Il Dono della Vita: Un Tesoro Senza Prezzo

**Il Dono della Vita**

Mi chiamo Enrico, e ho 61 anni. La vita è stata un viaggio pieno di alti e bassi, ma ora mi trovo in un posto dove solitudine e nostalgia si intrecciano. La mia prima moglie è morta otto anni fa, dopo una lunga malattia che l’ha consumata lentamente. L’ho accudita fino all’ultimo respiro, e da allora, ho vissuto in silenzio, da solo. I miei figli, ormai adulti con le loro famiglie, passano a trovarmi appena una volta al mese, lasciandomi qualche soldo e medicine prima di andarsene in fretta. Non li biasimo; hanno le loro responsabilità. Ma nelle sere di pioggia, quando le gocce battono sul tetto di lamiera e il vento si infila dalle fessure, mi sento terribilmente piccolo e solo.

L’anno scorso, navigando su Facebook, ho ritrovato Lucia, il mio primo amore del liceo. La adoravo da ragazzo. Aveva i capelli lunghi e sciolti, gli occhi neri come la notte, e un sorriso così luminoso che poteva illuminare tutta l’aula. Ma proprio mentre mi preparavo per l’esame di maturità, la sua famiglia la promise in sposa a un uomo di dieci anni più grande, del Sud Italia. Dopo, perdemmo ogni contatto.

Quarant’anni dopo, il destino ci ha fatto incrociare di nuovo. Scoprii che anche lei era vedova; suo marito era morto cinque anni prima. Viveva con il figlio minore, ma lui lavorava in un’altra città e passava di rado. All’inizio, ci scambiavamo solo saluti. Poi, iniziarono le telefonate. E i caffè al pomeriggio. Senza rendermene conto, mi ritrovavo a guidare la mia vecchia Vespa fino a casa sua ogni pochi giorni, con un cestino di frutta, qualche dolce e pastiglie per i dolori articolari.

Un giorno, quasi scherzando, le dissi: «E se… due anime vecchie come noi si sposassero? Non sarebbe un modo per alleviare la solitudine?» Con mia sorpresa, i suoi occhi si riempirono di lacrime. Mi affrettai a dire che era solo una battuta, ma lei sorrise dolcemente e annuì. E così, a 61 anni, mi sono risposato con il mio primo amore.

**Capitolo 2: Il Giorno del Matrimonio**

Il giorno delle nozze, indossai un completo marrone scuro. Lei sfoggiava un semplice vestito di seta color crema, i capelli raccolti con cura e un fermaglio di perla. Amici e vicini vennero a festeggiare. Tutti dicevano: «Sembrate due ragazzini innamorati!» E in effetti, mi sentivo così.

Quella sera, dopo aver sistemato i resti del banchetto, erano già passate le dieci. Le preparai un bicchiere di latte caldo e uscii a chiudere il cancello e spegnere le luci del portico. La nostra prima notte di nozze —qualcosa che credevo ormai impossibile alla mia età— era finalmente arrivata. Entrai in camera. Lei era seduta sul letto, ad aspettare con un sorriso timido.

Mi avvicinai. Con mani tremanti, le sbarazzai delicatamente la blusa… E poi rimasi immobile. La sua schiena, le spalle, le braccia erano coperte di macchie scure —cicatrici antiche, profonde, intrecciate come una mappa di sofferenza. Sentii il cuore spezzarmi.

Lei si coprì in fretta con una coperta, gli occhi spalancati dalla paura. Io tremavo quando le chiesi: «Lucia… cos’è successo?» Si voltò, la voce rotta: «Negli anni… lui aveva un brutto carattere. Urlava… mi picchiava… Non l’ho mai detto a nessuno…»

**Capitolo 3: Il Dolore Silenzioso**

Mi sedetti accanto a lei, il cuore in frantumi, le lacrime che mi riempivano gli occhi. Tutti quegli anni, aveva vissuto in silenzio —con paura, con vergogna— senza confidarsi con nessuno. Le presi la mano e la portai al mio petto. «Adesso va tutto bene. Da oggi, nessuno potrà più farti del male. Nessuno ha il diritto di farti soffrire… tranne io —ma solo per amarti troppo.»

Lei scoppiò in un pianto sommesso, tremante, che risuonò nella stanza. La strinsi con delicatezza. La sua schiena era fragile, le ossa sporgevano un po’ —quella donna minuta, che aveva sopportato tanto, per così tanti anni. La nostra prima notte non fu come quella dei giovani. Ci sdraiammo uno accanto all’altra, in silenzio, ascoltando i grilli nel cortile, il vento tra gli alberi. Le accarezzai i capelli. Le baciai la fronte. Lei mi sfiorò la guancia e sussurrò: «Grazie. Grazie per dimostrarmi che c’è ancora qualcuno al mondo a cui importa di me.»

Sorrisi. A 61 anni, finalmente avevo capito: La felicità non è nel denaro né nelle passioni sfrenate della gioventù. È in una mano che ti stringe, una spalla su cui appoggiarsi, qualcuno che resta con te tutta la notte… solo per sentire il tuo cuore battere.

**Capitolo 4: Un Nuovo Inizio**

Con il passare dei giorni, il nostro legame si rafforzò. Lucia e io cominciammo a costruire ricordi insieme. Le mattine erano nostre, piene di risate e chiacchiere sul passato, sui sogni e su tutto ciò che non avevamo mai osato fare. Iniziammo a passeggiare nel parco, godendoci la compagnia l’uno dell’altra e la natura intorno.

Un giorno, mentre camminavamo, Lucia mi disse: «Enrico, non credevo potessi essere felice di nuovo. Dopo tutto quello che ho passato, pensavo che la vita dovesse essere solitaria.» La guardai e risposi: «La vita è un dono, Lucia. A volte, serve solo un po’ di tempo per ritrovare la strada della gioia.»

Cominciammo a fare progetti. Decidemmo di fare un breve viaggio al mare, dove entrambi avevamo passato momenti felici da giovani. Prenotammo una casetta e, appena arrivati, l’odore del mare e il suono delle onde ci avvolsero in una pace infinita. Era come se il tempo si fosse fermato, regalandoci quei giorni dorati.

**Capitolo 5: Affrontare i Fantasmi**

Non fu tutto semplice. A volte, nel bel mezzo delle risate, Lucia cadeva in silenzio, persa nei suoi pensieri. Capivo che il dolore del passato tornava a bussare. Una sera, seduti in spiaggia al tramonto, osai chiederle.

«Lucia, cosa ti turba? A volte ti vedo lontana.» Sospirò e fissò l’orizzonte

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