“Sei una VECCHIA, nostro figlio ha bisogno di una madre giovane, non di una NONNA! Me ne vado e MI PORTO VIA IL BAMBINO!” sibilò il marito.
Quella sera, Rita non avrebbe mai potuto immaginare quello che stava per succedere, nemmeno in un incubo. Suo marito, Simone, le stava davanti con unespressione glaciale, e le sue parole, sibilate nel silenzio dellappartamento, caddero come un fulmine a ciel sereno. Tra le braccia stringeva il loro piccolo, Matteo, un batuffolo caldo e fragile, il cui respiro era la sua luce nelloscurità. Il cuore le si strinse quando sentì il corpicino del bambino irrigidirsi, come se, pur non sapendo ancora parlare, capisse che qualcosa di terribile stava accadendo.
Matteo non era solo un bambino. Era un miracolo. Un miracolo per cui Rita aveva pregato per anni. A trentasette anni, si era quasi rassegnata allidea che la maternità fosse una felicità che le era sfuggita. Anni di tentativi, speranze, delusioni, e infine quel test di gravidanza positivo. I medici dicevano che letà non giocava a suo favore, ma lei non si era arresa. E quando Simone aveva scoperto della gravidanza, i suoi occhi avevano brillato come il giorno del loro matrimonio. Laveva sommersa damore, di attenzioni, di lussi. Diceva che finalmente la loro famiglia sarebbe stata completa, come nei vecchi film. Le organizzava passeggiate serali, comprava solo prodotti bio, assumeva i migliori medici, la portava a fare unecografia ogni due settimane, registrava ogni calcetto del piccolo. Era felice. O almeno, così sembrava.
Il parto fu difficile, ma andò tutto bene. Il giorno delle dimissioni dallospedale, Simone venne a prenderli, ma il suo comportamento la insospettì. Era distaccato, quasi freddo. Niente lacrime, niente abbracci, solo un secco “Andiamo”. Rita lo attribuì alla stanchezza, allo stress. Ma nel profondo, un campanello dallarme cominciò a suonare. Tuttavia, col tempo, tutto sembrò tornare alla normalità. Passava ore accanto alla culla, imparava a tenere in braccio il piccolo, aiutava Rita con le poppate notturne. Lei si tranquillizzò. Si convinse che andasse tutto bene. Che fosse solo un periodo di assestamento.
Passarono nove mesi. Matteo cresceva, robusto e sorridente, balbettando le prime parole. Rita aveva iniziato lo svezzamento, ma continuava ad allattarlocosì consigliava il pediatra, ed era comodo per entrambi. Ma una sera, tornando dal lavoro, Simone sbottò: “Basta. È ora di svezzarlo. È un maschio! Mica una femminuccia che a un anno e nove mesi si attacca ancora al seno come un neonato! Non è normale!”
Rita trasalì. Non lo sentiva usare quel tono da anni. Ma quello era solo linizio.
Giorno dopo giorno, diventava più freddo. Lo sguardo distante, le conversazioni brevi. Niente più regali. Men che meno fiori. Persino un semplice “grazie” per la cena era diventato raro. E poi, come un fulmine, arrivò il colpo.
“Sei vecchia,” disse, togliendosi la giacca senza guardarla. “Rassegnati. Matteo ha bisogno di una madre giovane, vitale, piena di energia. Non di una che sembra sua nonna. Me ne vado. E mi porto via nostro figlio. Ho già unaltra donna. Lei sarà la sua vera madre. Tu tu hai fatto il tuo dovere: lhai portato in grembo, lhai partorito. Perciò lappartamento te lo lascio. Divorzieremo senza scandali. Non voglio umiliarti. Ma vivere con te un altro giorno? Mai.”
Rita rimase paralizzata. Il cuore le batteva allimpazzata. Non poteva credere che stesse succedendo davvero. Stava scherzando? Ma nonei suoi occhi non cera traccia di ironia. Solo ghiaccio. Solo disprezzo.
“Simo stai bene?” sussurrò, trattenendo a stento il tremore nella voce. “È uno scherzo? Non è il primo aprile. Ti rendi conto di quello che dici?”
“Non scherzo,” rispose gelido. “Sto con lei da tempo. È più bella, più intelligente, più giovane. E, soprattutto, vuole essere madre. E tu? Tu non sai nemmeno più lavorare. Quandè lultima volta che sei uscita senza Matteo? Quandè lultima volta che hai pensato a te stessa?”
Le parole le trafiggevano il cuore come coltelli. Sì, non lavorava da tempo. Sì, si era dedicata alla famiglia. Ma era forse un crimine? Era una ragione per tradirla?
“Non ti darò mio figlio,” riuscì a dire, sentendo la terra mancarle sotto i piedi.
“Non è in discussione,” tagliò corto lui. “Se non accetti di buon grado, ti butto fuori di casa. Dove andresti? Da tua sorella, che fa fatica a sfamare i suoi figli? Da tua madre, che campa a malapena? Io posso dare a Matteo tutto: le migliori scuole, attività, viaggi, sicurezza. E tu? Non potresti nemmeno assicurargli un domani.”
Parlava con la sicurezza di chi sa di avere potere. E aveva ragione. Simone lavorava in tribunale. Aveva conoscenze. Sapeva come funzionava il sistema. E non aveva paura di usarlo.
Quella notte, Rita non chiuse occhio. Rimase accanto alla culla di Matteo, accarezzandogli i capelli, sussurrandogli dolcezze, terrorizzata allidea di svegliarsi in una casa vuota. Ma Simone, per ora, non se nera andato. Compariva sempre più raramente, ma restava. Una flebile speranza resisteva.
Finché un giorno bussarono alla porta. Sulla soglia, due poliziotti.
“Sei arrestata per abuso di alcol, maltrattamenti e inadempienza genitoriale,” annunciò uno di loro, asciutto.
Rita li fissò, sconvolta. Era una farsa. Non beveva. Adorava suo figlio. Ma dietro i poliziotti cera Simone, il volto impassibile. Non la guardò. Si limitò a un cenno del capo.
“Il bambino resta con me,” disse. “Gli garantirò sicurezza.”
La portarono via. Tre giorni in commissariato. Senza avvocato. Senza spiegazioni. Senza contatti col mondo esterno. E quando finalmente la rilasciarono, lappartamento era vuoto. Solo polvere sugli scaffali e un silenzio che rimbombava di tradimento.
Simone tornò quella sera. Sedette di fronte a lei, con uno sguardo di fredda superiorità.
“Ti ho mostrato chi comanda qui,” disse. “Se provi a fare qualcosa, ti faccio marcire in galera.”
“Sei un mostro,” sussurrò Rita, sentendosi gelare dentro. “Credi davvero che unaltra donna possa amare Matteo come una madre? Lei non conosce il suo odore, non ha sentito il suo primo vagito, non lha tenuto tra le braccia appena nato. Non potrà mai”
“Lei lo ama già,” la interruppe. “Lo chiama suo figlio. Piange quando lui piange. E tu sei solo una vecchia che ha finito il suo tempo.”
Se ne andò, sbattendo la porta. Rita scivolò a terra, avvolse le braccia attorno alle gambe e pianse. Ma le lacrime si esaurirono presto. Restò solo il vuoto. E un pensiero: Devo lottare. Per lui. Per mio figlio.
Chiamò la sorella. Le raccontò tutto. La sorella passò il telefono al marito, un uomo delle forze dellordine.
“Rita mi dispia