Mi ha detto che non ero ‘adatto a fare il padre’ — ma io ho cresciuto questi figli fin dai primi giorni

Oggi mi sono fermato a rileggere il mio diario e ho trovato questa pagina ingiallita. Era il giorno in cui tutto cambiò.
Mia sorella Ginevra stava per partorire, ma io ero lontano, a un raduno motociclistico in Umbria. Mi aveva supplicato di non annullare il viaggio, dicendomi che cera ancora tempo.
Non cera tempo.
Nacquero tre bellissimi bambini, e lei non sopravvisse.
Ricordo ancora quei piccoli corpicini agitati che tenevo in braccio nel reparto di neonatologia. Addosso avevo ancora lodore della benzina e della mia giacca di pelle. Non avevo un piano, non sapevo cosa fare. Ma guardai quei voltiAlessia, Viola e Matteoe capii: non li avrei mai lasciati.
Sostituii le notti in viaggio con le poppate notturne. I ragazzi dellofficina mi coprivano quando dovevo correre allasilo. Imparai a intrecciare i capelli a Viola, a calmare Alessia quando piangeva disperata, a convincere Matteo a mangiare qualcosa oltre alla pasta al burro. Smisi di fare gite in moto lontane. Vendetti due delle mie Harley. Costruii personalmente i letti a castello.
Cinque anni. Cinque compleanni. Cinque inverni tra influenze e virus intestinali. Non ero perfetto, ma ero lì. Ogni singolo giorno.
Poi arrivò lui.
Il padre biologico. Non era nei certificati di nascita. Non aveva mai fatto visita a Ginevra durante la gravidanza. Secondo lei, aveva detto che dei gemelli non facevano parte del suo stile di vita.
Ma adesso? Voleva portarli via.
E non era solo. Con sé aveva unassistente sociale di nome Elisa. Appena vide le mie tute macchiate dolio, dichiarò che non ero un ambiente adatto per la crescita a lungo termine di questi bambini.
Non credevo alle mie orecchie.
Elisa ispezionò la nostra piccola casa, pulita ma modesta. Vide i disegni dei bambini attaccati al frigorifero. Le biciclette in cortile. Gli stivaletti alla porta. Sorrideva educatamente, prendendo appunti. Notai che il suo sguardo si fermò un attimo in più sul tatuaggio che ho sul collo.
La cosa peggiore? I bambini non capivano. Alessia si nascose dietro di me. Matteo scoppiò a piangere. Viola chiese: Questo signore sarà il nostro nuovo papà?
Risposi: Nessuno vi porterà via. Dovranno passare sopra il mio corpo.
E ora ludienza è tra una settimana. Ho un avvocato. Bravo. Costosissimo, ma ne vale la pena. La mia officina fa fatica, perché sono solo, ma venderei anche lultimo attrezzo pur di tenere quei bambini.
Non sapevo cosa avrebbe deciso il tribunale.
La notte prima delludienza non riuscivo a dormire. Stavo in cucina, stringendo un disegno di Alessia: io che li tengo per mano davanti alla nostra casetta, con un sole sorridente nellangolo. Uno scarabocchio, ma in quel disegno ero più felice che mai nella mia vita.
La mattina indossai una camicia abbottonata che non mettevo dai funerali di Ginevra. Viola uscì dalla sua stanza e disse: Zio Marco, sembri un prete.
Speriamo che al giudice piacciano i preti, provai a scherzare.
Il tribunale sembrava un altro pianeta. Tutto lucido e beige. LuiFilipposeduto di fronte, impeccabile in un completo costoso, fingendosi un padre premuroso. Aveva persino portato una foto dei bambini in una cornice comprata al supermercato, come se dimostrasse qualcosa.
Elisa lesse la sua relazione. Non mentì, ma non cercò nemmeno di mitigare le sue parole. Parlò di risorse educative limitate, questioni sullo sviluppo emotivo e, ovviamente, mancanza di una struttura familiare tradizionale.
Serravo i pugni sotto il tavolo.
Poi toccò a me.
Raccontai tutto al giudice. Dal momento in cui ricev

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