L’Uomo Solo

**Diario di un Vedovo**

Fin dalle elementare, ero innamorato di Laura. Piccola, delicata, con una pioggia di lentiggini rosse sul naso. Così la vidi per la prima volta, e già in prima media ero perdutamente cotto di lei.

Laura era più giovane di me di tre anni. Studiosa, modesta, timida. Io, anno dopo anno, mi legavo a lei sempre di più. La osservavo durante lintervallo mentre saltava la corda nel cortile con le amiche. Leggera come una farfalla.

Quando tornai dal servizio militare, quel stesso giorno andai da lei con un mazzo di fiori e le chiesi di sposarmi. Suo padre, uomo severo, mi parlò a lungo in disparte, poi, con un sorriso, mi strinse la mano e me la concesse.

Il matrimonio fu allegro, con parenti arrivati da ogni parte. Festeggiammo per tre giorni. Gli occhi di Laura brillavano di felicità, e io ero fiero: avevo la sposa più bella di tutto il paese.

Due anni dopo, con laiuto dei genitori, costruimmo una casa. Laura era felice: tre mesi prima del parto, finalmente ci trasferimmo nella nostra casa.

Nacque una bambina, la chiamammo Veronica, come la nonna di Laura. Era forte e sana, ma per Laura il parto fu durissimo. Per un anno rimase pallida, debole. La portai dai medici, che scrollavano le spalle: “Ci vuole tempo per riprendersi”.

Quando Veronica compì un anno e mezzo, Laura scoprì di essere di nuovo incinta. I dottori le consigliarono di interrompere la gravidanza: il corpo non era pronto, rischiava di non farcela. Ma lei fu irremovibile.

“Non ucciderò mio figlio! Non è colpa sua se vuole nascere. Che sia quel che sarà,” diceva. “È la volontà di Dio.”

Lultimo mese di gravidanza lo passò in ospedale. A casa, la piccola Veronica si annoiava, e io ero un marito inquieto. Sentivo che qualcosa di brutto stava per accadere.

E avevo ragione. Laura non sopravvisse al parto. Il suo cuore si fermò, ma riuscirono a far nascere due meravigliose gemelle.

Al funerale, accanto alla tomba, fissavo la terra nera con sguardo vuoto. Nella mente rivivevo ogni istante con lei, i giorni felici, il suo sorriso. Nelle orecchie, il suo risato squillante. Quando la bara scese nella fossa, caddi in ginocchio e piansi come un animale ferito.

“Come farò senza di te? Perché devo vivere ancora?” Le lacrime mi scendevano, e dentro di me cera solo un vuoto. Il mio cuore era diventato un buco nero.

Poi iniziai a bere. Senza controllo. Volevo dimenticarla, non sentire più la sua voce nella mia testa.

I genitori di Laura si presero le bambine. Credevano che non mi sarei mai ripreso dal dolore, che non sarei stato un buon padre.

Il quarantesimo giorno dalla sua morte, ubriaco, mi addormentai nella stalla. E sognai Laura: vestita di bianco, i capelli sciolti sulle spalle, i riccioli rossi che brillavano al sole. Mi accarezzò la testa e mi parlò con quella dolcezza di un tempo:

“Lorenzo, tesoro, cosa ti stai facendo? Non ti vergogni? Le bambine non vedono il loro papà, gli manchi. Tu sei necessario a loro, come io lo ero per te. Se mi ami ancora, non abbandonarle. Amale come hai amato me.”

Mi svegliai, la testa stranamente lucida, il sole che mi scaldava il viso. Appena spuntò lalba, andai dai genitori di Laura, rasato e pulito. Serio, con uno sguardo pieno di saggezza, come se fossi invecchiato di colpo di cinquantanni. Baciai la mano di mia suocera, abbracciai mio suocero, presi le bambine e tornai a casa.

Da allora, vivemmo in quattro. Imparai a cucinare, lavare, rammendare. E a fare le trecce meglio di qualsiasi mamma.

A scuola, le mie figlie erano lodate: brave, obbedienti, attente. Se qualcuno le maltrattava, io volavo in loro difesa come un falco.

I vicini mi chiedevano perché non mi risposassi. “Sei ancora giovane, forte, bello.” Io li guardavo stupito e rispondevo: “Sono già sposato. Ho tre spose in casa, ne vogliamo aggiungere unaltra? No, con quattro non ce la farei.”

Così, tra battute, notti insonni, pasti saltati e tanto lavoro, cresci le mie tre bambine.

Quando erano alle superiori, una vicina iniziò a farmi visita: portava funghi secchi, aringhe salate. Provava in ogni modo a conquistarmi. Una sera, la invitai e le chiesi:

“Quale delle mie figlie ti piace di più?”

“Le tue figlie non sono il mio problema! Presto finiranno la scuola e se ne andranno. E tu, vuoi restare solo per sempre? Io amo te, non loro.”

La guardai: “Ecco il mio ritratto,” le dissi, porgendole una foto. “Ammirami pure a casa tua quanto vuoi.”

Se ne andò a mani vuote.

Le mie figlie crebbero, andarono alluniversità, ma non mi dimenticarono. Ogni weekend tornavano, aiutavano in casa e nellorto.

Poi le maritai. Con ogni genero parlai a lungo, come aveva fatto mio suocero con me. Volevo solo felicità per le mie tre principesse.

Ora sono grandi, ognuna con la sua famiglia, figli, preoccupazioni. Ma nessuna dimentica il padre. Ogni festa, tornano tutte e tre in paese. Mi amano le figlie, i nipoti, i pronipoti.

Quando compii 81 anni, sognai di nuovo. Ero giovane, forte, in un campo. E verso di me correva la mia Lalla! Vestita di bianco, scalza, i capelli che brillavano al sole. Aprì le braccia, e il mio cuore sembrava voler uscire dal petto. Ci abbracciammo, e lei mi sussurrò:

“Lorenzo, amore mio, quanto sei stato bravo! Hai dato alle nostre figlie una vita felice. Io ti ho visto, ho pregato per te ogni giorno.” Mi prese la mano. “Andiamo. Ora staremo insieme per sempre.”

Ci incamminammo mano nella mano su un prato verde come i monti delle Alpi.

Tutti i parenti vennero a salutarmi. Le figlie soffrirono molto, ma sapevano: ora ero accanto a colei che avevo amato per tutta la vita.

Questa è la storia vera di un uomo buono, un padre con la P maiuscola. Mia nonna me la raccontò. Tutti in paese lo conoscevano. Così accade che un uomo scelga una vita di sacrifici per le figlie, invece che per sé stesso.

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