**Diario di un Nonno**
Ci sono giorni in cui non sai se ridere o piangere. Ieri ho vissuto un episodio che mi ha lasciato le mani ancora tremanti. Volevo preparare una crostata era da tempo che non coccolavo la famiglia con un dolce fatto in casa. Il tempo era mite, ero di buon umore, e la mia nipotina, Sofia, giocava nella stanza accanto. Avevo tutto pronto, mancavano solo le uova. Apro il frigo e niente. Sparite. Le avevo messe da parte proprio per evitare che qualcuno le prendesse, eppure, ore dopo, erano volate.
Chiedo alla mia nuora, Chiara, se per caso le avesse spostate. E allora è scoppiato il finimondo. Cosa? Negare le uova a tua nipote? Ha mangiato una frittata stamattina! Sono rimasto di sasso, il cuore stretto dalla tristezza. Le ho risposto: Sei davvero stupida Sì, mi è scappato. Parola forte, ma come reagire quando ti accusano di essere tirchio per due uova che hai comprato tu?
E la sua replica: Comprerò un altro frigo, così ognuno mangerà ciò che è suo! Figuriamoci: sotto lo stesso tetto, nello stesso appartamento, con frigoriferi separati? Non è più una famiglia, è una convivenza forzata. E tutto per cosa? Perché ho osato chiedere dove fossero finite due uova.
Non sono più giovane. Vivo con la mia pensione, contando ogni euro. Questo bilocale a Roma è tutto ciò che ho, ottenuto dopo anni di sacrifici. Mio figlio, Matteo, lavora dalla mattina alla sera per tirare avanti la famiglia. Laffitto è caro, un mutuo impossibile, quindi viviamo in quattro qui: io, Matteo, Chiara e la piccola Sofia. Cerco di non intralciare, anzi, mi piace avere un po di compagnia.
Ma convivere non significa solo condividere cucina e bagno. Vuol dire rispetto. Capire che una persona anziana ha le sue abitudini, i suoi bisogni, e, Dio mi perdoni, il diritto di fare una crostata. E invece, una lite per due uova. Non è la prima volta: una padella spostata, una pentola presa senza chiedere, ingredienti scomparsi. Ho sempre taciuto, sopportato. Ma stavolta no. Perché non è questione di uova, di frigoriferi o di dolci.
È questione di considerazione. Del dolore di una vita passata a badare agli altri, a dare, nutrire, crescere, e sentirsi chiamare tirchio. Io li ho accolti, senza mai dire di no. Abbiamo condiviso tutto, eppure ora mi suggeriscono di vivere e mangiare separato.
So che siamo di generazioni diverse. Hanno le loro idee, io le mie. Ma una famiglia non è fatta di frigoriferi. Né di chi ha mangiato cosa. È fatta di rispetto, attenzione e gratitudine. Non chiedo inchini, ma sentirsi dare dellavaro fa male. Molto male.
Ora ho deciso: non mi impiccerò più. Se finiscono tutto, pazienza. Se non resta nulla, mangerò un piatto di pasta. Mangiare insieme? Mangino pure da soli. Ma sappiano una cosa: non per orgoglio o taccagneria. È stata una loro scelta. E io non dimenticherò.
La vita insegna che il rispetto si perde più in fretta di quanto si conquisti, ma una famiglia non si divide per due uova né per nientaltro.




