Negli anni Settanta, sposai una donna con tre figli quando nessuno le aveva dato una mano.
Domenico, ma sei serio? Ti sposi una commessa con tre bambini? Hai perso la testa? mi disse ridendo Vittorio, il mio compagno di stanza nella casa popolare.
E che cè di strano? risposi, senza staccare gli occhi dallorologio che stavo smontando con un coltellino.
In quegli anni, il nostro paesino viveva tranquillo, senza fretta. Io, un trentenne single, passavo le giornate tra la fabbrica e il letto della mia stanza. Dopo listituto tecnico, la mia vita era sempre la stessa: lavoro, partite a carte, la televisione e qualche raro incontro con gli amici.
A volte guardavo dalla finestra e vedevo i bambini giocare in cortile. Mi tornavano in mente i sogni di una famiglia, ma li scacciavo subito. Che famiglia potevo mai avere in una casa popolare?
Tutto cambiò una sera piovosa di ottobre. Entrai in un negozio a comprare il pane. Ci andavo sempre, ma quella volta, dietro il bancone, cera lei Rosalia. Prima non lavevo mai notata, ma quel giorno il mio sguardo si fermò su di lei. Aveva occhi stanchi ma caldi, con una luce nascosta dentro.
Bianco o integrale? chiese con un sorriso appena accennato.
Bianco borbottai, confuso come un ragazzino.
Appena sfornato, è fresco lo avvolse rapidamente e me lo passò.
Quando le nostre dita si sfiorarono, sentii una scossa. Cercai le monetine nelle tasche, intanto osservandola di nascosto. Semplice, con un grembiule, sui trentanni. Stanca, ma con una forza dentro.
Qualche giorno dopo, la vidi alla fermata dellautobus. Rosalia lottava con le borse della spesa, mentre tre bambini le giravano attorno. Il più grande, Vittorio, quattordicenne, stringeva con forza un sacco pesante. La bambina teneva per mano il più piccolo.
Lasci che laiuti dissi, prendendo le borse.
Non cè bisogno, grazie cominciò lei, ma io avevo già caricato tutto sullautobus.
Mamma, chi è? chiese il piccolo.
Zitto, Sole lo sgridò la sorella.
Scoprimmo che abitavano vicino alla fabbrica, in un vecchio bilocale. Il più grande era Vittorio, la bambina si chiama Bianca, e il piccolo era Sole. Rosalia era vedova da qualche anno e tirava avanti da sola con i figli.
Si campa, non ci lamentiamo disse con un sorriso stanco.
Quella notte non riuscivo dormire. Pensavo ai suoi occhi, alla voce di Sole, e dentro di me si svegliava qualcosa di dimenticato come se qualcosa di importante mi aspettasse.
Da allora, cominciai a passare più spesso dal negozio. Compravo latte, biscotti, o entravo senza motivo. I colleghi in fabbrica ridevano.
Domenico, ma che fai? Tre volte al giorno dal salumiere questa è amore scherzava Pietro, il mio capo.
Le cose fresche sono meglio rispondevo voltandomi.
Ora siamo seduti io e Rosalia nel nostro nuovo appartamento, ascoltando le risate dei bambini e sapendo che questa famiglia è il regalo più grande che la vita mi abbia fatto.