Non mangerò mai questa schifezza, disse la suocera guardando il piatto con disprezzo

“Non mangerò questa robaccia,” disse la suocera, fissando il piatto con disgusto. “Non toccherò nemmeno un boccone,” aggiunse, arricciando il naso davanti alla minestra di verdure come se fosse un secchio di immondizia.

“Che cosè?” chiese Eleonora, strizzando gli occhi con aria sospettosa.

“Minestra di verdure,” spiegò sorridendo la nuora, Silvia, sollevando il coperchio di una zuppiera di ceramica e versando un brodo caldo e profumato. “Cucinare con gli ortaggi del nostro orto è una vera gioia.”

“Non vedo differenza,” commentò la suocera con sprezzanza. “Anche se coltivare un orto richiede molta fatica!”

“Certamente,” rise Silvia, serena. “Ma quando è una passione, la fatica svanisce.”

“Tu parli della tua passione, non di un dovere imposto,” sbuffò Eleonora, stringendo le labbra. “Per chi hai cucinato tutta questa roba?”

“Per noi. Non è molto. Bastano per due pasti.”

“Non mangerò questa pappa,” replicò la suocera, agitando le mani e arretrando. “È un miscuglio indecifrabile!” Eleonora simulò un conato, coprendosi la bocca e distogliendo lo sguardo dal tavolo.

Silvia alzò gli occhi al cielo e sospirò.

Aveva conosciuto Marco, il figlio di Eleonora, un anno e mezzo prima. Il loro amore era stato così travolgente che si erano sposati un mese dopo, senza una cerimonia sfarzosa. Con i soldi risparmiati, avevano realizzato il loro sogno: una casa in campagna, che adornavano con amore, poco a poco.

In tutto quel tempo, Silvia aveva visto Eleonora soltanto quattro volte. Altrettante volte suo figlio. E in tre di quelle occasioni, era stata lei a convincerlo a far visita alla madre per le feste.

Eleonora aveva sempre considerato quel matrimonio una follia. Ma suo figlio era ormai adulto e indipendente, e lei non poteva far altro che attendere ciò che vedeva come un epilogo inevitabile.

Ma quellepilogo tardava, e la cosa cominciava a irritarla.

Eleonora non capiva cosa Marco avesse trovato in quella “ragazza così ordinaria” e si domandava come Silvia avesse potuto ammaliarlo. Era un giovane attraente, sempre circondato da donne più eleganti e raffinate.

Inoltre, Eleonora era una cittadina convinta, e aveva cresciuto il figlio nello stesso modo. Il suo istinto materno le diceva che Marco si fosse già stancato di quella vita campagnola, e che bastava una piccola spinta per riportare tutto comera prima. Dopo unesperienza così amara, era certa che avrebbe finalmente trovato una compagna più adatta, una che avrebbe stretto un legame vero con lei.

Ma doveva sbrigarsi, prima che quellastuta Silvia intrappolasse suo figlio con un bambino!

Eleonora aveva escogitato un piano: chiamò la nuora per farsi invitare, visto che non era stata inclusa nella festa per la nuova casa.

Silvia le ricordò di averla chiamata due volte, ma Eleonora aveva sempre trovato scuse, dicendosi troppo occupata. La suocera scacciò quelle giustificazioni con un gesto della mano e insistette per far visita a suo figlio.

Due giorni dopo, si ritrovò in un salone ampio e luminoso, incapace di nascondere la sua indignazione.

Suo figlio, proprio come lei e il defunto marito, odiava le minestre! In famiglia, si mangiavano solo piatti riconoscibili a colpo docchio.

Come aveva potuto Marco lasciare che quella donna prendesse il controllo? Doveva essere una strega!

Un brivido di orrore la attraversò. Scartò subito lidea volgare che Silvia lo controllasse con le arti amorose: inconcepibile!

Doveva trattarsi di magia nera. Altrimenti, come spiegare che suo figlio mangiasse quellintruglio?

Eleonora lanciò unocchiata carica dodio a Silvia. Fingeva di essere una santa, mentre lo stava lentamente avvelenando.

“Che cè di indecifrabile?” disse Silvia, ignorando la pantomima della suocera mentre le porgeva unaltra scodella. “È semplice: cavolo, cipolle, carote e barbabietole, seguendo la ricetta di nonna. Manca solo la patata, ma la metterò la prossima volta. E poi, erbe fresche del giardino, con un filo dolio!”

“Mangiatela pure voi, quella brodaglia!” sbottò la suocera, agitando le mani.

“Le fibre fanno bene alla digestione, soprattutto alla sua età. Quando lintestino è felice, lo è anche chi lo possiede!”

Eleonora arrossì per laudacia della nuora, ma non replicò.

“E perché costringi Marco a mangiarla?”

Silvia batté le palpebre, confusa. “Mi pare che gli piaccia.”

“Un uomo che farebbe se non avesse alternativa?”

“Cucinarsi altro? Ordinare da asporto? Andare dalla vicina? O dalla mamma?” enumerò Silvia con un sorriso.

Allultima battuta, Eleonora arrossì ancora. “Non fare la sarcastica! Almeno potresti chiedermi cosa gli piace, per educazione.”

“Eleonora, glielho chiesto direttamente. È grande, sa rispondere da solo. Dice che gli piace tutto.”

“Ti sta mentendo! Non lo capisci? Allinizio non voleva rattristarti. Ora si forza!”

“Ah!” Silvia fece una smorfia e sospirò. “La minestra è pronta, non la butteremo. Se non altro, dovrà sforzarsi. E lei lo sosterrà, vero?”

“Cosa?!” la suocera spalancò gli occhi.

“No? Peccato. Sono certa che vostro figlio apprezzerebbe il vostro sostegno.”

“Tu”

“Silvia! Siamo tornati!” risuonò nel corridoio la voce allegra di Marco.

Un batuffolo bianco e lanoso entrò di corsa nel salone, abbaiando.

“Aaaah!” Eleonora urlò di paura, nascondendosi dietro Silvia.

“Non tema, è Luna. Non morde. E ha buona educazione,” la rassicurò Silvia, alzando una mano. La cagnolina si calmò e si sedette docilmente. “Brava, piccola.”

“Perché lasciate entrare i cani dei vicini?” sussurrò Eleonora, sconvolta.

“Perché dei vicini? È nostra. E sta in casa perché è di famiglia.”

“In casa?! Ma è insalubre!” esclamò la suocera. “E Marco odia i cani!”

“No, mamma, sei tu che li odi. Ciao.” Marco entrò nel salone. “Che fortuna, sei qui proprio per pranzo.”

“Ciao, figlio mio!” Eleonora rimase immobile, aspettandosi un bacio sulla guancia. Ma Marco si limitò a un abbraccio frettoloso, mentre a Silvia riservò un bacio appassionato sulle labbra.

“Allora, pranziamo?” annusò laria con un sorrido beato.

“Con piacere, Marco, ma non cè nulla.”

“Come nulla?”

“Hai fatto cucinare cibo per i maiali. A proposito, non mi avevi detto che ne avevate. Che puzza, peggio che in città con il traffico!”

Marco guardò sua madre perplesso, poi Silvia, e infine la tavola apparecchiata.

I muscoli del collo si tesero, e il suo sguardo si fece duro.

“Onestamente, avevo dimenticato queste tue manie,” disse con un sorriso amaro.

“Quali manie? Sono i nostri gusti, i nostriEleonora, scacciata dal paradiso che suo figlio aveva creato, si ritrovò sola nel taxi, giurando a se stessa di trovare il modo di spezzare quellincantesimo e riportare Marco alla ragione.

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Non mangerò mai questa schifezza, disse la suocera guardando il piatto con disprezzo