Quel giorno non ebbi il tempo di riflettere troppo. La decisione arrivò allimprovviso, ma non nacque dalla rabbiaera il risultato di anni di dolore, delusione e stanchezza accumulati. Cacciai mia suocera di casa, e oggi, nel raccontarlo, non provo rimpianti.
**La suocera espulsa**
Mi chiamo Chiara. Ho trentasei anni. Con mio marito Luca avevamo costruito la nostra piccola famiglia: tre figliBeatrice, lunica femmina, e i gemelli Matteo e Lorenzo. La nostra vita era piena di difficoltà, ma anche di amore e complicità. Eravamo felici, finché un giorno tutto cambiò.
Luca ebbe un incidente dauto e morì allistante. Ricordo ancora quella telefonata: la voce fredda di un impiegato dellospedale che mi diceva di correre. Quando arrivai, era già troppo tardi. In quel momento, il mondo mi crollò addosso. Ero sola con tre bambini, senza quel pilastro che era stato mio marito.
In quei giorni, ebbi pietà di mia suocera, Rosaria. Era anziana, e restare sola lavrebbe spezzata. Rosaria aveva un carattere difficile: severa, sempre critica, a volte insopportabile. Ma mi dissi: *”È la madre di Luca. Per rispetto alla sua memoria, devo occuparmi di lei, per quanto sia dura.”* Così le proposi di vivere con noi. Anche se aveva una figlia sposata, Gabriella, che abitava a Bologna, nessuno si era offerto di ospitarla.
La convivenza non fu semplice. Lavoravo, e tutto il peso della casa ricadeva su di me: i bambini, le faccende, le finanzetutto. I soldi che guadagnavo con fatica li mettevo in un cassettino della libreria. Sognavo di risparmiare poco a poco per il futuro dei miei figli.
Ma qualcosa non tornava. Ogni volta che controllavo, mancavano soldi. Allinizio pensai di aver sbagliato i conti. Poi che avessi speso senza rendermene conto. Ma per mesi continuò così. Più mettevo, più spariva. Stavo per impazzire. Per sei mesi non capii chi fosse il colpevole.
Finché tutto si rivelò quel maledetto giorno. Dovevo andare a lavoro, ma mi sentii male e decisi di restare a casa. Volevo riposarmi un po e uscire più tardi. A un tratto sentii la voce di Rosaria al telefono. Non volevo origliare, ma il suo tono alto mi costrinse a fermarmi.
Parlava con un uomo.
*”Sì, lho già mandato. I soldi devono arrivare in fretta. Dallì a Gabriella. Dice che vuole comprare dei mobili nuovi”*
Il mio cuore sembrò fermarsi. Capii tutto allistante. I soldi che avevo sudato, quelli destinati ai miei figli, li mandava di nascosto a Gabriella. Sparivano per arredare la casa di unaltra.
Mi sedetti e piansi. Ma quelle non erano lacrime di doloreerano lacrime di forza. Capii: *basta così.* Per anni ero stata paziente, comprensiva, ripetendomi: *”Anche lei è una madre, anche lei soffre.”* Ma quel giorno realizzai: non potevo permetterle di rubare il futuro dei miei bambini.
Quando uscì dalla stanza, le sbarr