L’amore arrivò all’improvviso, ma qualcosa andò storto
Una sera, mentre tornava a casa dal lavoro, come sempre attraversando un piccolo parco, a Vittoria capitò tra i piedi un cucciolo minuscolo che sbucò da un cespuglio. Era paffuto e rotondo come una palla.
«Oh, ma da dove vieni, tesorino?» si stupì lei, chinandosi verso di lui.
Il cagnolino guaiva, scodinzolava con la sua codina piccolissima e le ficcava il muso nelle scarpe da ginnastica. Lo prese in braccio, e quello la guardò con occhi così fedeli e tristi che non poté lasciarlo lì.
Vittoria tornò a casa con il cucciolo tra le braccia, aprì la porta dell’appartamento e lo posò a terra. Lui iniziò subito a esplorare la nuova dimora.
«E adesso cosa faccio con te? Non ho la minima esperienza… e poi, come ti chiamo?» Rifletté a lungo, senza nemmeno sapere che razza fosse, né se sarebbe cresciuto grande o piccolo. Intanto lui continuava a curiosare. Lo cercò con lo sguardo, ma non lo vide subito.
«Ehi, dove ti sei cacciato, eh, Pippo?» chiamò, e il cucciolo rotolò fuori da dietro il mobile dove c’era la televisione. «Ah, allora sei Pippo! Hai risposto al nome, quindi sarai Pippo per sempre, e se diventi enorme, ti chiamerò Pippone.»
Il cucciolo aveva fame e piagnucolava. Vittoria andò in cucina, e lui la seguì. Non trovò nulla nel frigo adatto a nutrirlo.
«Devo almeno comprare del latte» pensò. «Meglio ancora, andrò al negozio di animali proprio di fronte a casa e chiederò consiglio.»
«Allora, Pippo, vado al negozio. Tu aspetta qui, torno subito» gli disse, accarezzandolo prima di uscire e chiudendo con cura la porta. Lui avrebbe voluto seguirla.
Al negozio, Vittoria spiegò la situazione al commesso.
«Non ho idea di come accudirlo. Mi sono presa una responsabilità enorme.»
«Nessun problema, ce la farà. Le spiego tutto, e poi c’è sempre internet.»
Tornò a casa con le buste piene di cibo per cuccioli, seguendo i consigli ricevuti. Giorno dopo giorno, il piccolo cresceva, e Vittoria imparava sempre di più su come prendersi cura di lui. Lo portava a spasso al guinzaglio, temendo di perderlo.
«Pippo, no! Pippo, basta!» gli ordinava.
La sua più grande preoccupazione era quando era al lavoro:
«Chissà cosa combinerà stavolta. Cosa avrà rosicchiato?»
Pippo divenne un bel Pippone. Non enorme, ma di taglia medio-grande, di colore marrone e pelo corto. La vicina Elvira, che aveva un pastore tedesco di razza e se ne intendeva, le disse:
«Vittoria, probabilmente è un incrocio tra un labrador e chissà cos’altro, ma ci somiglia.»
«Va bene così» rispose Vittoria sorridendo. «Non l’ho scelto io, è lui che ha scelto me.»
Passò un anno, e continuava a chiamarlo Pippo, tranne quando era severa: allora diventava Pippone. Era un cane obbediente, seguiva ogni comando. La mattina e la sera “portava a spasso” la padrona, come lei stessa diceva scherzando.
«Pippone, per colpa tua non posso dormire nemmeno nel weekend. Mi svegli puntuale come una sveglia» gli diceva, accarezzandogli la testa e la schiena.
Ma nei fine settimana, Pippone era felice: andavano al parco, vicino al lago, dove c’era un’area per cani, e lì si scatenava. Tornava a casa lentamente, con la lingua penzoloni. Era un amico fedele, la consolava nei momenti tristi, e viceversa. Vittoria non riusciva più a immaginare la sua vita senza di lui.
Poco prima che Pippo la trovasse nel parco, aveva lasciato il suo ragazzo, Luca. Avevano vissuto insieme nel suo appartamento per un anno, litigando continuamente. Non riusciva a fargli mantenere l’ordine. Tornando dal lavoro, lasciava le scarpe in mezzo all’ingresso, la giacca appoggiata sul mobile. All’inizio, Vittoria sistemava tutto, ma poi glielo fece notare.
«Luca, c’è un posto per ogni cosa. Metti la giacca al suo posto, le scarpe anche. Non sono la tua domestica.»
«Che senso ha? Tanto domani le indos