Amore portato attraverso gli anni
Un nuovo nucleo familiare arrivò nel piccolo borgo rurale. La scuola era appena stata ricostruita, e dopo che il vecchio preside era andato in pensione, arrivò il nuovo: Rodolfo De Luca, con sua moglie, insegnante di matematica, e la loro figlia Stefania, di quindici anni.
Stefania era diversa dalle ragazze del paese. Elegante, con una lunga treccia folta e scarpe sempre pulite, riusciva persino a evitare il fango dei sentieri autunnali, lavandole nelle pozzanghere prima di entrare a scuola.
“Stefania non ha niente di meglio da fare che sguazzare nelle pozzanghere,” ridevano le ragazzine del posto, con le scarpe sporche. Ma presto iniziarono a imitarla, perché vedevano quanto piacesse ai ragazzi quella precisione.
Nel villaggio viveva Michele, un ragazzo robusto di sedici anni, già fuori dalla scuola dopo l’ottava classe. Lavorava nei campi, falciava il fieno con gli uomini del paese e ammucchiava covoni così perfetti che le donne rimanevano a guardare meravigliate.
Michele aveva un debole per le ragazze. Fin dai quattordici anni girava di fiore in fiore, e nessuna si lamentava—era un bel ragazzo. A sedici, sotto i covoni, aveva già conosciuto l’amore. Ma tutto cambiò quando vide Stefania.
Era uscita con la madre per fare la spesa al negozio del paese, impeccabile e graziosa.
“Ma cos’è questa apparizione?” chiese Michele al suo amico Ettore, rosso di capelli e pieno di lentiggini.
“Sono i nuovi. Suo padre è il preside, quella è Stefania e sua madre insegnerà matematica.”
Da quel momento, Michele smise di pensare a tutte le altre. Si chiuse gli occhi quando la vide, come se l’anima gli avesse tremato dentro.
Non osò avvicinarsi, osservandola da lontano, ma nel paese tutti capirono che si era innamorato. Passò l’autunno, arrivò l’inverno. Il fiume si ghiacciò, e i ragazzi pattinavano con i vecchi “Pattini della Befana”, legati agli scarponi. Nessuna ragazza sapeva pattinare.
Poi accadde un miracolo: Stefania scese sul ghiaccio con dei pattini veri, eleganti come lei. Scivolava, volteggiava, disegnando cerchi perfetti.
“Guarda la Stefania che disegna nell’aria!” esclamavano i ragazzi, mentre i più piccoli restavano a bocca aperta.
Michele non la vide subito, ma mentre tornava dal lavoro sentì delle urla dal fiume.
“Aiuto, aiuto!”
Corse senza pensare. Vicino alla riva opposta, dove una sorgente teneva il ghiaccio sottile, Stefania affondava nell’acqua gelida.
“Andrà bene?” gridavano i bambini.
Michele non esitò. Si gettò a terra, avanzando a carponi verso il buco nel ghiaccio. Vide gli occhi terrorizzati di Stefania, aggrappata disperatamente.
Senza neanche un bastone a portata di mano, si sfilò la cintura e gliela lanciò. Stefania vi si aggrappò, e lui la trascinò fuori, portandola fino a casa tra le braccia, bagnata e tremante.
La voce si sparse in un lampo. Quella sera, già buio, la madre di Stefania bussò alla porta di Michele.
“Michele, grazie, grazie,” disse, portando dei dolcetti. “Stefania vuole vederti. È a letto con la febbre.”
Lo seguì. Stefania, pallida, gli sorrise e gli strinse la mano bruciante.
“Se non fosse stato per te…” Una lacrima le scese, e lui la asciugò.
Da quel giorno, Michele andava da lei ogni sera. Parlavano nella sua stanzetta, soprattutto lei, e lui ascoltava rapito la sua voce.
A sedici anni, si presero per mano. A diciottA diciotto anni, Michele la baciò per la prima volta, promettendole di tornare dopo il servizio militare, ma la vita li separò, e solo da anziani, nella loro vecchiaia, trovarono il coraggio di riconoscere che quell’amore, silenzioso e tenace, non li aveva mai abbandonati.