Non nascere bella, ma utile.

Quel pomeriggio a caffè Greco, Simona mi lanciò uno sguardo sconvolto. “Fiammetta, sei impazzita? Sandro ti tratta come uno straccio! Ti chiama quando gli fa comodo!” Sospirai, mescolando lo zucchero nel caffè ristretto. “È impegnato col lavoro, Simò. Ha un’azienda, impegni costanti…” “Me ne frego della sua azienda!” La vidi arrossire. “Hai trentasei anni! Fino a quando sarai l’aeroporto di riserva?”

Mi contrassi. Simona diceva sempre le cose in faccia. E aveva ragione, ma quella verità bruciava più del sole d’agosto. “Che alternative ho? Le bellezze sono ovunque, io… sono normale. Però pratica. Non faccio scenate, non pretendo.” “Sentiti!” Mi strinse il polso. “‘Pratica’? Mica sei uno zerbino! Hai una laurea, un buon lavoro, casa tua. Sei intelligente, leale…” “Solo non bella.” La interruppi amaramente. “Gli uomini scelgono con gli occhi, lo sai.”

Simona scosse la testa incredula. Vent’anni d’amicizia e ancora non riconoscevo il mio valore. Come all’università: sempre in ombra, pronta ad aiutare, accomodare, non disturbare. Chiesi all’improvviso: “Ricordi Marco? Mi piaceva da morire. Tre anni dietro a lui: appunti, aiuti nei seminari. Neanche mi guardava. Poi arrivò Isabella Rossi…” “Ma sono secoli fa!” “Per me è ieri.” Sorrisi triste. “Imparai che le belle vadano dalla vita, le altre devono rendersi utili.”

“Marco finì alcolizzato! Isabella divorziata tre volte! E tu?” “Loro vivono. Io mi adatto.” Il telefono squillò. “Sì Sandro… Certo, arrivo.” Simona mi guardò agitarsi con orrore. “Di’ che sei occupata.” “Non posso, solo due ore libere…” “Vi siete visti cinque giorni fa!” “Troppi.” Uscii lasciandola da sola.

Una volta ero diversa. All’Università La Sapienza, non bella ma anima della festa. Organizzavo gite, aiutavo tutti. Mi chiamavano “Fra’ Fiammetta” – e ne ero fiera. Dopo la laurea, economista in un’azienda solida. Casa, macchina. Ma niente sentimenti.

Il primo vero amore a ventotto: Andrea, collega. Tranquillo, affidabile. Felice che mi apprezzasse per carattere e anima. Dopo due anni, lui s’innamorò di una stagista carina. “Sei meravigliosa, Fiamma… ma con Claudia è diverso. Passione, fuoco…” “Con me tranquillità, vero?” Chiesi. “Comodità?” “Sì.” Disse. Capii: la bellezza dà ardore, la comodità dà routine. Routine che annoia.

Dopo Andrea, altri storie. Sempre uguali: uomini arrivavano feriti – divorzi, licenziamenti. Li curavo. Rinati, sparivano con una bella. “Con te sto bene… ma manca la scintilla.” Capivo.

Poi Sandro. Imprenditore, divorziato, figlia adolescente Viola. Ci incontrammo per un aiuto fiscale. “Sei un vero professionista. Una persona buona.” Persona. Non donna. Buona. Utile.

Ma quando mi chiese un incontro sociale, sperai. Primo appuntamento splendido: conversazione brillante. Si lamentava dell’ex moglie: “Bellissima, ex modella… ma il carattere! Insopportabile.” Pensai: “Ha capito che la bellezza non basta.”

All’inizio sembravo così. Telefonate quotidiane, teatri, caffè. Regali. Ma complimenti strani: “Sei così pacata. Così facile.” “Mi capisci senza pretese.” Mi rallegravo senza notare che quei complimenti parlavano di comodità, non d’amore.

Poi, routine. Sandro chiamava tra un impegno e l’altro. Veniva quando Viola era dalla madre. Cene casalinghe, film, chiacchiere lavorative. “Presentami ai tuoi amici?” Chiesi. “Perché? Evitiamo complicazioni.” Complicazioni: così chiamava la mia presenza nella sua vita. Capii quando lo vidi al centro commerciale con una brunetta, animato, galante. Com’era diverso con me: placido, passivo.

Quella sera telefonò: “Fiamma, stanco morto. Desidero pace.” Pace. Dopo la passione. Dopo la bella, Fiammetta comoda. “Vieni.” Dissi. Arrivò, parlò di stress. Preparai la cena. Ora sapevo che la sua vita vera era altrove. Io: pausa tra eventi.

Quel giorno al caffè Greco, Simona spiattellò verità crude. Sandro mi aspettava al ristorante. Due ore libere, come un appuntamento dal dentista. A tavola distratto, controllando l’ora. Parlava di progetti, concorrenti. Ascoltavo da brava. “Sei magnifica.” Disse improvviso. “Mi capisci senza scenate. Altre farebbero storie…”

“Altre?” Chiesi. Impallidì. “Conoscenti… Donne moderne esigenti. Tu sei speciale.” Speciale. Pratica. Modesta. Appagata da briciole. “Sandro… dove stiamo andando?” Guardò l’orologio. “Perché cambiare? Non ti lamenti.” ”
Domani, mentre il sole baciava i ciottoli di Trastevere, avrei finalmente compreso che la vera libertà è una tazzina di caffè sorseggiata lentamente, senza aspettare che qualcuno la vuotasse per distrazione.

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