Grazie per la festa! La risposta arrivò un anno dopo.

31 dicembre. Il diario di una donna che ha capito.

Mentre guardo fuori dalla finestra del mio treno diretto alle Terme di Saturnia, ripenso a quel giorno esattamente un anno fa. Quella che chiamano la “vigilia di Capodanno perfetta”. Perfetta per tutti, tranne che per me.

“Grazie al mio adorato figlio per questa festa meravigliosa!” esclamò mia suocera, seduta davanti alla tavola che io avevo apparecchiato per dodici ore di fila. La mia risposta, l’avrebbero ricevuta solo oggi.

Conoscete tutti quella scena, vero? 31 dicembre. Mentre tutte le famiglie normali hanno già finito i preparativi, la mia cucina sembrava il retro di una trattoria all’ora di pranzo. In piedi dall’alba. L’aria in casa non profumava di panettone e clementine, ma di olio bollente, patate lesse e, ve lo giuro, della mia disperazione silenziosa.

Sui fornelli bolliva il brodo per il cappone, nel forno arrostiva l’agnello con le patate, sul tavolo una montagna di verdure per l’insalata russa e la “giardiniera”. Insomma, il menù classico delle feste, che già alla vigilia ti fa venire la nausea solo a sentirne l’odore. E la mia amatissima famiglia? Beh, faceva la commissione di assaggio.

Mio marito, disteso sul divano con l’aria importante, esclama: “Silvia, le patate per l’insalata non sono troppo cotte, vero?”. Aiuto? Zero. Controllo? Massimo livello! I figli ormai grandi, mio figlio e sua moglie, fissano i telefoni e ogni tanto fanno irruzione in cucina per rubare un pezzo di salame.

E a capo della commissione, ovviamente, c’era lei: mia suocera, Anna Maria. Mi seguiva passo passo dispensando consigli preziosi: “Silvietta, la maionese va aggiunta all’ultimo momento, te lo ricordi? E il prezzemolo va tritato più fine”. Madonna santa, quanto avrei voluto versarle quel prezzemolo in testa! Ma tacqui. Sopportai. Perché ero la brava moglie e nuora, quella che doveva creare la “magia delle feste”. O almeno, così credevo.

Poi, come nelle fiabe, scoccò la mezzanotte. La tavola era uno spettacolo. Tutto luccicava, scintillava, sembrava uscito da una pubblicità. Io, stremata come un limone spremuto, crollai sulla sedia. Conoscete quella sensazione? Le braccia che tremano, la schiena che non si raddrizza più, e l’unico desiderio non è brindare, ma tuffarsi nel piatto e dormire.

Tutti seduti, eleganti, sorridenti. Si comincia a versare lo spumante. Ed ecco che mia suocera, solenne, alza il bicchiere. Io, ingenua, pensai: “Forse ora mi ringrazierà?”. Ma neanche per sogno!

“Miei cari!”, esordì. “Prima di salutare l’anno vecchio, voglio brindare al mio meraviglioso figliolo, al nostro sostegno! Grazie, tesoro, per questa tavola sontuosa e per questa festa magnifica!”.

Ragazze, mi ronzavano le orecchie. Tutti gridarono “Evviva!”, tintinnarono i bicchieri. Mio marito si gonfiò come un pavone, così orgoglioso di essere lodato. Non io, ovviamente.

A me? Zero attenzione. Nessuno, capite, nessuno mi lanciò nemmeno un’occhiata. Come se l’agnello si fosse cotto da solo e l’insalata fosse apparsa per magia.

E fu lì che qualcosa in me scattò. Come se qualcuno avesse premuto un interruttore. Offesa? Non rende l’idea! Non piansi. Non feci scenate. No. La stanchezza svanì, sostituita da una lucidità gelida e tagliente.

Guardai i loro volti felici, intenti a masticare, e capii: quello sarebbe stato l’ultimo Capodanno da cameriera gratuita.

Per tutto l’anno successivo coltivai quel pensiero, e vi assicuro che mi scaldava il cuore più di un caminetto acceso. Fui la moglie perfetta: sorrisi, cucinai, ma dentro di me covavo un piano.

Un piano femminile, subdolo, meraviglioso. Ogni mese mettevo da parte una piccola somma dal mio stipendio, su un conto che chiamai “Fondo per la Serenità”.

Quando d’estate si parlò del prossimo Capodanno, io sorridevo misteriosa e dicevo: “Oh, prima bisogna arrivarci!”. Mio marito non sospettava nulla. Mia suocera era certa che la sua cuoca personale avrebbe fatto di nuovo miracoli. Ingenua, vero?

E così, all’inizio di dicembre, il mio piano maturò. E feci ciò che avevo sognato per 365 giorni.

Comprai un biglietto. Non per una meta qualunque, ma per un meraviglioso resort in Toscana, con piscina termale, massaggi e pensione completa.

Dal 30 dicembre al 10 gennaio. Quando pagai, mi sembrò di comprare la mia libertà. Non potete immaginare, ragazze!

Questa mattina, 30 dicembre. Mio marito russava beato. Io preparai silenziosamente una valigetta, chiamai un taxi. Mentre scrivo queste righe, sorrido immaginando le loro facce quando troveranno il mio “messaggio di auguri”. Sul frigo ho lasciato un biglietto colorato, con scritto:

“Miei cari, quest’anno ho deciso di non disturbare il vostro mago delle feste, quello che avete tanto elogiato l’anno scorso. Sono certa che anche stavolta saprà stupirvi! Nel frigo trovate tutto per l’insalata russa. La ricetta dell’agnello? La trovate su Internet. Bacioni. La vostra Silvia. P.S. Tornerò il 10. Non vi preoccupate!”.

Oh, avrei voluto vedere le loro facce! Ero già in taxi quando squillò il telefono. Mio marito non parlava, urlava! Nella sua voce c’erano shock, confusione e un’offesa delle dimensioni dell’universo.

Capite? Io ero quella sbagliata, perché osavo concedermi una vacanza? Io, guardando gli abeti innevati dal finestrino, risposi calma: “Amore, sono già al resort. Sto per farmi la maschera viso. Non agitarti: taglia il prezzemolo fine, come insegnava tua madre. Ce la farai”.

E indovinate? Pare che abbiano festeggiato con tortellini surgelati e una bottiglia di spumante economico. Io invece, in accappatoio, dopo un bagno termale, finalmente serena.

Ditemi voi, ragazze: ho esagerato? O a volte è l’unico modo per insegnare una verità semplice: se non apprezzi chi si sacrifica per te, un giorno resterai senza festa del tutto?

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