La Redenzione Arrivò
Serafina era una donna creativa, piena di fantasia e inventiva. Qualunque cosa facesse, risultava interessante e bella. Dolce, silenziosa, modesta, ma soprattutto indispensabile. Insegnava in una scuola elementare di un piccolo paese di campagna.
Bambini, genitori e persino i colleghi la adoravano. Se un insegnante si ammalava, lei lo sostituiva volentieri, anche di pomeriggio, pur di non lasciare gli alunni senza lezione.
“Serafina, non riesco a risolvere questo problema,” diceva il suo alunno, Michele.
“Ma ci hai almeno pensato un po’?” gli chiedeva, sapendo benissimo che lui non aveva la minima voglia di ragionare: avrebbe copiato da chiunque, e se i compagni si rifiutavano, correva da lei.
Con pazienza, glielo spiegava finché Michele non capiva. E quando finalmente la luce si accendeva nella sua testa, si illuminava tutto:
“Ah, ma allora era facile!”
Serafina era cresciuta in un orfanotrofio, e poi aveva studiato all’istituto magistrale. Da neonata, l’avevano lasciata sulla porta della struttura, e l’infermiera le aveva dato quel nome perché le piaceva. Il patronimico? Inventato lì per lì, come si faceva con tutti i trovatelli. Come tutti gli orfani, aveva imparato a sopportare in silenzio, senza lamentarsi. A chi avrebbe potuto rivolgersi?
Non aveva conosciuto l’affetto dei genitori, ma sognava una famiglia sua, dei figli. Sapeva che li avrebbe amati, che avrebbe riversato tutto l’amore mai ricevuto sul marito e sui bambini. Sperava di incontrare l’uomo giusto e costruire una vita insieme.
Ma il destino volle che sposasse Gregorio, un autista di camion del paese. Lui si era accorto della giovane maestra, e lei, desiderosa di un nido tutto suo, anche solo un assaggio di felicità, aveva accettato. Lui la osservava da tempo, e un giorno la fermò.
“Serafina, ti guardo da un po’. Sei una brava ragazza. Sposami. Non sono il tipo da romanticismi, fiori e corteggiamenti, io sono diretto. Sono più vecchio di te, ma pazienza. Ho una casa grande, i miei genitori sono morti giovani e ora ci vivo solo. Voglio una padrona di casa.”
Certo, anche Serafina sognava un po’ di poesia: l’uomo che si inginocchia, l’anello, la proposta. Invece, tutto così pratico: “Vieni, sposiamoci.”
“Va bene, Gregorio, accetto,” rispose. E in poco tempo, un piccolo matrimonio, ed eccola nella casa del marito.
Qualcuno, prima delle nozze, aveva provato a dissuaderla.
“Serafina, rifletti bene. Gregorio non è l’uomo che fa per te. Sei ragginata, creativa, lui è un uomo semplice. Siete troppo diversi.”
Gregorio era sempre stato un tipo solitario, ricordavano tutti in paese. Lavorava sodo, e i suoi superiori ne parlavano bene. Ma era chiuso, poco socievole. A lui piaceva Serafina perché era una bella ragazza, alta, con lunghi capelli raccolti in una treccia. A volte se li avvolgeva intorno alla testa, come una corona, e questo lo intrigava. Occhi verdi, modesta, silenziosa. Una moglie perfetta, secondo lui.
Dal primo giorno, Serafina dimostrò di essere un’ottima massaia. Teneva la casa in ordine, cucinava benissimo e il cortile era sempre pulito. Gregorio notò però che la moglie era un po’ strana: a volte leggeva poesie ad alta voce, cantava mentre puliva, come se ogni cosa la rendesse felice. Lui non capiva queste sottigliezze, non era nel suo carattere. La sera guardava le soap opera e lavorava a maglia, creando piccoli regali per i vicini.
Serafina cominciò a preoccuparsi:
“Perché non riusciamo ad avere un bambino? Passa il tempo… dovremmo. I figli sono importanti, sono il futuro. Dovrebbe essere tutto normale, come per gli altri.”
Anche Gregorio ci pensava. Notava che la moglie diventava sempre più triste, il sorriso sempre più raro.
“Serafina è afflitta perché non riesce a rimanere incinta. Ha appeso le icone nell’angolo, la sento pregare,” pensava quando la udiva sussurrare le preghiere.
Lui non credeva in niente, ma non le impediva di farlo.
“Lasciamola pregare. Se ci crede, pace. A me non costa nulla.”
Come moglie, Serafina gli andava più che bene. Tranquilla, rispettosa, stimata in paese per come insegnava ai bambini. Però, un giorno tornò a casa e trovò una capra nel cortile. Poi arrivarono le galline, tutto senza chiederglielo.
“Be’, pazienza,” pensò Gregorio, “tanto serve alla casa. Tutti hanno animali.”
Ma quando tornò dal lavoro e vide un cucciolo di cane in giardino, non trattenne il fastidio:
“Serafina, cos’è questa bestiolina? Non ci mancavano altro che i cani, poi ci riempirà di cuccioli!”
“Gregorio, è piccolino, si è avvicinato da solo. Lasciamolo stare. Una scodella di minestra in più non ci rovinerà. Guarda, tutti hanno un cane da guardia. Almeno abbaierà se viene qualcuno.”
Lo convinse. Il cagnolino nero, un po’ lanuginoso, rimase.
“Chiamiamola Lola. Crescerà intelligente, già si vede che è sveglia.”
Gregorio le costruì persino una cuccia e, col tempo, si affezionò. La accarezzava, la nutriva, le sistemava la catena quando si ingarbugliava.
Un giorno, senza che se ne accorgessero, il cane del vicino, Ringo, entrò nel loro cortile. Gregorio lo vide scappare via al suo rientro.
“Ecco, Lola ha trovato un amico. Presto avremo cuccioli. Proprio quello che ci mancava.”
Videro che Lola aspettava piccoli. Lui diventava sempre più cupo, lei più inquieta. Tornando a casa, incrociò la vicina, Rosa.
“Serafina, scusami, ma come fai a vivere con quel mostro di Gregorio?”
“Cosa è successo, zia Rosa?”
“Ma non te l’ha detto?! Ecco, appunto, un mostro. Stavo tornando dal paese vicino, dove abita mia nipote, e ho visto Gregorio trascinare Lola con una corda. Lei si ribellava, era chiaro che non voleva andare. Gli ho chiesto dove la portava, e lui: ‘Non sono affari tuoi.’ Ho avuto paura, temevo che volesse farle del male. Mi sono nascosta e ho visto che l’ha data a un uomo.”
Serafina si aggrappò al cuore e corse a casa. Rosa le gridò dietro:
“Forse non avete figli perché Gregorio è così crudele!”
Poco dopo arrivò il marito.
“Gregorio, dov’è Lola? Perché la cuccia è vuota?”
Mai lo aveva visto così furioso.
“Che te ne importa? Hai dimenticato il tuo posto? Il cane non c’è più e non tornerà. Non voglio cuccioli qui.”
Serafina, offesa, si chiuse in camera e pianse.
“Con chi sto vivendo?”
Gregorio non si sentiva in colpa. Ma lei non gli parlò per giorni. Lui cominciò a sentirsi a disagio. Qualcosa gli tormentava il cuore. Mai la moglie era stata così silenziosa. La notte si rigirava, insonne, e gli sembrava di vedere gli occhi tristi di Lola.
Una settimana di gelo. Gregorio non sapeva più che fare. Doveva riconciliarsi.
“Sono un uomo, farò il primo passo