Perdonare in ritardo

Grazia Romano strappò il ricevitore dall’orecchio, le mani tremanti. “Non chiamare mai più! Hai capito? Mai!” Sbatte la cornetta sul vecchio apparecchio attaccato al muro della cucina. Il cuore le martellava così forte che dovette sedersi sulla seggiola di legno.

“Che succede, mamma?” Donatella, sua figlia, apparve sulla soglia della camera. “Chi era?”

“Nessuno,” rispose Grazia con voce roca. “Telefonata sbagliata.”

Donatella si avvicinò, notando il pallore sul volto della madre. “Mamma, sei tutta scossa. Cosa è accaduto?”

“Tuo padre,” sussurrò Grazia. “Dopo tutti questi anni… Vuole incontrarci. Dice che gli manchiamo. Che si pente di tutto.”

“Babbo ha chiamato?” Donatella si sedette accanto a lei, afferrandole le dita gelate. “E cosa voleva?”

“Perdono. Che lo lasciassi venire qui. Dice che sta male, che i dottori…” Grazia tacque, asciugandosi una lacrima con furia. “È tardi, Donatella. Troppo tardi per certe cose.”

“Raccontami davvero cos’è successo, allora. Ero piccola, ricordo solo che se n’è andato.”

Grazia si alzò, avvicinandosi alla finestra. Fuori, pioggia sottile rigava i vetri. “Avevi sette anni. In casa non restava nemmeno un suo calzino. Ti dicevo fosse in trasferta per lavoro… Ma io per prima non sapevo dov’era finito.”

“È sparito? Senza una parola?”

“Non è sparito. Ci ha tradite,” disse Grazia, le labbra serrate. “Me, te, questa casa. Aveva un’altra famiglia. Altra moglie, altri figli. Ha scelto loro.”

Donatella rimase in silenzio. A trentadue anni, i ricordi del padre erano nebbia.

“Giurava di amarci,” riprese Grazia. “Veniva a casa ogni giorno, ti portava al parco, ti leggeva le fiabe. Poi scoprii che aveva un’altra figlia. Tre anni più grande di te. E una moglie che si sentiva legittima, ignara della nostra esistenza.”

“Dio, mamma… Come facesti a saperlo?”

“Una pagliacciata. Fu ricoverato per una polmonite. Andai a trovarlo all’ospedale… Ed eccola là. Una donna con una bambina. Quella piccola urlava ‘Papà!’, lui la stringeva. Mi vide sulla soglia e impallidì. Quella, Lidia, mi squadrò: ‘Chi è, Vittorio?’. Lui. Stette muto.”

“Poi?”

“Fu breve. Lei disse che erano sposati da otto anni. Che l’appartamento era intestato a lei. Che sua figlia portava il cognome di Vittorio. Io? Io ero l’ingenua innamorata. Niente matrimonio civile, lui diceva che il vero amore non aveva bisogno di carte. Te registrò col suo cognome, sì, ma i documenti li teneva lui. Io non avevo nulla.”

Donatella abbracciò la madre. “Perché non me l’hai mai detto?”

“Perché dovresti saperlo? L’infanzia fu già abbastanza dura. Lavoravo su due turni, i soldi non bastavano mai, i medici quando stavi male… Pensavo: un giorno, quando sarai adulta. Poi la vita ti è andata bene, ti sei sposata. A che pro riaprire ferite?”

“E lui? Non ha mai cercato contatti?”

“All’inizio sì. Veniva sotto le finestre, implorava. Non aprivo. Poi lettere, soldi. Bruciavo le lettere. Rimandavo indietro i soldi. Orgoglio, troppa superbia. Pensavo bastassimo io e te.”

“E ora è tornato.”

“Ora sì. Telefona da giorni. Dice che Lidia è morta. Che sua figlia è adulta, sposata. Che è solo. Vuole conoscere i nipotini. Dice che la malattia lo consuma, che gli resta poco.”

Donatella si allontanò, riflettendo. “Forse dovremmo ascoltarlo? Non lo ricordo nemmeno.”

Grazia le si voltò di scatto. “Che hai detto? Venticinque anni, Donatella! E ora che sta male se ne ricorda?”

“Chiama da una settimana. Per lui conta.”

“Conta!” Grazia rise amaramente. “Conta pulirsi la coscienza prima di morire. E noi? Che ne guadagniamo? Mi restituisce la gioventù? O i tuoi pianti quando chiedevi dov’era papà?”

Donatella appoggiò la testa sul tavolo. “Io l’ho perdonato tempo fa. Da ragazzina capii che la rabbia era veleno.”

“Tu puoi perdonare, sei giovane. Io no. Ricordo ogni notte insonne. I doppi lavori per vestirti. Il tuo pianto quando a scuola ti chiamavano ‘orfana’. Il giorno della tua laurea senza un papà ad accompagnarti.”

“Ma ce l’abbiamo fatta, no? Ho una famiglia solida, bambini sani. Forse davvero siamo state meglio senza.”

“Forse. Ma questo non impone il perdono. Porti la sua colpa sulla pelle. Sappia che certe cose non si aggiustano.”

Il telefono squillò di nuovo. Grazia impietrì, fissando la figlia.

“Non rispondere, mamma.”

“Non lo farò.”

Scosse brevi, poi il silenzio. Un minuto, e risquillò.

“Forse non è lui,” propose Donatella.

“È lui. La
Grazia Petrelli fissò il vicolo autunnale dove le foglie morte danzavano nel vento di tramontana, sentendo nella schiena curva il peso inflessibile del suo rancore—un sentiero inciso così profondamente nel cuore da non poter più essere deviato.

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