Vergogna sull’autobus: Storie imbarazzanti sui mezzi pubblici italiani

**Vergogna sull’autobus**

Mi affrettavo verso la fermata, stringendo al petto la mia piccola borsetta. La pioggia era appena cessata, e lasfalto luccicava ancora sotto il cielo grigio di ottobre. Dentro la borsa avevo venti euro, tutto quello che ero riuscita a mettere da parte per le medicine di mio marito. Renato si lamentava ancora del mal di schiena, e il medico aveva prescritto pastiglie così care che neppure con la pensione riuscivo a comprarne una confezione intera.

Lautobus arrivò con uno stridio dei freni. Salii i gradini e porsi allautista una moneta da due euro.

“Due e cinquanta,” borbottò lui, senza neppure guardarmi.

“Come due e cinquanta? Ieri costava due euro,” dissi confusa.

“Oggi è due e cinquanta. I prezzi sono aumentati,” rispose, tamburellando impaziente sul volante.

Esitai. Due e cinquanta voleva dire che mi sarebbero rimasti ancora meno soldi per le medicine. Forse potevo andare a piedi? Ma la farmacia era a quasi tre chilometri, e a casa Renato mi aspettava, sofferente…

“Signora, può sbrigarsi?” si sentì una voce da metà del pullman. “La fila sta aspettando.”

Il mio viso si arrossò. Cercai nella borsetta e tirai fu unaltra moneta da cinquanta centesimi.

“Grazie,” bofonchiò lautista, senza degnare la moneta di uno sguardo.

Mi feci strada tra i passeggeri. Non cerano posti liberi. Un ragazzo con le cuffie fissava il telefono, accanto a lui una ragazza digitava qualcosa senza alzare gli occhi. Più avanti, una donna cera una giovane madre che cullava un bambino piagnucoloso, esausta.

“Si sieda,” mi disse allimprovviso, accennando al suo posto. “Tanto devo stare in piedi, lui non mi lascia sedere.”

“Ma no, grazie, sto bene in piedi,” risposi scuotendo la testa.

“Su, si accomodi,” insistette. “Si vede che è stanca.”

Mi sedetti con gratitudine. Il bimbo mi fissò con occhi curiosi e poi, improvvisamente, sorrise.

“Che carino,” dissi senza pensarci. “Quanti mesi ha?”

“Otto. Gli stanno spuntando i dentini, per questo è nervoso,” rispose la madre, stanca. “Andiamo dal medico, spero ci dia qualcosa.”

“Anchio vado in farmacia, per le medicine di mio marito. Ha mal di schiena.”

“Capisco. Mia suocera soffre di artrite.”

Lautobus frenò bruscamente alla fermata successiva. Salì una signora anziana con il bastone, lenta e incerta sui gradini. Lautista sbuffò, controllando lo specchietto.

“Dai, nonna, sbrigati. Il tempo è denaro!”

La vecchietta guardò il pullman, smarrita. Tutti i posti erano occupati. Il ragazzo con le cuffie non si era nemmeno accorto di lei, immerso nello schermo.

“Giovanotto,” mi rivolsi a lui, “potresti cedere il posto?”

Lui si tolse una cuffia, infastidito.

“Cosa?”

“La signora anziana ha bisogno di sedersi,” ripetei, indicandola.

“Oh, sì…” Si alzò a malincuore, senza staccare gli occhi dal telefono.

La signora si sedette con un sospiro di sollievo.

“Grazie, cara,” mi disse. “Ci sono ancora persone buone.”

Mi sentii in imbarazzo per quel ringraziamento. Anchio, distratta dalla conversazione, non lavevo notata subito.

Lautobus frenò di colpo a un semaforo. Tutti i passeggeri oscillarono in avanti. Il bambino scoppiò a piangere.

“Attento!” protestò la madre. “Cè un bambino qui!”

“La strada è dissestata, mica posso farci niente,” brontolò lautista. “Se non ti piace, chiama un taxi.”

“Non tutti possono permettersi i taxi,” mormorò la signora anziana. “Devo arrivare allospedale, a piedi non ce la faccio.”

“Lo sappiamo bene cosa significa risparmiare,” concordai. “I prezzi salgono, le pensioni no.”

“Esatto,” annuì la giovane madre. “Io sono a casa con il piccolo, lavora solo mio marito. Contiamo ogni centesimo.”

Nel pullman si creò unatmosfera di complicità. I passeggeri si scambiarono sguardi di intesa. Ognuno capiva che laltro, come lui, aveva difficoltà.

“Una volta cera il bigliettaio sugli autobus,” sospirò la signora anziana. “Tutto più ordinato, con il biglietto e il resto giusto…”

“Altri tempi,” concordai. “E i prezzi non cambiavano ogni giorno.”

“Non solo i prezzi,” intervenne una donna sui quaranta vicino al finestrino. “Cera più rispetto per la gente.”

Il ragazzo con le cuffie alzò lo sguardo, incuriosito.

“Forse,” disse improvvisamente, “siamo noi che siamo diventati indifferenti. Tutti col telefono, senza guardarci attorno.”

Lo guardai stupita. Non me laspettavo da lui.

“Hai ragione,” approvò la signora anziana. “Mio nipote è uguale, sempre al computer. Non ha mai tempo per me.”

“Nonna, raccontaci qualcosa di interessante,” propose il ragazzo, mettendo via il telefono. “Dei vecchi tempi.”

La vecchietta si animò.

“Cosa vuole che le dica… Ma va bene, le racconto come ho conosciuto mio marito. Anche quello successe su un autobus.”

“Racconti!” dissero in coro alcuni.

“Era il 57. Lui era in divisa, così bello. Lautobus frenò allimprovviso, io inciampai, e lui mi afferrò. E così ci conoscemmo.”

“Che romantico,” sorrise la giovane madre, cullando il bambino.

“Romantico,” concordò la nonna. “Siamo stati insieme sessantanni, fino alla sua morte.”

Nel pullman scese il silenzio. Ognuno pensava ai propri cari.

“Io e mio marito ci siamo conosciuti in fila per il pane,” raccontai. “Lui era davanti a me, si voltava, mi sorrideva. Poi mi propose di accompagnarmi a casa.”

“È bello avere qualcuno con cui condividere la vita,” mormorò la donna al finestrino. “Io sono rimasta sola, i miei figli vivono lontano.”

“Non si preoccupi,” disse la giovane madre, cambiando braccio al bambino. “I figli crescono, ma poi tornano. Mia mamma si lamentava che non la vedevo mai, ora le porto spesso il nipotino.”

“I nipoti sono una gioia,” dissi io. “Mia figlia vive in unaltra città, ma la mia nipotina viene destate. È così curiosa, mi chiede sempre comera la scuola ai miei tempi.”

Lautobus si avvicinava al centro. Dovevo scendere presto. Mi alzai e mi avvicinai alla giovane madre.

“Grazie per il posto. Tieni,” le porsi un euro. “Per un gelato al bambino, quando gli passano i dentini.”

“Ma no, non serve,” fece per rifiutare.

“Prendilo, mi fa piacere. È un bambino dolce.”

Lei prese i soldi, commossa.

“Grazie di cuore. Dio la benedica.”

“Scendo alla prossima,” dissi allautista.

“Arriviamo,” borbottò.

“Dovè la farmacia qui vicino?” chiesi ai passeggeri.

“Gira a

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