Signora Bianchi, la supplico! Non mi licenzi! Ho due figli, un mutuo! — Alessia era in piedi davanti alla preside, stringendo documenti sgualciti. — Correggerò tutto, lo giuro!
— Professoressa Rossi, ha falsificato la laurea in Scienze della Formazione. È una grave infrazione che…
— Stavo terminando gli studi! Parola mia! Mancava solo un anno alla laurea all’università! — interruppe l’insegnante di scuola primaria, le lacrime solcandole il volto. — Signora Bianchi, mi conceda un’opportunità!
La preside della scuola primaria numero ventitré osservò la giovane con compassione. Alessia lavorava lì da tre anni, i bambini l’adoravano, i genitori la elogiavano. Ma la legge era legge.
— Va bene. Ha un mese per presentare la laurea autentica. Altrimenti…
— Grazie! Grazie infinite! — Alessia si diresse verso la porta, ma sulla soglia si voltò. — Come ha scoperto?
— L’Ufficio Scolastico Regionale ha verificato i documenti del personale. È emersa per caso la discrepanza.
Alessia uscì dall’ufficio e quasi sbatté contro Bruno Romano, il professore di educazione fisica. Alto, capelli brizzolati, cinquantacinquenne, la trattenne gentilmente per un gomito.
— Cosa succede, Alessia? Sembra un cencio lavato.
— Signor Romano, è finita! — singhiozzò. — Mi licenziano!
— Ma per quale motivo?
Alessia esitò. Vergognava confessare la verità. Bruno era integerrimo, impeccabile reputazione, insegnava da vent’anni.
— Problemi coi documenti, — borbottò evasiva.
— Quali problemi? Forse posso aiutarla.
Lei lo fissò con occhi gonfi. Bruno le aveva sempre rivolto un’attenzione paterna: caramelle, domande sui figli. Dopo il divorzio, ad Alessia mancava quel sostegno maschile.
— La laurea… Ho difficoltà con la laurea.
— L’ha smarrita?
— Sì, — mentì, aggrappandosi a quella scusa. — Durante il trasloco. E rifare il duplicato richiede mesi, burocrazia infernale.
Bruno si grattò il mento pensoso.
— Dove si è laureata? In che anno?
— All’Università di Bologna, — rispose senza batter ciglio. In realtà, aveva frequentato solo tre anni, poi matrimonio, figli, e mai concluso.
— Sa, conosco un responsabile dell’archivio lì. Potrei chiedergli di accelerare le pratiche. Con quale cognome risulta? Da sposata o da nubile?
Alessia sentì sprofondare in una palude di menzogne.
— Da nubile. Alessia Maria Rossi.
— Bene, parlerò con Simone Conti. Gestisce quell’archivio. Siamo amici dai tempi dell’università.
— Signor Romano, è… troppo buono con me, — sussurrò. — Non so come ringraziarla.
— Ma figuriamoci! Siamo colleghi. Dobbiamo sostenerci.
A casa, Alessia si aggirava in cucina come una belva in trappola. Matteo, sette anni, faceva i compiti, Giulia, cinque, giocava con le bambole.
— Mamma, perché piangi? — chiese il bambino sollevando lo sguardo.
— Nulla, tesoro. Solo stanchezza.
— Papà verrà?
— No, Matteo. Papà
Francesca sorrise tra le sue braccia mentre danzavano un lento al ballo dell’anima, capendo che a volte il destino forgia le vite più sincere proprio attraverso strade impreviste.