Vadim notò un senzatetto e riconobbe in lui il chirurgo che lo aveva salvato 10 anni prima. Quello che accadde dopo…

Lorenzo fissò il senzatetto e riconobbe in lui il chirurgo che lo aveva salvato dieci anni prima. Quel che accadde dopo…

Una grigia mattina dinverno avvolgeva la città in un velo di nebbia, come se la natura stessa trattenesse il respiro in attesa di un miracolo. Il cielo, carico di nuvole plumbe, incombeva basso sulle strade, e laria gelida scricchiolava sotto i passi dei passanti. In quel giorno, apparentemente ordinario, stava per accadere qualcosa che avrebbe cambiato per sempre il destino di molte persone.

«Fermiamoci in chiesa», propose sottovoce Beatrice, rivolgendo al marito un sorriso caldo in cui si leggevano speranza e gratitudine.

Lorenzo la guardò con tenerezza, sentendo il cuore stringersi damore per quella donna. Erano insieme da nove anninove anni di lotte, lacrime, speranze e delusioni. Nove anni in cui avevano sognato un bambino: piccoli piedini che corressero per casa, risate infantili, prime parole e manine che si tendessero verso di loro. Ma nonostante tutti gli sforzimedici, esami, trattamenti e persino il sostegno psicologicoil loro sogno era rimasto irraggiungibile.

Beatrice soffriva terribilmente. Ogni mese, quando arrivava lennesima delusione, si chiudeva in sé, si rifugiava in bagno e piangeva in silenzio, stringendo tra le mani un vecchio sonaglio comprato con tanta speranza. «Che donna sono, se non posso dare la vita?» sussurrava, fissandosi allo specchio. «A cosa servo, allora? Perché sono venuta al mondo, se non posso donare unanima?»

Lorenzo le aveva più volte proposto di adottare. Le parlava degli orfanotrofi, dei bambini bisognosi damore. Ma Beatrice rispondeva sempre la stessa cosa: «Non è la stessa cosa. Non è il nostro sangue. Voglio sentirlo crescere dentro di me, sentire il suo cuore battere accanto al mio». Lui la capiva, non la giudicava, si limitava a stringerla più forte, cercando di alleviare il suo dolore.

Poi, un giorno, lesse di un miracolouna donna che, dopo una preghiera in chiesa, era rimasta incinta. Per la prima volta dopo tanto tempo, Beatrice sentì un raggio di speranza e decise di provarci. Cominciò a frequentare una piccola chiesa alla periferia della città, ad accendere candele, a pregare davanti allicona della Madonna. Allinizio andava con trepidazione, con gli occhi pieni di speranza; poi, con una strana pace nellanima. E un mese dopo lultima preghiera, il medico, sorridendo, le disse: «Congratulazioni, è incinta».

Fu come un fulmine a ciel sereno. La felicità li travolse. Beatrice pianse, rise, abbracciò il marito, incredula. Lorenzo restò accanto a lei, sentendo le lacrime scendergli lungo le guance, e sussurrò: «Grazie… grazie, Signore».

La bambina nacque sana, con occhi luminosi e un grido squillante. La chiamarono Sofia. Passò un anno, ma Beatrice continuava ad andare in chiesanon più per chiedere, ma per ringraziare. Ogni mese accendeva una candela, pregava per la figlia, per il marito, per chiunque soffrisse.

«Va bene, fermiamoci, amore», rispose dolcemente Lorenzo, accendendo la freccia.

Si fermarono davanti a una chiesa antica, con cupole ricoperte di brina. Beatrice si avvolse una sciarpa sottile intorno alla testanon per moda, ma per rispetto. Il suo elegante cappotto, regalato dal marito a Natale, frusciava a ogni movimento. Scese dalla macchina, mentre Lorenzo rimase seduto. Credeva in Dio, ma pensava che la chiesa fosse una chiamata interiore, non un obbligo. Quel giorno, la sua anima era tranquilla, e decise di aspettare.

Attraverso il finestrino, osservava la gente. Uscì una donna in nerovestito scuro, sciarpa scura, la testa china. Gli occhi le brillavano di lacrime. Si segnò, si asciugò il viso e si allontanò lentamente. Lorenzo capìaveva pregato per un defunto. Poi uscì una giovane coppia con un neonato tra le braccia. Sorridevano, sussurravano, ringraziavano. Forse erano venuti con la stessa speranza che un tempo aveva portato Beatrice.

Pochi minuti dopo, Lorenzo scese e respirò laria gelida. Improvvisamente, notò una panchina vicino al recinto della chiesa. Accanto, a terra, sedeva un uomoun senzatetto. Un cappotto lungo e sporco, un tempo caldo, ora rattoppato. Ai piedi, scarpe da ginnastica logore, perse nel fango e nel sale. Il viso incorniciato da una barba incolta, in testa un berretto di lana sfilacciato. Accanto, un carrello con stracci e quella che sembrava una coperta. In mano, un bicchiere di plastica per lelemosina.

Stava lì, in silenzio, senza mendicare, senza importunare. Semplicemente esisteva. Molti passavano oltre senza vederlo. Qualcuno lasciava qualche spicciolo, senza neppure guardare. Solo una donna si fermò, mise una banconota nel bicchiere e se ne andò. Il senzatetto sorrise appena, ma in quel sorriso non cera gioiasolo stanchezza e gratitudine.

Lorenzo si bloccò. Una volta, come molti, pensava che gente così se lera cercata. Se finisci per strada, è perché non hai combattuto abbastanza. Ma dopo la nascita di Sofia, qualcosa in lui era cambiato. Aveva cominciato a vedere le persone diversamente. A notare il dolore, la disperazione, la solitudine. E ora, guardando quelluomo, sentì unemozione strana.

A colpirlo furono soprattutto le mani. Lunghe, sottili, con dita precisedita da musicista, da artista… o da chirurgo. Lorenzo rifletté. Come poteva una persona con quelle mani finire così?

Senza pensarci, aprì il portafoglio, prese una banconota da cinquanta euro e si avvicinò. Lasciò cadere i soldi nel bicchiere.

Il senzatetto trasalì, come se si aspettasse un colpo. Ma sentendo il fruscio della banconota, alzò gli occhi. E allora Lorenzo udì la sua voceprofonda, calda, con una sfumatura di stanchezza colta.

«Sei molto generoso», disse. «Non mi hanno mai dato così tanto. Ti ringrazio. Non credere che li spenderò in alcol. Non bevo. Ora potrò mangiare per una settimana. Cè un negozio qui vicino… la commessa è gentile. Mi lascia comprare tè caldo, panini… forse basterà per più di una settimana. Che Dio ti benedica.»

Lorenzo si irrigidì. Quella voce… laveva già sentita. Tantissimo tempo fa… Dieci anni?

«Da quanto vive per strada?» chiese allimprovviso.
Luomo lo guardò sorpreso. La gente raramente gli parlava.
«Tre anni. Prima ho dormito in una cantina per due anni, finché non mi hanno cacciato. Ora dormo dove capita. A volte penso che sarebbe meglio morire.»

Il cuore di Lorenzo si strinse. Non distoglieva lo sguardo.
«Come è finito qui? Cosa è successo?»
Il senzatetto sorrise tristemente.
«Perché vuole saperlo? Ero un chirurgo. Avevo una famiglia, un lavoro, il rispetto di tutti. Ma un giorno ci fu un incidente. La colpa era mia. Nellincidente morirono mia moglie e

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Vadim notò un senzatetto e riconobbe in lui il chirurgo che lo aveva salvato 10 anni prima. Quello che accadde dopo…