**Primo amore a scuola: una storia di quinta liceo**
Mi innamorai per la prima volta a scuola, in quinta liceo. C’era un compagno di classe che mi piaceva da sempre, ma dopo le vacanze estive era cambiato, diventato quasi un principe. All’inizio di settembre, quando si sedette accanto a me al banco, mi sentii come in paradiso.
Anchio ero cambiata. Da ragazzina ero diventata una giovane donna, con una figura slanciata e gambe eleganti. I capelli, raccolti in una coda, mettevano in risalto il mio collo da cigno.
Marco guardò i miei pregi con occhio critico e decise che non sarebbe stato un disonore sedersi vicino a me. Tanto più che andavo bene a scuola, e in caso di bisogno, avrebbe potuto copiare. Io ero gentile e sensibile.
Ma lamicizia si trasformò presto in amore: il primo, intenso, travolgente, arrivato nel momento più sbagliato
Cerano gli esami da preparare, i libri da studiare, le verifiche. Eppure, io e Marco dopo scuola passeggiavamo, ci baciavamo sulle panchine del parco, dinverno andavamo a pattinare sul ghiaccio.
I genitori di Marco non erano contenti. Lui doveva entrare allaccademia militare, ma studiava poco per colpa della nostra relazione. Un amore così giovane non prometteva nulla di buono. Marco doveva pensare al futuro, e io venivo da una famiglia socialmente svantaggiata
Così lo convinceva suo padre. La madre, impietosita, annuiva.
Io vivevo con la nonna. Mia madre era morta quando avevo cinque anni. Era scomparsa. Sul certificato di nascita, al posto del nome di mio padre, cera solo una riga nera
“E di cosa ti sei innamorata?” si chiedeva preoccupata la nonna. “Ah, già Di tua madre.”
Quando si parlava di mia madre, la conversazione si interrompeva subito. La nonna, con le labbra serrate, taceva, come se guardasse dentro sé stessa, nel suo passato, e sospirava in silenzio.
Io intanto correvo allappuntamento con Marco. Raramente ci perdevamo un giorno dopo scuola. I voti cominciavano a calare, i professori si preoccupavano, i genitori di Marco lo sgridavano sempre più spesso e gli posero un ultimatum: non vedermi più fino a tempi migliori, almeno fino alla maggiore età.
Marco sorrise amaramente. Non voleva lasciarmi. Era la prima volta che entrambi eravamo così vicini. Quel sentimento nuovo aveva conquistato anche il suo cuore. Ma di una relazione seria non voleva nemmeno parlare. La reazione dei genitori era scontata.
Quando scoprii di essere incinta, tre mesi dopo il nostro primo incontro, fui sopraffatta dalla disperazione. Gli esami si avvicinavano, gli uccelli cantavano fuori dalla finestra, i ruscelli mormoravano. E io piangevo di notte nel cuscino, cercando di non svegliare la nonna. Ma lei, notando il mio umore cambiato, con istinto materno capì cosa era successo.
Ora vedevo Marco solo a scuola. Suo padre, inflessibile, aveva bloccato ogni contatto tra noi. Se lo avessero saputo
Una sera, la nonna si avvicinò al mio letto e mi chiese con calma:
“Pensi di tenerlo? Non mentirmi. Ho già vissuto questa storia con tua madre.” Si sedette sul bordo del letto e pianse, mentre io la abbracciavo e mi stringevo al suo fragile petto, piena di colpa.
“Cosa devo fare, nonna?” sussurrai. “I suoi genitori sono contrari. Ma non sanno ancora niente.”
“E lui? Lui lo sa?” chiese la nonna.
“No. Non ho il coraggio di dirglielo, ho paura che ci lasceremmo subito” Per la prima volta ammisi ciò che non osavo nemmeno pensare.
“Di fatto ti ha già abbandonato,” confermò la mia paura la nonna. “Ma devi dirglielo comunque. È tuo dovere. Se scapperà, allora non vale nienteun uomo così. E allora non rimpiangerlo. Non mostrargli che lo ami. Abbi orgoglio. Ce la faremo. Io tornerò a lavorare.”
“Ma come, nonna Lavorare. Sei in pensione!”
“La donna delle pulizie, qui nel nostro condominio. E allora? Finché vivo, posso ancora reggere una scopa. E ti aiuterò. Altrimenti, come faremmo Piccola mia.”
Piansi a dirotto, anche la nonna. Ma presto si riprese.
“Basta piangere. Ora non è il momento. Dormi.” Si alzò e disse con fermezza:
“Promettimi solo che finirai la scuola. A ogni costo. Qualsiasi cosa accada.”
Mi calmai. Decisi di dirlo a Marco alla prima occasione. Sapevo che difficilmente sarebbe stato felice, ed ero pronta a tutto. Ma dentro di me già cera quel minuscolo esserino che già amavo. Cosa sarebbe stato il suo rifiuto? Presto sarei diventata madre, e quella era già la più grande felicità
Marco ora sedeva a un altro banco. In classe si sussurrava della nostra rottura: alcuni davano la colpa a me, altri a lui, ma tutti concordavano che prima bisognava finire la scuola, poi studiare una professione, e solo dopo pensare alla famiglia. Ma nessuno parlava damore. Quello che provavo io, pochi lo intuivano. Se non lo vivi, non lo capisci.
Glielo dissi il giorno dopo il discorso con la nonna. Stavamo nel vialetto dietro la scuola. Lui impallidì, sembrò pietrificato, e senza riuscire a dire una parola, si voltò e se ne andò. Io rimasi lì, sperando che da un momento allaltro si sarebbe girato, sarebbe corso da me, mi avrebbe abbracciato come prima
Ma Marco continuò ad allontanarsi, senza voltarsi, come se scappasse da un incubo, volendo sparire e dimenticare tutto
Finii la scuola. Subito trovai lavoro in mensa, dove aveva lavorato la nonna. Poi andai in maternità in autunno. Nonostante la giovane età e la fragilità, partorii un bambino sano.
La nonna faceva le pulizie, con una piccola pensione. Io, quando il piccolo Dario crebbe un po, lo misi allasilo e tornai a lavorare in mensa. Dovevamo vivere di qualcosa. “Madre single.” Così mi chiamavano alle spalle, in strada, nel palazzo. Ma al lavoro mi volevano bene per il mio carattere gentile, la bontà, la laboriosità e la modestia.
Presto feci un corso e diventai cuoca. Cucinavo bene, ero attenta alla pulizia, e ogni anno miglioravo.
La nonna intanto non lavorava più. Badava al pronipote ed era felice dei miei successi.
Non solo i colleghi mi volevano bene. I clienti fissi lodavano i piatti nuovi, il menu vario, le torte squisite e le insalate creative. Gli amanti dei dolci chiedevano ricette.
Un giorno arrivò un nuovo ragazzo. Si chiamava Luca, diplomato alla scuola di cucina. Dopo tre mesi lavorando accanto a me, si innamorò e mi chiese di sposarlo. Non risposi subito.
Non gli nascosi che ero una madre single. A Luca quasi piacque che avessi un figlio così bravo. Veniva a prendermi dopo il turno con fiori e giocattoli. Ignorando gli sguardi della gente, mi aspettava alluscita, abbracciava il piccolo Dario, mi baciava, e andavamo a passeggiare nel parco. La nonna, guardando dalla finestra, pregava e li benediva, poi si avvicinava alle icone.
“Giovannina, ora non è più troppo presto,” mi diceva