Silenzio e Sconfitta
Maria De Luca sistemò con cura i piatti sulla tavola, aggiustò i tovaglioli e controllò l’orologio per l’ennesima volta. Suo marito sarebbe tornato dal lavoro tra mezz’ora, era il momento giusto per mettere le polpette in padella. Le patate erano già pronte, linsalata tagliata, il pane affettato perfettamente. Tutto come doveva essere, tutto come piaceva a lui.
“Mamma, posso andare da Lucia oggi? Ha portato dei nuovi film da Roma,” gridò dalla sua camera la figlia diciottenne, Beatrice.
“No, Beatrice, tuo padre sta per arrivare, dobbiamo cenare tutti insieme,” rispose Maria senza voltarsi. “Dopo ci penseremo.”
“Ma che ridicolo! Ho diciotto anni!” protestò la ragazza, ma non insistette. Sapeva che sua madre non avrebbe cambiato idea.
Maria sorrise tra sé. Diciotto anni erano ancora unetà da bambini. Lei a quelletà era già sposata, mentre Beatrice sembrava ancora una ragazzina. Forse era meglio così, poteva rimanere figlia ancora un po, senza doversi trasformare troppo in fretta in una donna.
La porta si aprì e entrò Giovanni De Luca. Un uomo robusto, con le tempie ormai ingrigite, stanco ma soddisfatto. Il lavoro in cantiere era duro, ma portava buoni guadagni, e quello era ciò che contava.
“Ciao, cara,” baciò la moglie in fretta sulla guancia. “Che buon profumo.”
“Ho fatto le tue polpette preferite, metà maiale e metà vitello,” sorrise Maria. “Siediti, arriva tutto subito.”
“E Beatrice dovè?”
“In camera sua, ora la chiamo. Beatrice! È arrivato tuo padre!”
La ragazza uscì di corsa e abbracciò il padre.
“Papà, posso andare dalla mia amica dopo cena? Hanno dei film interessanti…”
Giovanni aggrottò le sopracciglia.
“Che film? Non è roba straniera, spero? Devi pensare allo studio, tra poco luniversità, è ora di prepararsi.”
“Ma papà, sono film normali…”
“Ho detto di no, e basta!” alzò la voce. “Maria, ma come la stai crescendo? È diventata una ragazza viziata!”
Maria intervenne in fretta:
“Dai, Giovanni, è solo giovane e curiosa. Beatrice, siediti a tavola, ne parleremo dopo.”
La cena trascorse in un silenzio quasi totale. Giovanni parlava del lavoro, di come i capi avessero aumentato le richieste e tagliato i bonus. Maria annuiva, gli serviva altre polpette, gli versava il vino. Beatrice mangiava in silenzio, alzando lo sguardo solo di rado.
“Maria, hai sentito cosa dicono dei Rossi?” chiese improvvisamente Giovanni, finendo lultima polpetta.
“Che cosa dovrebbero dire? Vivono tranquilli.”
“No, non quello. Ho sentito che la signora Rossi ha trovato lavoro in un ufficio. E lui sta a casa con i bambini.”
Maria posò con cautela la tazza sul piattino.
“E che cè di male? Forse per loro è meglio così.”
“Come sarebbe meglio?” si indignò Giovanni. “Luomo deve mantenere la famiglia, non stare a casa a fare la balia! La donna deve stare ai fornelli e con i figli. Non è giusto, non è normale.”
“Ma se lei guadagna di più…”
“Niente ma!” sbatté il pugno sul tavolo. “Nella famiglia ci deve essere ordine! Luomo comanda, la donna aiuta. Punto.”
Maria annuì in silenzio e iniziò a sparecchiare. Non aveva mai saputo discutere con il marito, né lo aveva mai voluto. Perché litigare quando potevi tacere? Forse aveva ragione lui. Lei era sempre stata a casa, eppure la loro vita era tranquilla.
Beatrice guardò prima la madre, poi il padre, e chiese piano:
“Posso andare da Lucia? Solo unoretta.”
“No!” tuonò Giovanni. “Te lho già detto! Vai a studiare o leggi un libro. Basta girare con le amiche!”
La ragazza sospirò e tornò in camera sua. Maria la seguì con lo sguardo, sentendo una stretta al cuore. Poverina, non usciva mai, sempre chiusa in casa. Ma cosa poteva fare, se il padre era contrario?
Qualche giorno dopo, Maria incontrò al mercato la vicina Anna. Era raggiante, piena di orgoglio.
“Maria, hai sentito? Mia figlia Elena è stata ammessa alluniversità a Milano! Figurati, studierà economia, vuole diventare manager!”
“Che bello,” sorrise sinceramente Maria. “E tuo marito cosa ne pensa?”
Anna sospirò.
“Ci siamo litigati. Lui diceva che alle ragazze non serve studiare, tanto poi si sposano. Ma io ho insistito: i tempi sono cambiati, una donna deve avere unistruzione. Abbiamo discusso a lungo, ma alla fine ho vinto io.”
Maria annuì senza dire nulla. A casa, ci pensò a lungo. Anche Beatrice avrebbe presto dovuto scegliere. Giovanni aveva già le idee chiare: perché fare luniversità? Meglio un corso per educatrice, un lavoro tranquillo, e poi sposarsi.
Ma Beatrice sognava di fare la giornalista, voleva iscriversi alluniversità, scrivere, viaggiare. Ne parlava con la madre quando il padre non cera, gli occhi le brillavano. Ma appena lo nominava davanti a Giovanni, lui la zittiva.
“La giornalista non è un lavoro da donna. Devi viaggiare, incontrare gente. Non è adatto.”
E Maria taceva. Non sosteneva la figlia, non contraddiceva il marito. Restava in silenzio, come sempre.
Lestate passò in fretta. Beatrice si iscrisse al corso per educatrici, come voleva il padre. Superò il test facilmente, era sempre stata brava a scuola. Il giorno dellammissione, tornò a casa cupa, delusa.
“Allora, congratulazioni!” esclamò Giovanni. “Ora avremo uneducatrice in famiglia! Una bella scelta.”
“Grazie, papà,” rispose Beatrice a bassa voce, andando in camera sua.
Maria la seguì con lo sguardo, sentendo di nuovo quella stretta al cuore. Ma cosa poteva fare? Litigare con il marito? Rovinare la pace familiare? No, non ne valeva la pena.
Gli studi andavano bene, ma Beatrice non ne traeva gioia. Andava a lezione come fosse un obbligo, a casa non parlava mai di scuola. Maria cercava di sapere di più, ma otteneva solo risposte vaghe.
“Tutto bene, mamma.”
“I professori sono bravi?”
“Sì.”
“Hai fatto amicizia?”
“Qualcuna.”
E basta. Non riusciva a ottenere altro.
Una sera, mentre Giovanni era ancora al lavoro, Beatrice scoppiò in lacrime a tavola. Senza motivo.
“Beatrice, cosa succede?” si spaventò Maria.
“Mamma, ti ricordi Lucia, la mia amica del liceo?”
“Certo, perché?”
“Si è iscritta alluniversità, a giornalismo. Lho incontrata ieri, mi raccontava comè bello, le persone che incontra, tutto quello che impara. E io cosa faccio? Canto canzoncine e gioco con i bambini.”
Maria non seppe cosa rispondere. Le accarezzò i capelli, come quando era piccola.
“Ma no, Beatrice, lavorare con i bambini è nobile. Li stai educando.”
“Mamma, ma io non volevo questo,” sussurrò Beatrice. “Volevo scrivere, volevo conoscere il mondo. E adesso cosa farò? Passerò la mia vita in un asilo?”
“Non dire così. Ti sposerai, avrai figli, sarai felice.”
“E se non voglio sposarmi ancora? Se voglio capire chi sono prima?”
Maria si sentì persa.