Nonno mi ha lasciato una casa fatiscente alla periferia di Milano nel testamento, e quando ho varcato la soglia sono rimasto senza parole…

Il nonno mi lasciò in eredità una casa fatiscente alla periferia del paese, e quando varcai la soglia, rimasi senza parole…

Mentre mia sorella si aggiudicava un lussuoso bilocale nel centro di Milano, a me toccò una vecchia cascina in campagna, con il tetto che perdeva e le finestre che cigolavano. Mio marito, senza pensarci due volte, mi definì “una fallita” e se ne andò a vivere con mia sorella. Perso tutto, mi ritrovai in quel paesino sperduto, e quando aprii la porta della casa, il cuore mi fece un balzo…

Lufficio del notaio era angusto e puzzava di polvere e documenti ingialliti. Alessia sedeva su una sedia scomoda, le mani sudate dallansia. Accanto a lei cera Beatrice, sua sorella maggiore, impeccabile nel suo tailleur firmato e con le unghie perfette. Sembrava lì per un meeting di lavoro, non per la lettura di un testamento.

Beatrice scrollava distrattamente il telefono, lanciando occhiate annoiate al notaio come se avesse di meglio da fare. Alessia, invece, torceva nervosamente la tracolla della sua borsa consumata. A trentaquattro anni, si sentiva ancora la sorellina timida al cospetto della sicura e vincente Beatrice. Lavorare in biblioteca non le dava grandi entrate, ma ad Alessia piaceva, e questo le bastava.

Per gli altri, però, era solo un hobby, soprattutto per Beatrice, manager in unazienda importante che guadagnava in un mese quello che Alessia vedeva in un anno. Il notaio, un uomo anziano con gli occhiali sottili, schiarì la voce e aprì la cartella con i documenti. Nella stanza calò un silenzio ancora più profondo. Da qualche parte, un orologio a muro ticchettava, accentuando la tensione.

Il tempo sembrò rallentare. Ad Alessia tornarono in mente le parole del nonno: *”Le cose più importanti della vita accadono nel silenzio.”*

*”Il testamento di Vittorio Giovanni Rossi,”* iniziò il notaio con tono monotono.

*”Lascio lappartamento di due stanze in via Garibaldi, numero 27, interno 43, con mobili e suppellettili, alla nipote Beatrice Maria.”*

Beatrice non alzò nemmeno gli occhi dallo schermo, come se già sapesse che le sarebbe andato il bottino migliore. Il suo viso rimase impassibile. Alessia sentì una stretta al petto. Eccola di nuovo, la solita storia: lei al secondo posto.

Beatrice era sempre stata la prima: voti migliori, università prestigiosa, sposata con un imprenditore benestante. Aveva un attico, una macchina di lusso, vestiti firmati. E lei? Sempre nellombra.

*”Inoltre, la casa colonica nel borgo di San Felice, con annessi e terreni circostanti per un totale di duemila metri quadri, lascio alla nipote Alessia Maria,”* continuò il notaio.

Alessia trasalì. Una casa in campagna? Quella stessa cascina semidiroccata dove il nonno aveva vissuto gli ultimi anni? Ricordava solo qualche visita dinfanzia, con le pareti scrostate e il giardino invaso dalle erbacce.

Beatrice finalmente si staccò dal telefono e la guardò con un sorrisino:

*”Beh, Ale, almeno hai avuto qualcosa. Anche se, francamente, non so cosa te ne farai di quella rudere. Magari la demolisci e vendi il terreno.”*

Alessia non rispose. Le parole le si bloccarono in gola. Perché il nonno aveva deciso così? Anche lui la considerava una fallita? Voleva piangere, ma si trattennenon lì, davanti a Beatrice e a quel notaio severo che la osservava con un velo di compassione.

Finiti i formalismi, il notaio consegnò a ciascuna i documenti e le chiavi. Beatrice firmò in fretta, infilò le chiavi nella borsetta firmata e si alzò.

*”Devo andare, ho un meeting. Ci sentiamo. Non deprimerti troppoalla fine, qualcosa ti è toccato.”*

E se ne andò, lasciandosi dietro una scia di profumo francese.

Alessia rimase seduta a lungo, stringendo le chiavi della casa di campagna. Erano pesanti, arruginite, vecchie. Niente a che vedere con quelle eleganti di Beatrice. Fuori laspettava suo marito, Marco, accanto alla sua macchina scassata, che fumava nervosamente.

*”Allora, cosa hai preso?”* le chiese senza nemmeno salutarla. *”Spero almeno qualcosa di decente?”*

Quando Alessia gli raccontò, la sua espressione si fece buia.

*”Una casa in campagna?! Ma sei seria? Tua sorella si è presa un attico in centro che vale mezzo milione di euro, e tu una baracca!”*

Alessia rabbrividì. Marco ultimamente era sempre più irritabile, soprattutto quando si parlava di soldi.

*”Non ho scelto io,”* provò a difendersi. *”È stata la volontà del nonno.”*

*”Ma potevi farti valere! Parlargli, spiegargli la situazione! Invece no, sei sempre stata la solita timida, incapace di qualsiasi cosa. Non sai nemmeno ereditare come si deve!”*

Le sue parole la trafissero. Sette anni di matrimonio, e lui la trattava come un estraneo.

*”Marco, non urlare.”*

*”Cosa vuoi che faccia con quel rudere? Nessuno te lo comprerebbe neanche per centomila euro. Magari lo butti giù e vendi il terreno.”*

Salì in macchina sbattendo la portiera e rimase muto per tutto il viaggio. Alessia guardò fuori dal finestrino, ripensando al nonno. Vittorio era stato un uomo buono, di poche parole. Aveva lavorato come mezzadro, poi come ferroviere, e dopo la pensione si era ritirato in campagna. Diceva che in città si soffocava, mentre lì laria era pulita.

Alessia ricordava le estati passate con lui da bambina. Le insegnava a riconoscere i funghi, le mostrava dove crescevano le fragole, le parlava degli uccelli e degli animali. Non alzava mai la voce, non la costringeva a fare nulla. Semplicemente cera. E grazie a lui, Alessia si era sentita importante.

*”Tu sei speciale, piccola,”* le diceva. *”Non sei come gli altri. Hai unanima sensibile, vedi la bellezza dove gli altri non la notano. È un dono raro.”*

Allora non aveva capito. Ora quelle parole le sembravano una beffa. Cosa cera di speciale in lei, se persino suo marito la considerava una fallita?

A cena, Marco fu glaciale. Poi, posando la forchetta, le disse:

*”Alessia, ho riflettuto. Il nostro matrimonio non ha funzionato. Tu non mi dai quello che voglio dalla vita.”*

*”Cosa intendi?”*

*”Mi serve una donna che mi sostenga, non una che lavora in biblioteca per due spicci e si accontenta di eredità da quattro soldi. Ho trentasette anni, voglio vivere bene.”*

*”Sapevi chi sposavi. Non ho mai fatto finta di essere diversa.”*

*”Lo so. E ho sbagliato. Pensavo saresti cambiata, che avresti trovato un lavoro migliore. Invece sei rimasta la solita grigia topolina.”*

Alessia sentì tutto crollarle dentro.

*”E quindi?”*

*”Divorzio. Ho già parlato con lavvocato. Intanto puoi stare da amici o nella tua meravigliosa campagna.”*

Disse lultima frase con tale sarcasmo che Alessia rabbrividì. Marco si alzò e si diresse verso la porta.

*”Aspetta,”* sussurrò lei.

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