Il diritto all’errore.

Il diritto all’errore.
Scoprire che papà aveva un’amante fu un caso per Giulia: marinò il liceo per accompagnare l’amica dal tatuatore. Non poteva certo presentarsi al centro commerciale in divisa, così fece un salto a casa per cambiarsi. Mentre infilava i jeans, la chiave girò nella serratura. Rimase immobile, in precario equilibrio su una gamba mentre l’altra era incastrata nella stoffa. Per un attimo temette fossero ladri, poi riconobbe la voce di papà – pareva in chiamata.
“Prendo la tuta e parto subito, non posso dire che ero in palestra se la borsa è sotto il letto!”.
S’era sbagliata: non era al telefono, stava registrando un messaggio vocale. Dopo un minuto, una voce femminile:
“Amore, che nostalgia! Non vedo l’ora… Ho fatto le tue patatine al forno preferite, sbrigati o si freddano. Bacioni mille!”.

Il senso le arrivò in ritardo: prima riconobbe la voce. Era zia Caterina, collega di papà e sorella della migliore amica di mamma, spesso loro ospite. A Giulia piaceva: zia Cate non fingeva di sapere tutto, si divertiva e ascoltava musica moderna, non quelle lagne preferite dai suoi genitori. Solo ripensando al perché zia Cate mandasse messaggi vocali a papà, capì tutto.
La serratura scattò di nuovo, poi silenzio. Giulia sprofondò sul letto riascoltando mentalmente le parole di zia Cate. No, non si sbagliava: papà aveva una relazione. Che fare? Dirlo a mamma? Come comportarsi con lui e con lei?
Senza decidere, corse all’appuntamento – l’amica le aveva già scritto cinque volte. Aspettavano quel tatuaggio da un mese, con l’amica diventata maestra nel falsificare la firma materna. Ma l’entusiasmo era svanito.
“Giù, che ti prende?” insistette l’amica. “Fai il muso? Vuoi un tatuaggio anche tu? Ti falsifico la firma, è un attimo!”.

Quanto avrebbe voluto condividere quella notizia bomba, spartire il peso! Ma non poteva nemmeno con l’amica. Finse che il problema fosse davvero il tatuaggio.
Per due settimane non studiò, evitò gli amici, schivò mamma e fu sgarbata con papà. Senza sapere come andare avanti. Quasi glielo disse una volta, ma mamma la rimproverò per un due in chimica e finirono per litigare selvaggiamente. La sera mamma entrò in camera con un bignè al cioccolato che Giulia adorava:
“Scusami, patatina. Urlare non è educativo. È solo che tremo per i tuoi esami! Voglio il meglio per te…”.
“Mamma, smettila, gli esami li passo! Questo bignè è per me?”.
“Certo. Pace? Odio quando litighiamo!”.
Giulia prese il dolce, sbaciucchiò la guancia di mamma e si promise: non le avrebbe mai fatto quel male. Se una stupida lite la turbava così, figurarsi scoprire di papà! Doveva impedirglielo a tutti i costi.

Così, suo malgrado, diventò complice del padre: copriva i suoi ritardi “lavorativi”, gli ricordava feste e richieste di mamma, la distraeva se squillava il suo telefono. Intanto ignorava ogni sua richiesta, gli rispondeva male e faticava a non dirgli in faccia cosa pensava.
Poi tutto sembrò aggiustarsi: papà tornò puntuale, Giulia passò gli esami ed entrò alla terza liceo. Quella storia svanì come un incubo. Conobbe poi Matteo: due anni più grande, primo anno di Giurisprudenza, suonava la chitarra. La sera uscivano col gruppo, ma sempre più spesso si isolavano. Come quella volta alla fontana di Trevi: non videro l’ora passare. Sperò che i genitori non controllassero, e sgattaiolò in camera sulla punta dei piedi.
“Uff, l’abbiamo fatta franca”, pensò.
“Giulia?”.
Non l’avevano fatta.
Mamma sporse la testa in camera.
“Sei un po’ in ritardo”.
Giulia si preparò al sermone, ma mamma pareva distratta.
“Scusa, con le amiche… Mamma, stai bene?”.
Anche nella penombra, notò i suoi occhi rossi.
“Tutto bene. Dimmi, sei stata in gioielleria con papà? Solo una curiosità…”.
Un sesto senso le suggerì cautela.
“In gioielleria?”.
“Ho visto per caso uno scontrino di orecchini e ho pensato…”.
“Ah, già! Scusa, ho chiesto soldi a papà per il regalo di Martina, compie gli anni. Volevo farle una sorpresa, ha appena bucato le orecchie… Ho esagerato?”.
Il viso di mamma si illuminò.
“Certo che no! Sei un angelo a ricordare le date, tutta tua padre!”.

Mentirle fu così brutto che il giorno dopo Giulia decise: basta! Parlare con papà la terrorizzava. Ma incontrare zia Cate… poteva farcela. Non sapeva cosa dirle, ma avrebbe improvvisato.
Papà e zia Cate lavoravano in redazione: lui giornalista, lei caporedattrice. Da piccola, Giulia andava spesso col padre, entrare fu facile.
Doveva solo cogliere il momento giusto, senza papà. Dopo
Mentre osservava la scritta “L’amore è cieco” appena tatuata, un ragazzino in monopattino le urlò “Bella disegnata, zia!” e Lisa scoprì che l’ironia della vita è più efficace di qualunque psicoterapia, soprattutto quando ti fa passare dal dramma alla risata in un solo istante.

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