Il sole dopo la pioggia…
“Alda, vieni qui. Sono stata in cantina e ho raccolto delle patate per te.”
Alda si diresse verso il cortile della vicina.
“Oh, grazie, zia Marina, gliele restituirò senz’altro.”
“E con cosa, piccola mia? Poveretta. ‘Restituirà’… Avresti dovuto pensarci prima, quando hai messo al mondo i bambini. Sandro non è mai stato un uomo per bene.”
Alda ingoiò le parole amare, perché sapeva che mancava ancora una settimana alla paga, e col solo latte non si sopravvive. Pazienza per lei, ma a casa l’aspettavano tre bambini. Sandro, di cui parlava la vicina, era suo marito, anzi, ex marito, perché l’anno prima aveva scoperto che lo Stato non gli avrebbe regalato né una macchina né una casa per aver avuto tre figli. In fretta e furia aveva raccolto le sue cose e detto che in quella miseria non intendeva vivere. Alda stava lavando i piatti e lasciò cadere un piatto.
“Sandro, ma che dici? Sei un uomo. Trovati un lavoro dignitoso e la miseria sparirà. Sono tuoi figli. Hai sempre detto che volevi tanti bambini.”
“Li volevo, ma non sapevo che lo Stato se ne fregasse delle famiglie numerose. E lavorare per niente non ha senso,” rispose Sandro.
Alda abbassò le braccia.
“Sandro, e noi? Come farò da sola con loro?”
“Alda, non lo so. E poi, perché non hai insistito che un figlio bastava? Sei una donna, avresti dovuto capire che poteva succedere.”
Alda non fece in tempo a rispondere, perché Sandro schizzò fuori di casa e corse verso la fermata dell’autobus. Le lacrime le bruciavano gli occhi, ma poi vide tre paia di occhi fissi su di lei. Alessandro era il più grande, quell’anno sarebbe andato a scuola. Michele aveva solo cinque anni, e la loro stellina Margherita ne aveva due. Alda deglutì e sorrise.
“Allora, chi vuole le frittelle?”
I bambini esultarono, ma quella sera Alessandro chiese:
“Mamma, papà non tornerà più?”
Alda cercò di trovare le parole, poi rispose semplicemente:
“No, tesoro…”
Alessandro sbuffò un po’, poi disse:
“Be’, pazienza. Ce la faremo senza di lui. Io ti aiuterò.”
Quando Alda tornava dalla mungitura serale, sapeva che i piccoli erano già a letto. E si stupiva di come suo figlio fosse cresciuto così in fretta.
***
Dopo aver ringraziato per le patate, si avviò verso casa. “Signore, quando farà più caldo? Che inverno pazzo quest’anno.” Le patate sarebbero bastate, ma una notte il gelo era stato così intenso che, anche nelle cantine, molte si erano rovinate. Certo, in paese la compativano. La gente di campagna è buona, ma non perdeva occasione per ricordarle che era una stupida. E perché, poi? Ora non riusciva nemmeno a immaginare la vita senza uno dei suoi bambini. Per quanto fosse dura, ce la facevano. Avrebbero voluto vestiti nuovi e giocattoli, ma i bambini non chiedevano. Sapevano che la mamma avrebbe comprato non appena possibile. Quell’anno, lei e Alessandro avevano persino progettato di costruire una grande serra, per ora di plastica, ma avevano già calcolato quante più conserve di pomodori e cetrioli avrebbero potuto fare per l’inverno. Alda spostò il secchio dall’altra parte e vide una piccola folla. Beh, per il paese, anche tre persone erano una folla. Si avvicinò, perché quella folla era davanti al suo recinto. Ancora a distanza, sentì:
“È enorme, deve essere un cane da caccia.”
“Probabilmente un cinghiale l’ha azzannato. Non sopravviverà.”
Alda guardò dove tutti fissavano e trattenne un grido. “Ma che fate lì? Bisogna aiutarlo!”
La gente si voltò. Un vicino disse:
“Ma senti questa. Vedi quei canini? Chi si avvicina? E poi, ormai è spacciato.”
“Come spacciato? È venuto da noi per chiedere aiuto!”
Sulla neve giaceva un cane, forse da caccia, forse no. Alda non era un’esperta, ma vedeva che aveva una ferita grave sul fianco. Era enorme, ma Alda non ne aveva paura. Vedeva solo il dolore nei suoi occhi. La gente rise e se ne andò. A nessuno piacevano i guai.
Alda accarezzò delicatamente la testa del cane.
“Resisti, resisti un altro po’. Prendo una coperta, ti sposto e cerchiamo di arrivare a casa.”
Dietro di lei, un fruscio.
“Mamma, ho preso la coperta. E c’è anche lo sportello del vecchio frigo, possiamo usarlo come barella.”
Alda si voltò di scatto. C’era Alessandro, con gli occhi lucidi. Il cane afferrò la coperta coi denti e guaì piano. Si calmò mentre Alda gli medicava la ferita. Se i cani svengono, quello era il suo momento. I più piccoli osservavano dal divano con occhi sgranati.
“Mamma, sopravviverà?”
Alessandro accarezzava la testa del cane, che finalmente riaprì gli occhi annebbiati.
“Deve farcela. Ci prenderemo cura di lui.”
Il giorno dopo, appena arrivata in fattoria, le mungitrici la circondarono.
“Alda, ma cosa ti è passato per la testa? Perché portare in casa un cane grosso e sconosciuto, per giunta coi bambini?”
“Già. Come se non avesse già sette bocche da sfamare. E poi? Morirà comunque, e se non muore, prima o poi azzannerà qualcuno.”
Alda alzò la voce:
“Ma non avete problemi vostri, invece di ficcarvi nei miei? Gina, ieri Caterina diceva che ti strapperà i capelli perché qualcuno le ha riferito che tuo marito va a trovarti passando dagli orti. E tu, Tania, dovresti sistemare le cose a casa tua invece di immisciarti nelle mie. Il tuo Enrico ieri era di nuovo a bere birra dietro al negozio, e ha solo quattordici anni.”
Le donne ammutolirono e indietreggiarono, perché Alda non si era mai permessa una cosa simile. Poi lei tornò al lavoro. “Devo ricordarmi di prendere altro latte. Forse Rex berrà almeno quello.”
Alessandro aveva chiamato il cane Rex. Non lo lasciava mai solo. Gli portava acqua, gli sistemava la testa, gli metteva una ciabatta sotto per farlo stare comodo.
Quella sera, il trovatello bevve un po’ di latte.
“Bravo, ce la farai di sicuro…”
E Rex ce la fece. Alda gli preparava da mangiare come ai bambini. Si privava, ma il cane non restava senza. Dopo tre settimane, barcollava già per casa. I bambini lo accarezzavano, ma evitavano di stringerlo troppo. Rex si era scelto un posto: dormiva su un tappeto accanto al letto di Alessandro. Alda sapeva che in paese continuavano a spettegolare, ma faceva finta di nulla. Lasciateli parlare, le lingue sono fatte per muoversi.
***
La primavera arrivò all’improvviso. Alda e Alessandro decisero di coprire un’aiuola con la plastica per scaldare la terra. Dopo che aveva portato il cane a casa, la gente del paese aveva smesso di aiutarli. Pazienza, se aveva da dare da mangiare a un bestione del genere, poteva cavarsela da sola. Alda non si offendeva. Avevano ragione, su tutto. Aveva scelto di avere figli, aveva scelto di prendere il cane. E nessuno era in colpa se non