Mi chiamo Chiara, e ho 28 anni. Sono una madre single di mio figlio, Matteo, da quasi un decennio. Suo padre, Luca, ci ha lasciati troppo presto quando Matteo era solo un neonato. Una complicazione cardiaca improvvisa lo ha portato via. Aveva solo 23 anni.
Eravamo giovani, appena maggiorenni, quando scoprimmo che aspettavamo un bambino. Spaventati. Felici. Inesperti. Ma ci amavamo profondamente, con tutta lanima. Eravamo determinati a farcela. Luca mi chiese di sposarlo la stessa sera in cui sentimmo il battito di Matteo. Quel piccolo *tic-tac* ci sconvolse la vitanel modo più bello possibile.
Non avevamo molto. Luca era un musicista, io lavoravo di notte in una trattoria e cercavo di finire il diploma. Ma avevamo sogni, speranza e tanto amore. Per questo la sua morte mi spezzò. Un giorno stava scrivendo una ninna nanna per nostro figlio, e il giorno dopo se nera andato. Così, di colpo.
Dopo il funerale, andai a vivere con unamica e mi dedicai completamente a Matteo. Da allora fu solo lui e ioimparando strada facendo. Vestiti di seconda mano. Frittelle bruciate. Storie della buonanotte. Incubi. Risate. Lacrime. Ginocchia sbucciate e parole dolci per calmarlo. Gli diedi tutto me stessa.
Ma per la mia famiglia, soprattutto per mia madre, Rosa, tutto questo non era mai abbastanza.
Agli occhi suoi, ero lesempio da non seguirela figlia rimasta incinta troppo giovane, quella che aveva scelto lamore invece della ragione. Nemmeno dopo la morte di Luca si ammorbidì. Mi giudicava perché non mi ero risposata, perché non avevo “sistemato” la mia vita come avrebbe voluto. Per lei, essere una madre single non era coraggiosoera una vergogna.
Mia sorella Sofia, invece? Aveva seguito ogni regola. Innamoramento alluniversità. Matrimonio da favola. Casa perfetta in periferia. Era la figlia prediletta. E io ero la macchia nel ritratto di famiglia.
Quando Sofia ci invitò, me e Matteo, al suo baby shower, vidi unopportunità. Un nuovo inizio. Sullinvito aveva scritto a mano: “Spero che questo ci riavvicini”. Mi aggrappai a quelle parole come a unancora di salvezza.
Matteo era entusiasta. Voleva scegliere lui il regalo. Optammo per una copertina fatta a manoqualcosa che cucivo ogni nottee un libro per bambini che adorava: *Ti amerò per sempre*. “Perché i bambini devono essere sempre amati”, disse. Fece anche un biglietto con colla glitterata e un disegno di un neonato avvolto in una coperta. Il suo cuore mi stupiva sempre.
Arrivò il giorno della festa. Il locale era elegantepalloncini dorati, centrotavola fioriti, uno striscione con scritto “Benvenuta, piccola Giulia”. Sofia era raggiante, splendida nel suo vestito pastello. Ci abbracciò calorosamente. Per un attimo, pensai che forse le cose sarebbero migliorate.
Ma avrei dovuto saperlo meglio.
Durante lapertura dei regali, Sofia scartò il nostro e sorrise. Accarezzò la coperta con gli occhi lucidi e disse che era bellissima. “Grazie”, sussurrò. “So che lhai fatta con amore.” Sorrisi, un nodo in gola. Forse era davvero un nuovo inizio.
Poi mia madre si alzò, bicchiere di spumante in mano, pronta per il brindisi.
“Voglio solo dire quanto sono orgogliosa di Sofia”, iniziò. “Ha fatto tutto nel modo giusto. Ha aspettato. Si è sposata con un uomo perbene. Sta costruendo una famiglia come si deve. Una famiglia rispettabile. Questa bambina avrà tutto ciò di cui ha bisogno. Compreso un padre.”
Alcuni volti si girarono verso di me. Sentii il viso bruciare.
Poi mia zia Pinache parlava sempre come se le sue parole fossero avvelenaterise e aggiunse: “A differenza del figlio di sua sorella, che è nato fuori dal matrimonio.”
Mi sentii come se mi avessero dato un pugno nello stomaco. Il cuore mi si fermò. Le orecchie mi ronzavano. Sentii tutti gli sguardi puntati su di me, poi subito distolti. Nessuno disse nulla. Non Sofia. Non i miei cugini. Nessuno mi difese.
Tranne uno.
Matteo.
Era seduto accanto a me in silenzio, le gambette che dondolavano dalla sedia, stringendo una piccola busta regalo con scritto “Alla Nonna”. Prima che potessi fermarlo, si alzò e si avvicinò a mia madre, calmo e composto.
“Nonna”, disse, porgendole la busta, “ho qualcosa per te. Papà mi ha detto di dartelo.”
La stanza cadde in un silenzio totale.
Mia madre, colta alla sprovvista, prese la busta. Dentro cera una foto incorniciatauna che non vedevo da anni. Luca e io, nel nostro piccolo appartamento, settimane prima delloperazione. La sua mano sulla mia pancia rotonda. Sorridevamo, pieni di vita e di amore.
Sotto la foto cera una lettera piegata.
Riconobbi la calligrafia allistante.
Luca.
Laveva scritta prima delloperazione. “Per ogni evenienza”, aveva detto. Lavevo messa in una scatola da scarpe e me nero dimenticata. In qualche modo, Matteo laveva trovata.
Mia madre la aprì, lentamente. Le labbra le tremavano mentre leggeva. Il suo viso impallidì.
Le parole di Luca erano semplici ma potenti. Parlava del suo amore per me, delle sue speranze per Matteo, dellorgoglio per la vita che avevamo costruito. Mi definiva “la donna più forte che conosca”. Chiamava Matteo “il nostro miracolo”. Disse: “Se stai leggendo questo, significa che non ce lho fatta. Ma ricordati: nostro figlio non è un errore. È una benedizione. E Chiaralei è più che sufficiente.”
Matteo la guardò e disse: “Lui mi amava. Amava la mia mamma. Quindi non sono un errore.”
Non urlò. Non pianse. Disse semplicemente la verità.
E quella verità spezzò il cuore a tutti.
Mia madre strinse la lettera come se pesasse, le mani che le tremavano. La sua compostezza perfetta si incrinò.
Corsi da Matteo, lo strinsi tra le braccia, le lacrime che mi bruciavano gli occhi. Mio figlioil mio coraggioso, meraviglioso bambinoaveva appena affrontato unintera stanza di persone, non con rabbia, ma con dignità silenziosa.
Mia cugina stava filmando col telefono. Lo abbassò, sconvolta. Sofia piangeva, lo sguardo che passava da Matteo a nostra madre. Il baby shower sembrava essersi fermato nel tempo.
Mi alzai, ancora abbracciata a Matteo, e affrontai mia madre.
“Non permetterò più che parli di mio figlio in quel modo”, dissi. La voce era ferma, calma. “Lo hai ignorato perché detestavi come fosse venuto al mondo. Ma lui non è un errore. È la cosa migliore che abbia mai fatto.”
Mia madre non disse nulla. Rimase lì, lettera in mano, sembrando più piccola che mai.
Mi voltai verso Sofia. “Congratulazioni”, dissi. “Spero che tua figlia conosca ogni tipo di amore. Quello che si fa presente. Quello che lotta. Quello che dura.”
Lei annuì, in lacrime. “Mi dispiace, Chiara”, sussurrò. “Avrei dovuto dire qual






