Incontro sul Ponte

**Incontro sul Ponte**

Le foglie autunnali cadute danzavano nel vento, volteggiando nell’aria prima di posarsi delicatamente sul selciato. Niccolò tornava a piedi dai genitori, lasciando l’auto nel loro cortile perché aveva bevuto un bicchiere di vino con suo padre, appena tornato da una vacanza termale. Il vecchio raccontava alla moglie e al figlio con entusiasmo quanto si fosse divertito e come lo avessero coccolato.

“Allora, cara, la prossima volta veniamo insieme, da solo è stato un po’ noioso,” disse il padre, strizzando l’occhio alla moglie.

“Papà, con tutte quelle donne libere lì, non avresti dovuto annoiarti,” scherzò Niccolò, osservando la reazione divertita della madre.

“Donne sì, ma tutte più anziane e malaticce. E poi, come potrei scambiare tua madre per qualcun’altra?” rispose il padre, con uno sguardo affettuoso verso la moglie.

Niccolò si era trattenuto più del previsto, arrivato da solo perché, come al solito, Valeria non aveva voluto unirsi a lui. I genitori abitavano non lontano dalla casa che lui affittava. Fin dal primo incontro, non avevano mai accettato Valeria, anche se non lo avevano mai detto apertamente. Solo sua madre gli aveva sussurrato:

“Niccolò, non è la donna giusta per te… Valeria non è fatta per una vita familiare, credimi, ho l’occhio lungo.”

“Mamma, come fai a dirlo? L’hai vista una volta sola!”

“Va bene, figlio mio, vivete pure la vostra vita. Ma un giorno ti ricorderai di me. L’unica cosa che mi consola è che non avete intenzione di sposarvi. Stai tranquillo, Valeria non si accorgerà mai del nostro disprezzo…”

Quella mattina, uscendo per l’ufficio, Niccolò aveva detto a Valeria che sarebbe passato dai genitori dopo il lavoro. Suo padre era appena tornato.

“Sentiamoci più tardi, Vale. Oggi è il tuo giorno libero, potremmo incontrarci da loro, passare un po’ di tempo insieme.”

“Non posso, Nico. Ho promesso a un’amica di farle visita. Sai, Caterina è malata, a casa con l’influenza. E poi ho appuntamento per la manicure, l’ho prenotato da settimane,” rispose Valeria.

Niccolò sapeva già che non sarebbe venuta, ma aveva chiesto lo stesso, per tentare.

“D’accordo, allora starò un po’ di più. Mio padre non mi lascerà andare così facilmente, vuole brindare al suo ritorno,” rise lui, dandole un bacio prima di uscire.

“Non c’è fretta, starò un po’ con Caterina,” replicò lei.

“Allora chiamami, verrò a prenderti,” disse lui. “Non vagare al buio da sola.”

La sera aveva già avvolto la città, e i radi lampioni combattevano invano contro l’oscurità. Non era ancora tardi, ma in autunno la notte cala in fretta. Niccolò non chiamò Valeria, convinto che fosse già a casa. Camminava di buon umore, rilassato dal vino e dalle chiacchiere con i genitori.

Appena aprì la porta di casa, sentì le risatine di Valeria provenire dalla camera da letto. Si affacciò e la vide mentre il suo migliore amico si rivestiva con calma. Lei gli diceva:

“Sbrigati, Marco, Nico tornerà presto e non vogliamo guai…” Ma poi lo vide sulla soglia e ammutolì.

Le gambe lo portarono via dall’appartamento prima ancora che potesse realizzare ciò che aveva visto.

“Valeria con il mio migliore amico… Nemmeno nei peggiori incubi avrei immaginato una cosa del genere…”

Era distrutto. Camminava senza meta, senza voglia di vivere. Si ritrovò su un ponte, le auto che sfrecciavano accanto accecandolo con i fari. Si voltò e guardò giù, nell’oscurità dell’acqua. Rimase lì a fissare il vuoto.

All’improvviso, qualcuno gli sfiorò la manica. Si voltò e vide un anziano signore con gli occhiali e una barbetta corta. Il vecchio parlò con voce tremula:

“Giovanotto, non le pare un po’ troppo alto qui? Di solito non mi intrometto, ma spero di aver capito male se pensava di fare qualcosa di stupido…” accennò al fiume sotto di loro.

Finalmente Niccolò riuscì a riprendersi, quasi inorridito dall’idea che quell’uomo potesse pensare una cosa simile.

“Ma no, certo che no! Non ho intenzione di…” fece anche lui un cenno verso l’acqua.

“Menomale,” disse il vecchio. “In che direzione va?”

“Non lo so. Sto solo camminando,” rispose Niccolò, sinceramente senza meta.

“Allora mi accompagni dall’altra parte? Abito oltre il parco, se non le dispiace.”

Niccolò accettò.

“A proposito, come si chiama? Io sono Enzo De Luca.”

“Niccolò.”

Attraversarono il ponte, non troppo lungo, sul fiume non troppo largo. Enzo gli raccontò di aver insegnato economia all’università fino a tre anni prima, ora in pensione.

“All’inizio mi annoiavo, non sapevo cosa fare. Poi è nato il mio pronipote, e ora la casa è piena di vita. Viviamo io, mia nipote Adelina e il piccolo Ettore.”

La voce calma di Enzo lo tranquillizzava.

“Niccolò, qualcosa è successo,” disse Enzo, più come affermazione che come domanda. “Dove vuoi andare? Forse ho sbagliato a chiederti di accompagnarmi, magari hai da fare.”

“Non so dove andare. Dai miei non voglio, ci sono appena stato. E a casa… non ci torno. Lì c’è…” Non voleva ricordare.

“Capisco, non dire altro. Perché non vieni a casa mia? Abbiamo spazio, potresti anche restare a dormire. Ogni sera faccio questa passeggiata: da casa, attraverso il ponte e ritorno.”

“Non vorrei disturbare, col bambino… È già tardi.”

“Non è così tardi. Ettore va a letto dopo le nove, e abbiamo ancora tempo,” controllò l’orologio. “Dai, vieni.”

Niccolò non sapeva perché accettò. Forse perché non aveva altro posto dove andare. Entrarono nell’appartamento al terzo piano in silenzio, si tolsero scarpe e cappotti e andarono in cucina.

“Siediti, ti faccio un tè,” disse Enzo.

Finalmente Niccolò ebbe modo di osservare bene il suo compagno: alto, robusto, capelli e barba bianchi che gli davano un’aria da professore. Con movimenti precisi, Enzo prese le tazze dalla credenza, senza far rumore. Sul tavolo c’era già un vassoio con biscotti e cioccolatini.

“Nonno, chi è?” una vocina improvvisa fece voltare Niccolò. “Tu chi sei?” chiese il bambino, fissandolo con curiosità.

Era un bel ragazzino di circa tre anni.

“Lui è Niccolò, nostro ospite,” rispose Enzo.

“Io sono Ettò!” annunciò fiero il piccolo, storpiando il nome mentre tendeva la mano.

Niccolò sorrise, commosso.

“Ciao, Ettore. Non dormi ancora?”

“No!” scosse la testa, proprio mentre Adelina entrava in cucina.

“Oh, buonasera! Non sapevo avessimo ospiti,” disse con una voce dolce.

“Io lo sapevo! Io lo sapevo!” saltellò Ettore intorno a lei.

“Ecco Adelina, mia nipote,” presentò Enzo. “Lui è Niccolò.”

“Nonno, ti aiuto?” Adelina si avvicinò al bollitore

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