Trovò un secondo telefono al marito
Giulia spolverava lo studio di suo marito quando lo straccio urrò una pila di fogli sul bordo della scrivania. I fogli volarono per il pavimento e lei, borbottando, si mise a raccoglierli. Sotto la poltrona brillò qualcosa: un piccolo oggetto nero. Allungò la mano e tirò fuori uno smartphone con una cover consumata.
“Strano,” mormorò, rigirando il telefono tra le mani.
L’iPhone nuovo di Marco stava sempre nella tasca della sua giacca o sul tavolino accanto al letto. Questo invece era più economico, più semplice e… completamente sconosciuto. Premette il pulsante: lo schermo si illuminò, mostrando l’ora e la data. Senza password. Il cuore di Giulia si striscinò e un nodo le salì in gola.
Si sedette lentamente sulla poltrona, fissando quel dispositivo. In ventitré anni di matrimonio avevano avuto tutto: litigi, incomprensioni, momenti di sfiducia. Ma un secondo telefono… Giulia non si era mai considerata una moglie gelosa. Si fidava di Marco, era orgogliosa del loro matrimonio. E adesso aveva paura di scoprire cosa nascondeva quella scatola nera.
“Ventitré anni insieme, due figlie… Tutto per niente?” I pensieri le giravano in testa mentre le dita scorrevano il menu. Nessuna foto. Solo pochi contatti – numeri senza nome, solo sigle e iniziali. E i messaggi… Giulia si bloccò vedendo la chat con il contatto “S.B.”
“Stasera alle 19:00, come al solito?” aveva scirtto Marco tre giorni prima.
“Sì, ti aspetto,” la breve risposta.
Due giorni dopo:
“Grazie per ieri. Tutto perfetto, come sempre,” il messaggio di suo marito.
“Contento che ti sia piaciuto. Ci vediamo domani?” la risposta.
“Provaarò, ma non prometto nulla. Giulia sospetta qualcosa,” aveva scritto Marco.
A Giulia si annebbiò la vista. Lei? Sospettare? Non le aveva neanche sfiorato l’idea fino a quel momento! Un miscuglio di rabbia, delusione e dolore le bruciò il petto. Ventitré anni di fiducia, buttati così facilmente?
Al piano di sotto sbatté la porta d’ingresso. Marco era tornato dal lavoro prima del solito. Giulia, nel panico, infilò il telefono nella tasca della sua vestaglia e, afferrando lo straccio, finse di continuare a pulire.
“Giulia, dove sei?” la voce di Marco risuonò nell’ingresso.
“Nella studio, sto sistemando,” rispose, cercando di mantenere un tono normale.
Marco apparve sulla porta – alto, in forma, impeccabile nel suo completo. A cinquant’anni, sembrava più giovane dei suoi coetanei e attirava ancora gli sguardi delle donne. Prima a Giulia piaceva, adesso invece sentiva un brivido di paura.
“Com è andata la giornata?” chiese, concentrandosi sullo spolverare la libreria.
“Normale,” lui si allentò la cravatta e si stirò. “Solo ho un cliente difficile, ho perso tre ore con lui.”
“Quale cliente? S.B.?” avrebbe voluto chiedere Giulia, ma si trattenne.
“Perché sei tornato così presto?” si voltò verso di lui, cercando di scorgere nel suo volto tracce di bugie.
“Mi mancavi,” lui si avvicinò e la abbracciò da dietro, appoggiando il naso sul suo collo. Profumava del suo solito aftershave, ma c’era anche un odore di sigarette, nonostante avesse smesso di fumare cinque anni prima. Quel dettaglio la colpì.
“Vado a farmi una doccia,” Marco la baciò sulla guancia e uscì.
Rimasta sola, Giulia si sedette sul divano. Cosa fare? Fare una scenata subito? Controllarlo meglio? O chiederglielo direttamente? Il telefono nella tasca della vestaglia sembrava pesantissimo. Lo tirò fuori e riaprì i messaggi. Niente di esplicito, nessuna dichiarazione d’amore o foto compromettenti. Ma il solo fatto che avesse un telefono segreto era già una prova.
La sera trascorse in un silenzio teso. Cenarono insieme, guardarono una serie, parlarono delle figlie. La maggiore, Sofia, viveva in un’altra città con marito e il loro bimbo di due anni. La più piccola, Elena, stava finendo l’università. Marco si comportò normalmente, raccontando del lavoro, scherzando, chiedendole della sua giornata. Niente di sospetto, se non fosse stato per quel telefono.
Alle dieci lui andò a farsi la doccia e Giulia decise di agire. Prese la giacca buona di Marco dall’armadio e controllò ogni tasca. Niente. Poi guardò nella borsa – anche liscia. Stava per arrendersi quando notò un biglietto nel taschino laterale della giacca. Un biglietto da visita con il nome “Sara Bianchi” e un numero di telefono. S.B., la persona dei messaggi?
L’acqua della doccia smise di scorrere. Giulia rimise tutto a posto e scivolò a letto, fingendo di dormire. Il cuore le batteva così forte che pensò che Marco dovesse sentirlo.
La mattina dopo si svegliò prima di lui e lo fissò a lungo. Quel volto così familiare, amato, che ora le sembrava straniero. Come aveva potuto farlo? Cosa gli era mancato tutti questi anni?
A colazione non resistette:
“Marco, sei felice con me?” chiese, mescolando lo zucchero nel caffè.
Lui alzò le sopracciglia sorpreso:
“Perché questa domanda di prima mattina?”
“Rispondimi,” insistette.
“Certo, sono felice,” le prese la mano. “Ventitré anni insieme, no?”
Il suo tocco, che prima la riscaldava, ora bruciava.
“E… non desideri qualcos’altro? Qualcun’altro?”
Marco aggrottò la barba:
“Giulia, cosa sta succedendo? Sei strana da ieri sera.”
“Rispondimi.”
“Non ho bisogno di niente e nessuno,” disse con fermezza. “Tu sei mia moglie, la madre dei miei figli, il mio sostegno. Che ti salta in mente?”
Le sue parole sembravano sincere, ma Giulia non sapeva più a cosa credere. Il secondo telefono pesava nella tasca della vestaglia. Il nome di Sara Bianchi le danzava davanti agli occhi.
“Va’ al lavoro, sennò fai tardi,” cercò di sorridere, ma le venne male.
Quando Marco se ne andò, Giulia prese il telefono e riaprì i messaggi. Si sedette al computer e cercò il nome sul biglietto. Sara Bianchi era una maestra di chitarra con uno studio privato. Sul suo profilo social, una donna carina sui quaranta con capelli rosso acceso e una figura slanciata.
“Quindi ecco chi è S.B.,” la rabbia le salì in gola.
A pranzo chiamò la sua amica di lunga data, Laura.
“Non crederai mai cosa ho trovato. Un secondo telefono di Marco,” disse con voce tremula non appena Laura rispose.
“Cosa? Davvamo?” Laura sussultò. “E cosa c’è dentro?”
Giulia le raccontò dei messaggi, del biglietto da visita, della maestra di chitarra.
“Oddio, Giulia…” Laura sospirò. “Mi dispiace. Cosa farai?”
“Non lo so,” la voce di Giulia tremò. “Ventitré anni… Pensavo che andasse bene.”
“Forse non è tutto così chiaro?” propose cautamente Laura. “Parlagli.”
“E cosa gli dico? ‘Ti ho spiato e ho trovato un telefono segreto’?”
“Meglio così che tormentarti.”
Dopo la chiamata, Giulia era ancora piùQuella sera, mentre Marco suonava per lei una canzone di Lucio Battisti, Giulia sentì finalmente sciogliersi ogni dubbio e sorrise, stringendogli la mano sotto la luce delle candele.