**La Vergogna sul Pulmino**
Giovanna Rossi si affrettava verso la fermata, stringendo a sé una piccola borsetta. La pioggia era appena cessata, e l’asfalto luccicava di pozzanghere sotto il cielo grigio di ottobre. Nella borsa c’erano venti euro – tutto ciò che era riuscita a mettere da parte per le medicine del marito. Carlo si lamentava ancora del dolore alla schiena, e il medico aveva prescritto pastiglie così costose che la pensione non bastava neppure per mezza confezione.
Il pulmino arrivò con un cigolio di freni. Giovanna salì i gradini e porse all’autista una moneta da due euro.
«Tre euro,» borbottò lui, senza nemmeno guardarla.
«Come tre? Ieri costava due,» disse lei, confusa.
«Oggi è tre. I prezzi sono aumentati.» L’autista tamburellò impaziente sul volante.
Giovanna esitò. Tre euro significavano che per le medicine sarebbe rimasto ancora meno. Forse poteva andare a piedi? Ma la farmacia era a tre chilometri, e a casa Carlo l’aspettava, sofferente…
«Signora, vuole passare?» disse una voce dal fondo del pulmino. «C’è la fila dietro di lei.»
Il viso di Giovanna si arrossò. Cercò nella borsetta, tirò fuori un’altra moneta da un euro e un cinquanta centesimi.
«Grazie,» mormorò l’autista, senza degnare le monete di uno sguardo.
La donna si sistemò nel mezzo, guardandosi intorno. Non c’erano posti liberi. Un ragazzo con le cuffie fissava il telefono, e accanto a lui una ragazza scriveva messaggi senza alzare gli occhi. Più avanti, una giovane madre cullava un bambino piagnucoloso, cantando una ninna nanna. Sembrava stremata.
«Si sieda,» disse improvvisamente la madre, accennando al suo posto. «Tanto devo stare in piedi, lui non mi lascia sedere.»
«Ma no, grazie, resto in piedi,» scosse la testa Giovanna.
«Dai, sieda,» insisté la donna. «Si vede che è stanca.»
Giovanna si sedette, riconoscente. Il bambino la fissò con occhi curiosi e all’improvviso sorrise.
«Che carino,» disse lei, intenerita. «Quanti mesi ha?»
«Otto. Gli stanno spuntando i dentini, per questo è irritabile,» rispose la madre, sfinita. «Andiamo dal medico, speriamo ci dia qualcosa.»
«Anch’io vado in farmacia, per le medicine di mio marito. Gli fa male la schiena.»
«Capisco. Mia suocera soffre di artrite.»
Il pulmino frenò bruscamente alla fermata successiva. Salì una signora anziana con il bastone, lentamente, appoggiandosi ai gradini. L’autista sbuffò, guardando lo specchietto.
«Dai, nonna, sbrigati, il tempo è denaro!»
La signora cercò invano un posto. Il ragazzo con le cuffie non si mosse, perso nel telefono.
«Giovanotto,» gli disse Giovanna, «potrebbe cedere il posto?»
Lui si tolse una cuffia con riluttanza.
«Eh?»
«La signora anziana ha bisogno di sedersi,» ripeté Giovanna, indicando la nonna.
«Ah, sì…» Si alzò a malincuore, senza staccare gli occhi dallo schermo.
La signora si sedette con un sospiro di sollievo.
«Grazie, cara,» disse a Giovanna. «Ci sono ancora persone buone.»
Giovanna si sentì in imbarazzo. Anche lei non aveva notato subito la vecchietta, distratta dalla conversazione con la madre.
Il pulmino frenò di colpo a un semaforo. I passeggeri sobbalzarono in avanti. Il bambino scoppiò a piangere.
«Attento!» protestò la madre. «C’è un bambino qui!»
«Le strade sono così, non posso farci niente,» brontolò l’autista. «Se non le va, prenda un taxi.»
«Non tutti possiamo permetterci il taxi,» osservò la signora anziana. «Devo arrivare all’ospedale, a piedi non ce la faccio.»
«Lo sappiamo bene,» disse Giovanna. «I prezzi salgono, le pensioni no.»
«Esatto,» annuì la giovane madre. «Io sono a casa con il bambino, mio marito lavora. Contiamo ogni centesimo.»
Nel pulmino si creò un’atmosfera di comprensione. I passeggeri si scambiarono sguardi complici. Ognuno capiva che gli altri erano nella stessa situazione.
«Una volta c’era il bigliettaio sugli autobus,» sospirò la signora anziana. «Tutto più civile, ti dava il biglietto, il resto giusto…»
«Altri tempi,» convenne Giovanna. «E i prezzi non cambiavano ogni giorno.»
«Non solo i prezzi,» intervenne una donna sulla quarantina seduta vicino al finestrino. «C’era più rispetto per la gente.»
Il ragazzo con le cuffie alzò lo sguardo, ascoltando.
«Forse siamo noi a esserci fatti indifferenti,» disse all’improvviso. «Ognuno col suo telefono, senza vedere gli altri.»
Giovanna lo guardò sorpresa. Non si aspettava quelle parole da lui.
«Ha ragione,» approvò la signora anziana. «Mio nipote è così, sempre al computer. Non ha tempo per parlare con me.»
«Nonna, mi racconti qualcosa dei vecchi tempi?» propose il ragazzo, mettendo via il telefono.
La vecchietta si animò.
«Che vuole che le dica… Beh, vuole sapere come ho conosciuto mio marito? Anche quello fu in autobus.»
«Racconti,» dissero in coro alcuni passeggeri.
«Era il ’57. Lui era in divisa, così bello… L’autobus frenò, io inciampai, e lui mi sostenne. E così ci conoscemmo.»
«Che romantico,» sorrise la giovane madre.
«Romantico, sì,» annuì la signora. «Sessant’anni insieme, fino alla sua morte.»
Nel pulmino scese il silenzio. Ognuno pensava ai propri cari.
«Io e mio marito ci siamo conosciuti in fila per il pane,» raccontò Giovanna. «Lui era davanti a me, si girava, mi sorrideva… Poi mi propose di accompagnarmi a casa.»
«È bello avere qualcuno con cui condividere la vita,» disse piano la donna al finestrino. «Io sono rimasta sola, i miei figli vivono lontano.»
«Non si preoccupi,» disse la madre, spostando il bambino. «I figli crescono, ma tornano. Anche mia madre si lamentava, ma ora le porto spesso il nipotino.»
«I nipoti sono una gioia,» sorrise Giovanna. «Mia figlia vive in un’altra città, ma la nipotina viene d’estate. È così curiosa, mi chiede sempre com’era la vita quando andavo a scuola.»
Il pulmino si avvicinava al centro. Giovanna doveva scendere. Si alzò e si avvicinò alla madre.
«Grazie per il posto. Tieni,» le porse una moneta da due euro. «Per un gelato al bimbo, quando gli passano i dentini.»
«Ma no, non è necessario!» fece la donna.
«Prendila, mi fa piacere. Hai un bel bambino.»
La giovane madre, commossa, accettò.
«Grazie di cuore. Dio la benedica.»
«Scendo alla prossima,» disse Giovanna all’autista.
«Arriviamo,» borbottò lui.
«Dov’è la farmacia