**Indomita**
Fin da piccola, Violetta sognava di diventare medico. Viveva con i genitori in un paesino delle Marche, e ogni mattina percorreva tre chilometri a piedi per raggiungere la scuola nel borgo vicino. Lì c’erano anche l’ambulatorio, la posta e persino tre negozi.
La scuola era grande e nuova, e Violetta studiava con passione. Tutto le riusciva facile, e stava per concludere la quinta elementare.
“Vio’, alzati, non star lì a poltrire!”, gridò sua madre entrando in casa con un secchio di latte fresco, appena munto dalla mucca. “Ti sei addormentata di nuovo! Ti ho svegliata quando sono andata nella stalla!”
“Mamma, è vero!”, esclamò Violetta, saltando giù dal letto. In due minuti si lavò, si vestì, afferrò lo zaino e uscì di corsa senza fare colazione. Tiziana riuscì solo a infilarle un paio di frittelle nelle mani prima che sparisse.
Correre tre chilometri fino a scuola non era uno scherzo. Contava i pali della luce mentre correva, sola, perché tutti gli altri bambini erano già partiti. Quando era stanca, rallentava, ma poi riprendeva a correre.
“Farò tardi, farò tardi…”, pensava ansiosa.
Arrivò a scuola insieme al suono della campanella, salì di corsa al secondo piano e irruppe in classe. Si era appena seduta quando entrò la professoressa Rossi, insegnante di italiano e letteratura.
“Violetta, cos’hai che sembri inseguita dai lupi?”, le sussurrò Irma, la sua compagna di banco. “Hai dormito troppo? Di solito non ti capita.”
“Sì, mi sono addormentata”, rispose a bassa voce, e la lezione cominciò.
Quel giorno a scuola non accadde nulla di insolito. Finite le lezioni, Violetta tornò a casa con le amiche. Poi li raggiunsero i ragazzi del paese, che le presero in giro e scherzarono, rendendo il tragitto più allegro.
Arrivata a casa, infilò la chiave che nascondevano sotto il portico, si tolse le scarpe e entrò. Di solito, a quell’ora, non c’era nessuno. Suo padre era al lavoro, e sua madre, la postina, anche. Stava per raggiungere la sua stanza quando sentì una tosse straziante provenire dalla piccola camera degli ospiti. Rimase impietrita.
“Chi c’è lì?”, pensò. “Uno spirito? Mamma una volta parlava delle anime in pena, ma io non ci ho mai creduto…”
Entrò di corsa nella sua stanza e chiuse la porta. Mentre si cambiava, tendeva l’orecchio. Appena aprì la porta per andare in cucina, la tosse riprese: era chiaramente un uomo.
“Papà è al lavoro… chi potrebbe essere?”, si chiese. Aveva paura di guardare, perché la stanza era oscurata da una tenda.
Mangiò in fretta e uscì di casa, sperando di incontrare sua madre lungo la strada. La cercò con lo sguardo, ma non la vide, così si sedette su una panchina. Passò Mirko, il ragazzo del vicinato, che andava in terza media e a volte lo accompagnava a scuola.
“Mirko!”, lo chiamò agitando la mano. “Vieni un attimo!”
“Che c’è?”, chiese lui, avvicinandosi.
“Mirko… c’è qualcuno in casa che tossisce. Ho paura, i miei non ci sono…”
“Come ‘qualcuno che tossisce’? Chi sarebbe?”
“Non lo so! Quando sono uscita non c’era nessuno, ora sì. Ho paura di guardare… vieni con me?”
“D’accordo”, annuì Mirko, e insieme rientrarono.
Tacquero e ascoltarono: silenzio. Violetta indicò la tenda, Mirko la scostò e sbirciarono. Sul letto giaceva un uomo magrissimo, pelle e ossa.
“Buongiorno… chi è lei?”, chiese Violetta da dietro Mirko.
“Buongiorno”, rispose l’uomo con voce rauca. “Sono Gennaro… tuo zio.”
Violetta non ricordava alcuno zio Gennaro. Richiusero la tenda e uscirono.
“Vedi? È tuo zio, non c’era da preoccuparsi. Vado, mia madre mi aspetta”, disse Mirko.
Violetta attese con ansia il ritorno di sua madre per chiederle dello zio.
“È tuo zio Gennaro, il mio fratello minore. È stato in prigione per anni, ora è uscito e si è ammalato. Tu eri troppo piccola per ricordarlo.”
“È arrivato malconcio, e tuo padre ha detto: ‘Stia qui con noi, si riprenderà, magari con qualche erba.’ Ma non so… temo non avrà molto tempo.”
Gennaro, il fratello minore di Tiziana, era cresciuto come un ragazzino ribelle. A sedici anni, con altri ragazzi, aveva svaligiato un negozio nel borgo. Non c’erano soldi in cassa, ma presero dolci, biscotti, sigarette e vino, nascondendoli in una casetta abbandonata nel bosco. Li beccarono subito, e a Gennaro diedero tre anni di riformatorio. Poi, compiuti i diciotto, lo trasferirono in carcere. Lì combinò altri guai, e alla fine ne uscì a venticinque anni, più morto che vivo.
Quella notte Violetta faticò a dormire, sentendo lo zio tossire. Si ricordò della signora Evelina, un’erborista del borgo che curava tutti con le piante.
“Domani andrò da lei”, pensò. “Forse mi darà qualcosa per aiutarlo.”
Il giorno dopo, dopo scuola, bussò alla sua porta.
“Buongiorno, signora Evelina. Devo salvare mio zio, sta molto male, potrebbe morire.”
La vecchietta la fece sedere, le servì del tè e le offrì un dolce.
“Raccontami tutto, cara”, disse, e Violetta spiegò.
Evelina ascoltò, poi si alzò e prese dalle mensole sacchetti e foglietti, annotando qualcosa.
“Ecco, cara. Ho scritto tutto: come preparare le tisane e quando prenderle. I sacchetti sono etichettati.”
“Grazie, signora Evelina”, disse Violetta. “Faremo così.”
Tornata a casa, poco dopo arrivò sua madre.
“Mamma, guarda cosa ho preso dalla signora Evelina! Cureremo zio Gennaro con queste erbe. Mi ha persino dato un vasetto di miele. Sarò io a occuparmi di lui.”
Tiziana annuì, come per dire “fai pure”, ma non disse nulla. Non credeva in quelle cose.
Ogni mattina Violetta si alzava prima, preparava le tisane e le lasciava a Gennaro su uno sgabello vicino al letto, spiegandogli quando berle.
“Eh, Vio’, sei proprio indomita”, sussurrava lui, guardandola con affetto. Capiva che era l’unica che credeva davvero nella sua guarigione.
Violetta tornò dalla signora Evelina per aggiornarla, e quella la lodò.
“Brava, cara. Fallo alzare piano piano, poi camminare. La terra sotto i piedi gli darà forza.”
E Violetta si era data una missione: salvare zio Gennaro a ogni costo. Lui ormai ci credeva. Prima si sedette sul letto, poi Violetta gli mise un cuscino dietro la schiena. Poi scese, si alzò, rimase in piedi. E passo dopo passo, Gennaro si riprendeva. Certo, il medico gli aveva dato medicine, ma Violetta era convinta che senza di lei non ce l’avrebbe fatta.
Tiziana cucinavaCol passare degli anni, Violetta diventò un dottoressa affermata, lo zio Gennaro si sposò e fondò una famiglia felice, e ogni volta che si rivedevano, lui le sorrideva dicendo: “Grazie, mia piccola indomita, per non aver mai smesso di credere in me”.