, leggeva libri a Luca. Gli insegnava a costruire oggetti di legno. Comprò un’auto e teneva Luca in braccio, lasciandogli girare il volante. Luca lo sentiva spesso dire alla mamma:
“Riposati, Elisa! Faccio tutto io.”
Le vicine, vedendoli tornare a casa, commentavano:
“Che bel”E ogni volta che tornava dal mare, Luca portava una manciata di margherite fresche sulla tomba di zio Massimo, sorridendo tra le lacrime al ricordo dei loro giorni felici.”