Oggi ho deciso di scrivere di quello che è successo. La famiglia è stata lasciata allimprovviso, senza avvertimento: mio marito ha chiesto il divorzio senza che io lo sapessi.
Giorgio è uscito di casa in malo modo, senza preavviso, senza dire nulla. Quando sono tornata, come al solito, ho trovato gli attaccapanni vuoti e gli armadi svuotati. Ho vagato per casa sconvolta e confusa. La sua scomparsa è stata uno shock totalenon sapevo come reagire. Mi sono cambiata, ho riscaldato la minestra e ho mangiato in silenzio, sorridendo tra me e me. “Ah, Giorgio non ti conoscevo affatto! Che marito eccezionale, davvero!” pensavo mentre lavavo i piatti.
Avevamo vissuto quasi trentanni insieme a Monteverde. Nostro figlio, Matteo, era cresciuto, si era sposato e si era trasferito in Spagna. “Matteo se nè andato, la casa è vuota speriamo che Giorgio non decida di fare le valigie anche lui,” mi aveva detto la mia vecchia amica Rosanna, preoccupata. Io avevo riso, spensierata: “Ma che sciocchezze! Stai esagerando, Rosanna. O forse non ti conosco abbastanza!”
“Ridi pure,” aveva sbuffato Rosanna, “ma quante storie così ho sentito! I figli se ne vanno, il marito si guarda intorno, e la moglie resta sola e inutile!” Io avevo riso di nuovo: “Sei sempre stata la solita pettegola, Rosanna. Se non avessimo condiviso i banchi a scuola, ti sopporterei ancora?”
Dopo la partenza di Matteo, io e Giorgio avevamo cominciato a passare più tempo insieme. Andavamo al cinema, facevamo passeggiate al parco, organizzavamo cene con gli amici e grigliate in campagna. Era bello, tranquillo. Sembrava che la vita stesse iniziando un nuovo capitolo, pieno di gioia e fiducia. Giorgio aveva appena compiuto cinquantasei anni, io ne avevo cinquanta. Potevamo goderci la vita, invecchiare insieme, visitare nostro figlio e aspettare i nipoti.
“Matteo non sembra avere fretta di farvi nonni” aveva osservato Rosanna quando eravamo tornati dalla Spagna e avevo accennato che i giovani sposi stavano benissimo. “Rosanna, Rosanna, non riesci mai a essere felice per gli altri? Devi sempre ficcare il naso!”
“E allora? Ho torto? Sono tre anni che sono sposati e niente bambini,” aveva insistito Rosanna. “Vogliono viaggiare, conoscersi meglio! Oggi non si pensa più alla famiglia come ai nostri tempi,” avevo sospirato.
Un anno e mezzo dopo, nacquero i gemelli di Matteo: un maschietto e una femminina. Sofia e Arturo. Erano bellissimi, sani, uno spettacolo da vedere. Ogni sera, la marca dei pannolini ci chiamava in video, mostrandoci i bambini. Quando compirono otto mesi, più robusti, io e Giorgio andammo a conoscerli, a stringerli tra le braccia.
“Che bambini meravigliosi!” mi ero entusiasmata, mostrando le foto a Rosanna. “Guarda quanto Sofia somiglia a Matteo! E Arturo a Giovanna!”
“Eh, ‘somiglianze’!” aveva storto la bocca Rosanna. “Sono troppo piccoli per somigliare a qualcuno! Quando cominceranno a camminare e a parlare, allora si vedrà.”
“Perché sei così acida? Se non vuoi vederli, non guardarli!” Avevo raccolto le foto e le avevo messe in un cassetto per sistemarle negli album più tardi. A me piaceva ancora stampare le foto, scegliere le migliori tra le tante digitali.
Rosanna viveva da sola, per scelta. “Vivo come mi pare,” diceva sempre. Aveva avuto molti amanti, soprattutto uomini sposati. “Con un uomo sposato non devi pretendere troppo: la moglie si occupa del cibo e dei vestiti sporchi, io mi godo le attenzioni e lamore,” declamava.
Aveva ereditato un grazioso monolocale con balcone vicino alla metro da sua nonna. Appena maggiorenne, era scappata di casa. “Voglio vivere come voglio io!” aveva annunciato, e così fece. Si era tinta i capelli di rosso acceso, comprato un rossetto vivace e le prime scarpe col tacco. “Vieni, Livia, ti invito al mio trasloco. Verranno degli uomini, rimarrai stupita!”
Fu proprio al trasloco di Rosanna che conobbi Giorgio e poco dopo lo sposai. “Che noiosa che sei!” aveva detto Rosanna quando ricevette linvito al matrimonio. “Il primo ragazzo che incontri e subito ti sposi? Nessun confronto, nessuna riflessione!” Io, però, credevo fermamente in Giorgio. Eravamo fatti luno per laltro.
Per tantissimi anni è stato così, finché improvvisamente
“Rosanna, ciao,” chiamai lamica, “Giorgio me ne è andato. Proprio così, con le valigie Non ha detto niente, niente biglietto, il telefono è muto.”
“Sei stata in vacanza di recente?” chiese Rosanna, a sorpresa.
“Vacanze?! Ma mi stai ascoltando? Giorgio, ti dico, mi ha lasciato! Cosa centrano le vacanze?!”
“Fai una valigia, Livia. Andiamo in Sardegna, là cè mia zia, ricordi?” Rimasi in silenzio, riflettendo, poi annuii: “Hai ragione, Rosanna. Andiamo in Sardegna!”
In Sardegna, dove lospitalità è così calorosa che non la dimentichi più. La zia di Rosanna, la bellissima Anna, aveva sposato un sardo, Salvatore, e si era trasferita a Cagliari. Avevano avuto quattro figli, uno più bello dellaltro. I ragazzi erano cresciuti, si erano sposati, avevano avuto figli e nipotila famiglia era diventata enorme. Ed è in questa grande, rumorosa e allegra famiglia che arrivammo io e Rosanna per riposarci.
Lidea della vacanza si rivelò così azzeccata che dopo due giorni smisi di tormentarmi e di cercare motivi per cui Giorgio se nera andato.
“È semplice come due più due,” pensai, seduta in giardino, respirando il profumo del cibo che cuoceva. “Si è innamorato di unaltra, ma non ha avuto il coraggio di dirmelo. E non è colpa mia. La vita è così, punto.”
“Bevi un succo!” Rosanna mi mise davanti un bicchiere di succo di melograno fresco. “Che hai in faccia, Livia?” mi chiese, osservandomi attentamente.
“Cosa?”
“Il tuo viso sembra più disteso, più giovane.”
A Cagliari, città in cui è impossibile non innamorarsi, conobbi Davide. Era venuto a trovare uno dei cugini di Rosanna. Stare seduti tutti insieme in giardino, attorno a un grande tavolo di legno, bevendo vino robusto, mangiando formaggio e frutta, cantando canzoni sarde a più voci era magico. Notai subito i suoi sguardi, ricambiai i sorrisi. Era alto, elegante, con folti capelli argentati. Quella sera fu così speciale che la ricorderò per sempre.
“Grazie,” sussurrai a Rosanna, chinandomi verso di lei. Lei non disse nulla, ma mi strinse la mano.
Ecco la lezione che ho imparato: a volte, la fine di un amore è linizio di una nuova felicità.