La Scroccona. Mia suocera mi ha cacciata di casa con mio figlio in braccio. Ma non poteva immaginare…
Dopo ore di pianti, finalmente alle tre di notte Luca si addormentò. Ero seduta sul bordo del letto, immobile, con il braccio intorpidito e la spalla indolenzita, ma non osavo muovermi. Gli stavano spuntando i dentini le gengive rosse, i pugnetti sempre in bocca, e quel pianto che mi spezzava il cuore.
Sembrava non dormisse da una vita. Appena provavo a metterlo nella culla, si svegliava, come se sentisse che volevo scappare. Solo sette mesi, e in questo tempo avevo già vissuto una vita intera. Amore, dolore, ansia, felicità tutto annodato in un groviglio che ormai non si scioglieva più.
Quando il respiro di mio figlio si fece regolare, mi alzai piano. Dalla finestra, nella palazzina di fronte, una luce era ancora accesa qualcuno, nel nostro condominio popolare di nove piani, era sveglio come me. Chissà chi era: un’altra madre esausta? Un anziano insonne? Due innamorati? Un tempo sognavo che io e Riccardo avremmo comprato casa, e avrei guardato dal MIO balcone il MIO cortile. Ma quei sogni si erano dissolti come fumo.
Tre anni alla cassa del supermercato Buon Mercato e tutti i miei risparmi erano svaniti. Prima, lanticipo per il mutuo che non abbiamo mai fatto. Poi, i soldi per la ristrutturazione di questappartamento dove vivevamo con Anna Maria, la madre di Riccardo. «Sarà più accogliente», diceva. Ma più accogliente lo era diventato solo per loro.
Da quando avevo varcato quella porta con una valigia e una stupida speranza di felicità, non mi ero mai sentita a casa.
«Sistemeremo tutto», mi prometteva Riccardo un anno e mezzo fa. «Ci sposeremo in estate», diceva prima che rimanessi incinta. «Aspettiamo ancora un po», sussurrava quando nacque Luca. Annuivo. Credevo. Aspettavo. Ma quel timbro sul passaporto, per qualche ragione, a lui sembrava superfluo.
Anna Maria ogni mattina tintinnava con le chiavi nellingresso, pronta per andare in ufficio come contabile. La chiamavo mentalmente il Carlino piccola, petulante, con il naso sempre allinsù. Con me parlava solo per necessità, come se non fossi la madre di suo nipote, ma laiutante temporanea. Se cucinavo, storceva il naso: «Non sai maneggiare gli ingredienti». Se lavavo: «Sono vestiti costosi». Ma sempre, sempre con quel sorriso velenoso.
«Beatrice, lavi il pavimento?», diceva nel mio unico giorno libero. «Beatrice, ho comprato la ricotta per il mio Luca», aggiungeva, anche se non avevo mai chiesto niente.
La sua stanza era sempre chiusa a chiave. In nostra assenza, frugava i nostri cassetti. Una volta la trovai a rovistare nel mio armadio. «Cercavo un asciugamano», disse senza vergogna.
In cucina, regnava lordine perfetto. I suoi piatti separati, le sue pentole, il suo frustino. Niente in comune. Se Riccardo tardava, cenavo in camera pur di non sedermi a tavola con lei.
Eppure, in qualche modo, sopravvivevamo giorno dopo giorno, mese dopo mese. Prima della nascita di Luca potevo ancora scappare al lavoro, dalle amiche, a fare una passeggiata. Ma ora? Con un bambino in braccio, trenta euro nel portafoglio e quattrocento di assegni familiari sul conto.
Chiusi piano la porta e uscii nel corridoio. Avevo sete, la testa mi ronzava per la stanchezza seconda notte insonne di fila. Ieri Luca si era svegliato alluna e mezza e si era riaddormentato solo alle cinque. E alle dieci del mattino ero già in piedi. Camminavo come uno zombi, gli occhi pieni di sabbia.
In cucina, la luce era accesa. Anna Maria era ancora sveglia. Volevo solo prendere un bicchiere dacqua e andarmene, ma non feci in tempo.
«Ancora alzata?», si girò mia suocera. «Sempre attaccata al telefono, ho visto la luce sotto la porta.»
«Luca non dorme», risposi. «Gli escono i dentini»
Sbuffò. In quel suono cera tutto il dubbio, laccusa che stavo solo evitando le faccende, il «ai miei tempi lavoravo e crescevo i figli».
«Puoi fare meno rumore?», chiesi, sussultando per il fracasso dei piatti. «Luca si è appena addormentato.»
Qualcosa le lampe le attraversò gli occhi. Si girò verso il lavandino, si irrigidì, e poi
Poi si voltò verso di me. La faccia contratta, lo sguardo stretto. Appoggiò la tazza sul tavolo con un tonfo.
«Meno rumore?», ripeté Anna Maria. «Io, a casa mia, devo camminare in punta di piedi?»
Mi appoggiai allo stipite. Sette mesi senza dormire. Sette mesi in quei dieci metri quadri, dove ogni passo era come camminare su un campo minato.
«Ho solo chiesto di non sbattere le stoviglie», dissi piano.
«O forse sei tu che non sai far addormentare i bambini?», incrociò le braccia. «Io ne ho cresciuti due. Nessun problema coi dentini. Dormivano come angioletti.»
Serrai i denti. Nella stanza accanto dormiva mio figlio, mentre lì, in quella cucina minuscola, si preparava la tempesta. Qualsiasi cosa avessi detto, sarebbe stato sbagliato. Se avessi taciuto, avrebbe pensato che fossi una madre incapace. Se avessi replicato, sarebbe scoppiato un casino.
«Volevo solo un po dacqua», borbottai, facendo un passo verso il lavandino.
«Certo», non si mosse. «A te serve sempre qualcosa. O riposarti, o stare al telefono. Ma lavorare, quello no, eh?»
Mi bloccai. Lavorare? Con un bambino di sette mesi che non dorme la notte?
«Tornerò a lavorare quando Luca avrà un anno e mezzo», dissi ferma. «Come abbiamo deciso.»
«Abbiamo deciso», replicò lei. «Mio figlio è forse di ferro? Lui porta avanti la famiglia. Tu spendi solo soldi. Quelle tende quanto sono costate? E il passeggino, di marca?»
La fissai, incredula. Le tende a venti euro? Il passeggino comprato usato a cinquanta?
«A proposito di soldi», i suoi occhi brillarono. «Hai mai pagato un affitto? Le bollette? Sei solo una scroccona. Nessuno ti ha chiamata. Riccardo viveva tranquillo, prima di te»
Qualcosa dentro di me si spezzò. Ero immobile, incapace di reagire. Avrei voluto urlare: «E chi ha pagato la ristrutturazione della vostra camera? Chi vi ha comprato il frigorifero? Dove sono finiti i miei risparmi?»
Ma tacqui. Abituata a ingoiare le offese. Per Luca. Per Riccardo. Per quella stupida pace finta.
«Pensi che non veda come guardi le mie cose?», la voce di Anna Maria tremava. «Credi di portarti via mio nipote e farmi fuori?»
Rimasi di pietra. Di quali cose parlava? Del servizio di piatti mezzo scrostato che custodiva come oro? Delle pentole vecchie che non potevo usare? Io e Riccardo non avevamo niente solo debiti