Lui disse che non ero ‘adatto a fare il padre’ — ma io ho cresciuto questi figli fin dal primo giorno

Era al raduno motociclistico in unaltra parte della regione quando mia sorella Ginevra ha iniziato il travaglio. Mi aveva supplicato di non cancellare il viaggio, diceva che sarebbe andato tutto bene, che aveva ancora tempo.
Ma il tempo è finito prima.
Sono nati tre bellissimi bambini e lei non ce lha fatta.
Ricordo ancora quei minuscoli esserini che si agitavano nella terapia intensiva neonatale. Addosso mi sentivo ancora lodore della benzina e della giacca di pelle. Non avevo un piano, non sapevo cosa fare. Ma li ho guardatiRosa, Gemma e Darioe ho capito che non me ne sarei mai andato.
Ho sostituito le corse notturne con i biberon di mezzanotte. I ragazzi dellofficina mi coprivano per farmi arrivare in tempo allasilo. Ho imparato a fare le trecce a Gemma, a calmare Rosa quando aveva le crisi, a convincere Dario a mangiare qualcosa che non fossero pasta al burro. Ho smesso di fare viaggi lunghi. Ho venduto due moto. Ho costruito a mano i letti a castello.
Cinque anni. Cinque compleanni. Cinque inverni tra influenze e virus intestinali. Non ero perfetto, ma cero. Ogni singolo giorno.
Poi è arrivato lui.
Il padre biologico. Non cera sui certificati di nascita. Non aveva mai visitato Ginevra mentre aspettava i bambini. Secondo lei, aveva detto che dei gemelli non facevano parte del suo stile di vita.
Ma adesso? Voleva portarli via.
E non era solo. Aveva con sé unassistente sociale di nome Lucia. Lei ha dato unocchiata alle mie tute macchiate dolio e ha subito detto che non ero un ambiente adatto per la crescita a lungo termine di quei bambini.
Non credevo alle mie orecchie.
Lucia ha esaminato la nostra casetta piccola ma pulita. Ha visto i disegni dei bambini sul frigorifero. Le bici in cortile. Gli stivaletti alla porta. Sorrideva educatamente, prendeva appunti. Ho notato che il suo sguardo si è fermato un attimo in più sul tatuaggio che ho sul collo.
La cosa peggiore? I bambini non capivano. Rosa si è nascosta dietro di me. Dario ha iniziato a piangere. Gemma ha chiesto: Questo signore sarà il nostro nuovo papà?
Io ho risposto: Nessuno vi porterà via. Dovranno passare sul mio corpo.
E ora ludienza è tra una settimana. Ho un avvocato. Bravo. Costosissimo, ma ne vale la pena. Lofficina sta a malapena in piedi perché faccio tutto da solo, ma venderei anche lultimo cacciavite pur di tenermi i bambini.
Non sapevo cosa avrebbe deciso il tribunale.
La sera prima non riuscivo a dormire. Seduto al tavolo della cucina, tenevo in mano un disegno di Rosaio che li tenevo per mano davanti alla nostra casetta, con un sole e delle nuvole in un angolo. Uno scarabocchio da bambini, ma devo ammettere che in quel disegno sembravo più felice che mai in vita mia.
Quella mattina mi sono messo la camicia abbottonata che non indossavo dal funerale di Ginevra. Gemma è uscita dalla sua stanza e ha detto: Zio Leo, sembri un signore della chiesa.
Speriamo che al giudice piacciano i signori della chiesa, ho cercato di scherzare.
Il tribunale sembrava un altro mondo. Tutto beige e luccicante. Lui, Matteo, seduto di fronte in un costoso completo, fingendo di essere un padre premuroso. Aveva persino portato una foto dei bambini in una cornice del negoziocome se dimostrasse qualcosa.
Lucia ha letto la sua relazione. Non mentiva, ma non cercava neanche di essere gentile. Ha parlato di risorse educative limitate, problemi nello sviluppo emotivo e, ovviamente, della mancanza di una struttura familiare tradizionale.
Ho stretto i pugni sotto il tavolo.
Poi è toccato a me.
Ho raccontato tutto al giudice. Dal momento in cui ho ricevuto la chiamata su Ginevra, a quando Gemma mi ha vomitato sulla schiena durante un viaggio e io non ho nemmeno battuto ciglio. Ho parlato dei ritardi nel linguaggio di Rosa e di come mi fossi trovato un secondo lavoro per pagare il logopedista. Di quando Dario ha imparato a nuotare solo perché gli avevo promesso un panino ogni venerdì se non si arrendeva.
Il giudice mi ha guardato e ha chiesto: Davvero crede di poter continuare a crescere tre bambini da solo?
Ho deglutito. Per un attimo ho pensato di mentire. Poi non lho fatto.
No. Non sempre, ho detto. Ma lo faccio. Ogni giorno, da cinque anni. Non lo faccio perché devo. Lo faccio perché loro sono la mia famiglia.
Matteo si è proteso in avanti, come per dire qualcosa. Ma non ha parlato.
Poi è successo linaspettato.
Gemma ha alzato la mano.
Il giudice sorpreso ha detto: Signorina?
Lei si è alzata sulla panca e ha detto: Zio Leo ci abbraccia ogni mattina. Quando facciamo gli incubi, dorme per terra accanto al nostro letto. Una volta ha venduto la moto per sistemare il riscaldamento. Non so che tipo di papà sia, ma noi ne abbiamo già uno.
Silenzio. Un silenzio di tomba.
Non so se è stato quello a decidere tutto. Forse il giudice aveva già fatto la sua scelta. Ma quando alla fine ha detto: Laffidamento rimane al signor Leonardo Moretti, ho respirato per la prima volta dopo anni.
Matteo non mi ha neanche guardato, uscendo. Lucia mi ha fatto un cenno appena percettibile.
Quella sera ho preparato bruschette al formaggio e minestra di pomodoroil piatto preferito dei bambini. Gemma ballava sul tavolo della cucina. Dario fingeva che il coltello del burro fosse una spada laser. Rosa si è stretta a me e ha sussurrato: Sapevo che avresti vinto.
E in quel momento, tra i piatti sporchi e tutta la stanchezza, mi sono sentito luomo più ricco del mondo.
La famiglia non è questione di sangue. È questione di chi resta. Ancora e ancora. Anche quando è dura.

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Lui disse che non ero ‘adatto a fare il padre’ — ma io ho cresciuto questi figli fin dal primo giorno