**OSSESSIONE**
In un gruppo di sole donne, sempre c’è spazio per pettegolezzi. E, come si sa, la lingua di una pettegola è più lunga di una scala. In un asilo di Roma, si parlava spesso della vita privata e familiare della maestra Lucia. Per la giovane donna, erano due mondi separati. Lucia sembrava quasi divertirsi a dare adito a ogni tipo di chiacchiera.
Aveva sempre una folla di ammiratori. Non appena un idraulico, un falegname o un imbianchino entravano nell’asilo, Lucia, dimenticando i suoi doveri, correva a “dare una mano” all’operaio. Anche se non andava oltre un flirt spudorato e sorrisi promettenti, tutti erano sicuri che ci fosse un “qualcosa di marcio” in lei.
Lucia cinguettava senza sosta, circondandosi di uomini. Scambiava persino battute con il custode Michele, ormai anziano e prossimo alla pensione. Amava nuotare nei complimenti, sentirsi senza rivali tra le colleghe.
Eppure, c’era un dettaglio: Lucia era sposata e aveva una figlia, Bianca, di sette anni. Ma queste circostanze non la turbavano. Anzi, sembravano non influenzare minimamente la sua vita privata.
Suo marito, Valerio, la adorava. La trattava come una principessa. Sospettava dei giochi innocenti della moglie, ma si consolava: “Be’, se una donna è bella… è difficile ignorare l’attenzione degli uomini. Ma la mia Lucia mi è fedele.”
Pura ingenuità. Del resto, Lucia gli ripeteva sempre quanto lo amasse.
…Lucia si era sposata su insistenza della madre, che diceva: “Con un uomo docile come Valerio, puoi plasmare il marito perfetto.” E così era stato. Valerio, esperto di impianti elettrici, spesso partiva per lavoro. Quando tornava, riempiva Lucia e Bianca di regali e dedicava ogni minuto libero alla famiglia. Ma a Lucia mancava qualcosa in quel matrimonio tranquillo. Passione? Emozioni forti?
…Poi, un giorno, si innamorò perdutamente. Tutto cominciò quando Michele andò in pensione. Al suo posto, assunsero il figlio della direttrice, Riccardo, studente di medicina al quarto anno.
La direttrice, Vittoria Elisabetta, aveva voluto aiutare economicamente il figlio, proponendogli di fare il custode di notte. Lui accettò subito. Un po’ di soldi in più non facevano mai male, e magari avrebbe potuto portare la sua ragazza al cinema e offrirle un gelato…
Anche se, per il momento, la ragazza non c’era. Ma con un futuro dentista così in gamba, sarebbe arrivata presto.
Appena Riccardo iniziò a lavorare, Lucia non resistette e andò a trovarlo nella portineria.
…Era una serata d’inverno. I bimbi erano stati ripresi dai genitori, e Lucia si presentò senza invito. Riccardo, educato, la fece sedere. Lei sapeva come iniziare una conversazione, e presto si ritrovarono a parlare senza sosta. Lui raccontava dei suoi studi, degli amici; lei annuiva, poi si lamentava della sua vita noiosa. A un certo punto, Riccardo le prese la mano per consolarla. Il tempo volò. Quando uscirono, Roma era già immersa nella notte.
Riccardo la accompagnò a casa—per fortina, abitava vicino all’asilo.
Così iniziò il loro travolgente amore.
Lucia non riusciva a fermarsi. Correva verso l’abisso senza guardarsi indietro. Presto, Riccardo le confessò il suo amore. La notizia si sparse in un attimo tra il personale dell’asilo, perché, come si dice, “dove c’è fumo, c’è arrosto.”
La direttrice chiamò Lucia nel suo ufficio per un “colloquio.”
“Lucia, hai una famiglia. Ti prego, come madre: lascia stare Riccardo. Che cosa potete avere in comune? Tu hai un marito, una figlia. Riccardo deve ancora studiare. Non ha bisogno di un amore rubato. O vuoi che ti licenzi per l’immoralità?”
“Licenziami pure, Vittoria Elisabetta! Non rinuncerò a Riccardo. È mio!” rispose Lucia, uscendo a precipizio.
“Non te ne pentirai!” le gridò dietro la direttrice.
Il giorno dopo, Lucia presentò la richiesta di ferie. La direttrice firmò senza dire una parola, aggiungendo solo: “Spero che rinsavirai. Non ho bisogno di una nuora con un ‘dote’ così!”
Lucia, prendendo la figlia (il suo “dote”), partì con i suoi genitori in campagna. Aveva bisogno di riflettere. Non capiva cosa le stesse accadendo. Desiderio? Passione? Ossessione? La ragione taceva, ma il cuore chiedeva amore.
Nel paese viveva una vecchia indovina, Concetta. Aveva novant’anni, ma la mente lucida e un’infinita saggezza. Viveva sola in una casupola ai margini del villaggio. Una volta aveva avuto un marito e sette figli, ma li aveva persi tutti. Dopo aver pianto ogni lacrima, era diventata una veggente. Le sue predizioni si avveravano sempre.
Lucia le portò dei dolci (Concetta non accettava soldi) e andò a “leggere il destino.”
Non aveva nemmeno varcato la soglia che Concetta la sorprese: “Allora, ragazza, come chiamerai il tuo bambino?”
Lucia non capì. “Quale bambino?”
“Il tuo figlio. In primavera avrai una nuova vita. Non lo sapevi?”
Sconcertata, Lucia entrò. La casa era buia, piena di icone, erbe aromatiche e candele accese.
“Siediti, cara. So di cosa ti preoccupi,” disse Concetta, spargendo vecchie carte sul tavolo.
“Non farmi aspettare, nonna. Dimmi tutto,” implorò Lucia.
“Tua figlia sposerà un militare. Andrà lontano con lui. Tu, invece, torna da tuo marito. Ti accetterà, nonostante tutto. Se lo perderai, sarai sola al mondo.”
Poi mormorò preghiere, sciolse la cera e la versò in una ciotola d’acqua. La forma che ne uscì era… un cammello.
Lucia ne fu turbata. Ma presto decise: avrebbe lasciato Valerio per Riccardo.
…Tornata a Roma, corse da Riccardo, ma nella portineria trovò Michele. “Il tuo ragazzo se n’è andato,” le disse. “Vittoria Elisabetta l’ha mandato dai parenti in Sicilia. Meglio che pascoli le pezz