Affinché il domani sia diverso

Anche oggi, Elisabetta si sveglia alle urla in cucina. I suoi genitori litigano di nuovo, insieme agli amici arrivati la sera prima. A nove anni, la bambina non ha mai conosciuto niente di buono nella vita. Si chiede se esista davvero un mondo dove i genitori amano i figli, ma lei non sa cosa significhi.

Indossa il suo vestito logoro, da tempo non lavato, e scivola via dalla cucina, sperando di non essere notata. I genitori sono troppo occupati a bere. Bottiglie vuote sono sparse per terra, tutti ubriachi al tavolo.

“Devo scappare, non voglio sentire altre urla,” pensa Elisabetta.

Si rifugia nel cortile, dietro la vecchia rimessa, il suo posto sicuro. Qui è tranquilla, lontano dalle grida. Si siede, abbracciando le ginocchia, raggomitolata come sempre.

La fame la fa piangere, le lacrime le rigano il viso. Ricorda solo litigi, bottiglie, piatti rotti, a volte anche le botte. Suo padre, quando è ubriaco, non esita a colpirla.

D’estate può scappare, ma d’inverno, tornata da scuola, si nasconde dietro il letto, aspettando che finiscano le urla. È magra, mangia poco, la dispensa spesso vuota. Sua madre ormai è sempre ubriaca.

Non ha nonni: suo padre è cresciuto in orfanotrofio, sua nonna è morta quando lei è nata. I vicini hanno pietà di lei, le compagne di scuola le offrono merende, nessuno la maltratta.

Oggi, seduta nel suo nascondiglio, singhiozza e sogna: “Forse domani smetteranno di litigare. Vorrei solo che domani fosse diverso, migliore.”

Si asciuga le lacrime e alza lo sguardo: sull’albero di pere del vicino, i frutti sono maturi. Piccole, alcune rossastre. La guarda affamata.

“Se solo potessi prenderne una… Ma se mi beccano, mi chiameranno ladra.”

Osserva la casa di due piani oltre gli alberi. Sa che ci vive un’anziana signora, l’ha vista uscire qualche volta.

“Come fa a vivere sola in una casa così grande?”

Per Elisabetta, tutto sembra enorme. La casa ha una mansarda, e vi abita Lidia Marchetti, cinquantotto anni, ex poliziotta, dall’aspetto severo.

Scopre una tavola marcia nel recinto: un passaggio. Si infila e trova pere cadute a terra. Ne afferra una e addenta avidamente. Non ha mai mangiato nulla di così buono.

Non vede la signora avvicinarsi. Lidia la osserva da un po’, conosce la sua storia.

“Ciao, piccola,” dice dolcemente.

Elisabetta sussulta, terrorizzata. “Mi punirà…”

Ma negli occhi di Lidia vede gentilezza. “Ciao,” sussurra.

“Come ti chiami?”

“Elisabetta.”

“Sei affamata, vero? Vieni, sto per fare tè e marmellata. Mi terrai compagnia. Chiamami zia Lidia.”

La bambina non crede alle sue orecchie. La signora la guida in casa, ordinata e accogliente, così diversa dalla sua.

“Lavati le mani, poi a tavola.”

Lidia prepara tè, biscotti, panini al formaggio, marmellata di fragole. Elisabetta mangia veloce, affamata.

“Non vergognarti, prendi quello che vuoi.”

Il cuore di Lidia si stringe. Ha avuto una vita piena: lavoro, un marito amoroso morto anni fa, amici. Ma mai figli. Guardando Elisabetta, sente un dolore profondo.

“Perché ti nascondevi?” chiede con delicatezza.

La bambina indica casa sua, gli occhi pieni di lacrime. Lidia cambia argomento.

“Puoi venire quando vuoi, sono sola. Vuoi vedere il mio album di foto?”

Elisabetta annuisce. Non vuole tornare a casa. Lidia la trattiene, le prepara crespelle alla ricotta.

La loro amicizia inizia così. Per cinque giorni, Elisabetta va da Lidia. Mangiano insieme, parlano. Si affezionano. Entrambe sole al mondo.

Lidia le compra un vestito nuovo, la riempie di dolci. Elisabetta si sente al sicuro per la prima volta. A casa, sogna: “Se solo zia Lidia fosse mia madre…”

Ma una mattina, la bambina non arriva. Lidia aspetta, preoccupata. Dopo tre giorni, bussa alla porta dei genitori.

La madre, ubriaca, borbotta: “Se l’è presa l’assistenza sociale.”

Il padre aggiunge: “E tu chi sei?”

Lidia se ne va, il cuore stretto. Elisabetta in orfanotrofio, con genitori che non la vogliono.

Si rivolge all’amica Ines, ancora in polizia.

“Ines, mi serve un favore.”

Scopre dove si trova Elisabetta. Va all’orfanotrofio, dalla direttrice, un’altra vecchia amica.

“Voglio prendermi cura di lei,” dice Lidia. “So che non è facile, ma ho ancora energie. Aiutatemi.”

Con le sue conoscenze, ottiene i documenti.

Il giorno arriva. Lidia entra nella stanza giochi. Elisabetta la vede e corre da lei, urlando: “Mamma! Sei venuta a prendermi!”

Piangono entrambe.

“Sì, tesoro. Ora staremo sempre insieme.”

Sulla strada di casa, Elisabetta salta di gioia. Finalmente avrà un posto caldo, sicuro. Zia Lidia è la sua mamma ora.

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