Tutto era sereno finché non è tornata.
– Che ci fai qui? – ho quasi rimosso la tazza di espresso dalle mani mentre la vedevo sulla soglia, nella luce del pomeriggio, come se fosse apparsa dal nulla.
– Ciao, sorellina – ha sorriso Giulia, spostando distesa una ciocca di capelli ricci. – Mi sei mancata?
– Pensavo fossi negli Stati Uniti… – le mie dita tremavano. – Otto anni fa hai detto che non saresti mai più…
– I piani cambiano – ha alzato le spalle, avanzando dentro casa mia. – Posso entrare? O preferisci chiacchierare in strada?
L’ho lasciata fare, come se il tempo non fosse trascorso. Otto anni. Otto anni di routine, di Martina che crescerebbe, di Lorenzo che tornava sorridente ogni sera. Giulia fissava la casa, la stanza dove avevamo dormito insieme quand’eravamo piccole.
– Ti ricordi quando sognavamo di staccare quei terribili fiori alle pareti? – ha chiesto, toccando la carta da parati verde con motivi blu.
– Certo – ho sussurrato, con voce spenta. – Giulia, cosa fai qui?
– Non si può visitare una sorella? – ha risposto, sfilandosi il cappotto e andando verso la finestra. – Il quartiere non è cambiato. Le stesse case anni ’60, lo stesso parco con il gioco a sacco.
Le mie mani non smettevano di tremare. Sembrava quasi lei, la sorella che conoscevo: i capelli più lunghi, gli occhi un po’ stanchi, ma quell’aria di sfida familiare.
– Sei sposata? – ha osservato il nostro anello.
– Sì. Con Lorenzo. Lo ricordi? Il mio compagno di classe.
– Lorenzo Barbieri? – ha arrotolato le labbra. – Quello che ti scriveva poesie a scuola?
– Esatto.
– E i figli?
– Una figlia. Martina. Ha sei anni.
Lei ha chinato lo sguardo, come faceva quando qualcosa non le andava. Lo conoscevo questo atteggiamento: si preparava a scardinare tutto.
– Dov’è?
– All’asilo. Lui la andrà a prendere, si vedranno al parco.
– Che idillio – ha sospirato, sarcasmo nascosto sotto la voce. – Famiglia, lavoro, stabilità. Cose che una volta anche noi sognavamo.
– Giulia – le sono andata vicino – cosa succede? Perché sei tornata?
Mi ha fissata con quell’aria fragile che le nasceva ogni volta che qualcosa si rompeva dentro di lei: un lampo di vulnerabilità svanito in un istante.
– Gli affari non hanno funzionato negli Stati Uniti. Il permesso di soggiorno è scaduto – ha detto, quasi a dispiacersi. – Mi sono trasferita a casa tua? Soltanto per un paio di giorni.
Ho trattenuto il fiato. La piccina che non dorme mai sul divano, il sospetto che possa essere anch’io parte del problema.
– Non per molto – ho ceduto, ricordando la vita che avevo perso: l’unica famiglia rimasta dopo che i nostri genitori se ne erano andati.
Lei ha stretto le mie spalle, un abbraccio che faceva quasi male per l’intensità. Per un momento siamo state quelle due sorelle abbracciate davanti agli incubi del periodo dell’adolescenza.
Quella sera Lorenzo è tornato con Martina. Avevo già avvisato lui, ma ha teso la mascella non appena l’ha vista.
– Ciao, Lorenzo – ha salutato Giulia, rilassata. «Abbiamo perduto anni» vorrei urlargli.
– Ciao – ha ripreso il suo discorso con distacco. – Hai fame?
Giulia ha guardato la bambina che gli correva addosso, un vortice di domande.
– Chi è? – ha chiesto Martina.
– tua zia Giulia – ho risposto, accovacciandomi. – Mia sorella.
– Hai una sorella? – ha sgranato gli occhi. – Perché non l’ho mai vista?
– Perché Giulia ha vissuto lontano per molto tempo. E adesso è qui.
Lei l’ha fissata con gli occhi grandi, curiosa.
– Siete davvero sorelle? Non vi somigliate.
– Sì – ha riso Giulia. – La tua mamma è sempre stata la più bella.
Durante la cena, l’atmosfera era pesante. Lorenzo non apriva bocca, rispondeva con monosillabi. Giulia faceva domande educatissime ma fin troppo precise.
– Papà, andiamo al circo domani? – ha chiesto Martina.
– Certo, tesoro – lui si è illuminato, un sorriso sincero.
– Zia Giulia va anche lei? – ha chiesto la piccina.
– Se me lo chiedi, sì – ho detto, guardando Giulia.
– Certo, ci sarò – ha promesso lei, e il suo sguardo si è posato su Lorenzo come una promessa inquietante.
Chiusi la lavastoviglie e lui mi ha raggiunto in cucina.
– Per quanto tempo rimane? – ha sussurrato.
– Solo per un paio di giorni.
– Isabella, sai cosa faceva una volta…
– Lo so – l’ho interrotto – ma è mia sorella. Non la metterò fuori.
– Pensaci a Martina.
– Martina non c’entra.
– I bambini percepiscono tutto.
Poco dopo, le abbiamo sentite ridere di quelle magie con le monete che Giulia faceva a Martina. «E qua, c’è?» chiedeva con voce suadente. «No? E invece… scomparso!».
Ho sorriso, come se ci fosse una possibilità che di nuovo potesse essere amica mia.
Il giorno dopo siamo andati al circo. Martina era emozionata, Giulia le comprava le giostre e la coccolava con lo stesso affetto che un tempo riservava a Lorenzo. Lui rideva, si rilassava, e per un istante non ho visto la minaccia: solo due donne che si sforzavano di coesistere.
Ma la sera, mentre Martina dormiva, Giulia si è seduta accanto a me con un bicchiere di vino.
– Ti ricordi quando sognavamo di fare le artiste? Tu, ballerina; io, addestratrice di leoni? – ha detto, fissando le foto in giro.
– Sì.
– Tu hai paura di esserti rinchiusa in questa vita. Però non sai se era davvero ciò che volevi.
– Giulia – ho scompigliato la sua gonna – le persone cambiano, a volte.
– Io no – ha replicato, bevendo un altro sorso. – Sono sempre stata brava a trovare la felicità… ovunque, con chiunque.
L’ho guardata allontanarsi, con quegli occhi che non mi appartenevano più.
Passato un altro giorno, ha iniziato a insinuarsi nella vita che avevo costruito con Lorenzo. Domande su lavoro, su progetti futuri. «Quindi guadagni bene?» «Hai molte responsabilità?».
Lui non se n’è accorto: rideva un po’ più a lungo per i suoi commenti, la guardava con interesse che non avevo mai visto.
Il giorno dopo, ha proposto di accompagnarci in centro in macchina. «Non posso andare in metropolitana con questi scatoloni» ha detto. Lui ha acconsentito, e io ho mangiato il cibo per terra.
La sera, mentre Lorenzo dormeva, l’ho trovata seduta in cucina.
– Non ti senti strana? – ha chiesto, grattandosi la nuca.
– Sono abituata a svegliarmi presto.
– Ti ricordi quel che ho fatto? Con Marco?
– È passato – ho evitato lo sguardo.
– Non l’hai mai dimenticato.
– Sto cercando di perdonarti.
– Ti prego – ha sorriso, una smorfia sottile. – Non chiamarlo perdono. È solo paura. Paura che questa volta io riesca a vincere.
– Se ne andrà – ho mormorato. – Lo farò andare via. Non gli permetterò di entrare.
– Forse – ha risposto, la voce bassa – ma non sai che lui ha smesso di essere tuo tanto tempo fa.
La mattina dopo, quando Lorenzo è uscito per lavoro, l’ho aspettata in casa.
– Giulia – ho detto, bloccandole la strada – sappiamo perché sei tornata.
– Sto visitando la famiglia – ha sorriso, ma non è stato sincero.
– Non è vero. Lo so che hai ricominciato, che stai cercando di…
– Di cosa, Isabella? – mi ha interrotto, seria. – Lorenzo non sembra felice. L’ho visto ieri, con quel sorriso finto. Tu lo sai che non lo ama più.
– Non posso permettertelo – ho gridato, con le lacrime che minacciavano di uscire.
– E io non posso stare sempre sola – ha replicato. – Dopotutto, siamo sorelle. Dov’altro potrei andare? Dov’altro posso cercare una volta che non è più mia?
L’ho guardata mentire con quell’abili tà che mi conosceva troppo bene, e ho capito che stavolta non sarebbe bastato chiudere la porta.