L’ultimo estate nella casa di campagna

L’autunno scorrevole a Moricelli
L’umido vapore marine si stendeva sulle acque azzurre, velando la costa come una stola di broccato. Maria Russo sedeva sulla terrazzina del podere e contemplava l’aurora. Per lei, l’estate iniziava sempre con questo istante: il fresco della mattina, il profumo di limoni appena raccolti, i passeri che cinguettavano tra i filari, e la brezza salmastra che portava l’odore del mare. Quante albe aveva visto nel corso degli anni? Non lo ricordava. Ma questa era diversa. L’ultima.

— Nonna, perché non vai a dormire? — chiese Sara, la nipote, con voce assonnata, apparendo sull’ingresso del casolare.

— Ho il cuore pieno di pace — rispose Maria, accarezzando il micio Bianconiglio che dormiva in grembo. — Vieni un po’ qua a guardare. Quel rosa che tinghe il cielo è davvero magico.

Sara si lasciò cadere sull’erta pietra accanto a lei, posandole la testa sull’ombra della gonna. Aveva quattordici anni, e come capita a ogni adolescente, detestava svegliarsi presto in vacanza. Ma da quando aveva saputo della vendita del podere, ogni alba le sembrava preziosa.

— Nonna, forse ci rinuncierai a venderlo? — chiese per l’ennesima volta.

— Bimba mia, è troppo per me — sospirò Maria. — Le mie braccia non sono più quelle di una volta, la schiena… hai visto i filari abbandonati e i tini che marciscono. E i soldi… non ce ne sono nemmeno per uno zappone.

— Papà e io potremmo aiutarti — propose Sara, — anche mamma potrebbe…

— Tuo padre è chiuso là dentro — tagliò corto Maria, indicando il bar-I-Tartari alle sue spalle. — E ogni settimana torna a Cesena per lavoro. Tua madre ogni volta che provi a persuaderla a uscire, ti fa trovare con un libro in mano e un mazzo di basilico in tasca.

— Ma l’anno scorso papà sistemò il tetto! — protestò Sara.

— Sì, ma ruppe un osso e giurò davanti a San Gennaro più non ci avrebbe messo le mani. Tuo padre adesso usa il bastone quand’è qui a visitarci. E tua madre non riesce mai a staccarsi dal ripiano della cucina.

— Però…

— Nessun però — la fermò Maria con un sorriso dolce. — Ho già deciso. Questo è il mio ultimo estate a Moricelli. Potrà essere anche l’ultimo per te, ma non piangeremo prima che sia finito. Passeremo queste settimane come merita, un ricordo per l’eternità.

Maria si alzò, dirigendosi verso la cucina con il sole che le illuminava i capelli argentei.

— Vado a preparare qualcosa da bere. Oggi ci aspettano gli zii Enzo e Maria, vengono per aiutare con i barattoli di marmellata.

Sara si rinvigorì. Gli zii significavano mille storie, un pranzo eccellente e le confidenze di zia Maria, che nonostante i suoi anni capiva le mode delle ragazze meglio di alcuni insegnanti.

Entro mezzogiorno, il casolare era pieno di risate.

— Mariuzza, qui ci sono i limoni qualità Sfusato! Li ordinasti — gridava Enzo, sollevando sacchi di frutta.

— Ora ci mangiamo il sole che non ci vai più — commentò Maria, stringendo i due.

— Nonostante, — sospirò Enzo, — è una pena perderlo questo posto. Tredici anni siamo venuti qua. Quanti fiaschi abbiamo aperto, quante storie…

Sara passeggiò tra i sentieri, toccando ogni pianta, ogni radica, come se ne avesse bisogno. L’olivo che anni prima aveva piantato suo padre. La pergola con la passione nera, dove lei e il cugino Luca si nascondevano per mangiare fragole fino a farsi male. Il vecchio forno a legna, vietato agli adulti ma accessibile ai bambini. Ogni angolo stava innevato di ricordi.

— Che vai a sognare, zazzera — la richiamò zia Maria. — Vieni a togliermi la zucca dal forno!

Come sempre, il pasto fu una marea di chiacchiere. Enzo parlò del suo vicino paziente che aveva iniziato a mettere l’intonaco a quattro dita dal letto. Maria raccontò della sua dieta, e nonna ricordò quando era arrivata a Moricelli con suo marito.

— Tutto era brullo — disse Maria, tagliando lo speck sull’insalata. — Luigi, pace all’anima, disse: “Mariù, questo è il posto per il nostro vigneto, laggiù, accanto al ruscello, ci metteremo il gazebo per i bagni di luna”.

— E il gazebo non lo mise mai — sorrise Enzo, versando il caffè.

— Noi abbiamo sempre contato di trovarci tempo — disse Maria, la voce un poco tremante. — E adesso non c’è più nemmeno il tempo…

Tutti tacquero. Fuori, le api ronzavano e le vespe si rincorrevano tra i fiori.

— Ma il compratore chi è? — chiese per prima zia Maria.

— Una famiglia con un bimbo — rispose Maria con un sorriso un poco triste. — Hanno in mente di abitarci. Le loro case in città le affitteranno e staranno qua. L’uomo fa il programmatore, può lavorare da Moricelli.

— Quando vende?

— Fina agosto. Sono venuti a vederlo, hanno lasciato l’acconto.

— Forse cambieranno idea — sperò Sara.

— No — sorrise Maria. — Hanno iniziato a disegnare i progetti per il nuovo terrazzo. La vita qui inizierà di nuovo.

Dopo le mense, gli uomini restauravano il tetto del casolare, e le donne si dedicavano alle conserve.

— Dove spazieranno tutti questi vasi? — chiese zia Maria, aggiustando un barattolo.

— Li darò — rispose Maria. — A voi, all’asilo dei miei cuccioli, agli zii. Non posso mica mangiarli tutti.

— Ascolta, forse non è male vendere? Ce la darai da parte per sistemare…

— Ne abbiamo già parlato — la interruppe Maria. — Ho preso una decisione. Non è solo per soldi, non solo per le mie forze. È il momento di dare via qualcosa di nostro. Trent’anni ho perso qui con Luigi, dodici con i miei figli. Ma adesso è giusto andare avanti.

— E dove andrai in là ai tuoi anni? — sorrise zia Maria.

— Vedrai. Forse si va a fare la sarta in Belgio — rispose con un’occhiata simpatica.

Alla sera, la famiglia si raccoglieva intorno al fuoco. Enzo e Sara preparavano la cena, mentre zia Maria spingeva il bambino sui tondi.

— Senza fuochi di bivacco, non è un’estate — decise zio Enzo aprendo una bottiglia di Barolo.

— Proposto — alzò il calice, — ai sogni di Mariù. Ha creato questo posto, l’ha reso casa nostra.

— Alla nonna — fece eco Sara con una bibita in mano.

Mentre il cielo si tingeva di stelle, le storie si mescolavano con i piani per il futuro.

— Sapete cos’era prima di comprarlo? — chiese improvvisa Maria.

— Niente — disse Enzo. — Era solo uno splendo di sterpi.

— No — disse Maria, indicando una radura. — Trovai una base di pietra, là dietro. Parlai con una vecchina del paese. Gli anni ne aveva novantadue, e disse che era il podere di un pastore. Lui andò al fronte e non tornò. La moglie con i figli si spostò via. Il podere morì.

— E non ci hai mai parlato? — chiese Enzo.

—Credevo che il segreto di questo posto stesse nel silenzio. Ma adesso posso dirvelo. Adesso comincia un’altra storia.

Durante la notte, dopo un giretto, Maria aprì un vecchio ripostiglio.

— Cos’è questo? — chiese Enzo.

— Un dono di Luigi. Un telo da canapa. Non lo mise mai. Adesso lo useremo.

Sara si divertì ad avvinghiare nel telo tra due piante di arancia e spostò nuove stelle con le dita.

— Ne ho una preghiera — disse a sua nonna. — Che i nuovi proprietari si ameranno come noi.

Maria non disse niente, ma sorrise.

Il giorno seguente, gli zii se ne andarono. Restarono solo Maria e Sara. Decisero di passare l’estato insieme, organizzando inventari.

— Trovai questi album! — esclamò Sara, aprendo il solaio.

Gli scatti ritraevano l’infanzia di Sara, i genitori da piccoli, le prime viole del nonno.

— Questo è il babbo — rise Sara, indicando un ragazzo con i capelli corti.

— Sì, tuo padre aveva dieci anni — disse Maria. — E tua madre era là, con i capelli raccolti.

— Si stavano già conoscendo?

— Sì — disse Maria con un sorriso. — Vivevano vicini. Si sposarono.

— È romantico — disse Sara. — Anch’io vorrei vivere un amore come quelli che nascono…

— Ne vivrai altri — disse Maria. — Forse più bei di questi.

— Dubito — sorrise Sara.

— Sai? Ho capito una cosa in anni. Un casa non è solo mura e porte. È le persone, i ricordi, l’amore. E tutto si porta dentro, dove che si va.

— E dove andiamo? — disse Sara con una risata.

— Io sto per trasferirmi vicino a voi. Tu… mi visiterai. Faremo i pandori, parleremo… E chissà, magari un bel giorno tu potrai regalarmi un paio di figli.

Sara sorrise e la abbracciò.

Mentre l’estate passava tra botti e merende, Mona e Sara trovarono una scatola di metallo rovinata. Dentro c’era una lettera di un pastore del posto:

— “Carissima Anna… Se trovi questa lettera, non mi sono tornato. Ti amai ogni minuto… Spero ti mantenga viva…”

— Sembra essere il posto del pastore — disse Sara.

— Così pensiamo — disse Maria. — Lo daremo ai nuovi.

Il mercato fu in agosto.

— Domani vengono — disse Maria.

— Troppo presto — disse Sara.

— Ma il tempo va sempre così — sorrise Maria. — C’è sempre qualcosa di bello dopo.

Nella notte, Maria uscì sulla terrazza.

— Non riesco a dormire — disse Sara.

— Io neanche. Tutto questo è così vero, così speciale.

— E loro, cosa faranno?

— Avranno una famiglia. Avranno una casa. E questo posto vivrà.

La mattina, i nuovi proprietari arrivarono.

— Grazie — disse la donna con il piccolo. — Promettiamo di curarlo come tu lo hai curato.

— Ecco — disse Maria, consegnando la scatola. — È la storia del podere.

Maria risalì in macchina con Sara.

— Nonna, hai detto che andremmo avanti. Dove ti porteranno? — chiese Sara.

— Ho un ticket per la Spagna — disse Maria con un sorriso misterioso. — Ci andiamo a vedere l’Alhambra.

— Ma tu hai… — balbettò Sara.

— Settantaotto anni — rise Maria. — E che colpa ne ho? Andiamo a viaggiare. Questo finale estivo non è una fine, ma l’inizio.

La macchina si mosse, portando via le risate e i ricordi. Maria e Sara sapevano che avrebbero sempre avuto un posto dentro la loro anima. Perché l’amore non ha mura.

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