La suocera pretende aiuto ogni weekend – finché non le ho detto basta. Non sono una domestica e nessuno deciderà il mio tempo libero.

**Diario di Marco Rossi**

Da quando mi sono sposato, ho sempre cercato di andare daccordo con mia suocera. Per otto anni ho sopportato e fatto buon viso a cattivo gioco. Da quando io e mia moglie abbiamo lasciato la campagna per trasferirci a Milano, mia madre, Giulia Lombardi, ci chiamava ogni settimana con la solita frase: «Venite questo weekend, abbiamo bisogno di aiuto!» A volte per raccogliere le patate, altre per zappare lorto o persino per aiutare la più piccola, Beatrice, a mettere la carta da parati. E ogni volta, ci andavamo. Come burattini.

Ma io non ho più ventanni, e la mia vita non è una passeggiata. Lavoro cinque giorni su sette, cresco due figli, gestisco la casa. Anchio ho diritto a una pausaalmeno una domenica per riprendere fiato.

Per Giulia, però, eravamo manodopera gratis. Al minimo accenno di stanchezza, rispondeva: «E chi lo farà, se non tu?» Va bene. Ma non era mai una vera emergenza. Una volta mi chiese di non andare da lei solo per mandarmi a casa di Beatrice a ridipingere il salotto. Ci andai, come uno sciocco. E indovina? Mentre io mi affannavo con metro e pennello, quella «principessa» di Beatrice se ne stava davanti allo specchio, ammirando la nuova manicure e riscaldando il bollitore per lennesima volta.

Mia moglie vedeva tutto. Non era stupida, capiva che ci approfittavano. Ma non apriva mai boccadopotutto, era sua madre. Così ho continuato a stringere i denti. Fino al giorno in cui

Un sabato, semplicemente smisi di seguirla. Senza drammi. Senza spiegazioni. Rimasi a casa, dicendo di avere altri impegni.

Naturalmente, a Giulia non piacque. Chiese subito a mia moglie perché fossi diventato così «ingrato». Lei mi implorò di andare, «almeno per farle piacere». Ma ne avevo abbastanza di quella farsa.

Avevo trentacinque anni. Il diritto di riposarmi, non di servire chi non muoveva nemmeno un dito. Non vedevo gratitudine né rispetto in loro. Solo pretese.

Quel weekend, finalmente mi occupai della mia casa. Lavai i panni accumulati, cucinai un vero pasto, e la domenica mi concessi un libro, disteso sul divano. Una felicità pura. Fino a quando qualcuno bussò alla porta.

Beatrice.

Senza un saluto, senza la minima cortesia, mi urlò contro: ero egoista, maleducato, un traditore della famiglia. Mi ricordò il mio «dovere»dato che ne facevo parte.

Lascoltai, le augurai una buona giornata e chiusi la porta.

Ma non finì lì. Quella sera stessa, Giulia si presentò a casa mia. Appena entrata, mi accusò di ingratitudine, di disprezzoanche se lei aveva «dato tutto». La guardai, e tutte quelle ore passate a cucinare, pulire, zappare mi tornarono in mente.

E lì, davanti a me, osava fare la morale.

Era troppo.

Senza una parola, aprii la porta e gliela indicai. Scioccata, borbottò qualcosa prima di andarsene. Tornai al mio libro, e per la prima volta dopo anni respirai.

Non era rabbia. Era libertà. La certezza che il mio tempo apparteneva solo a me. E se dovevo qualcosa era a me stesso, e ai miei figli.

Quella notte, mi addormentai col cuore leggero. Finalmente libero.

**Lezione:** A volte dire “basta” non è egoismo, ma rispetto per se stessi.

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La suocera pretende aiuto ogni weekend – finché non le ho detto basta. Non sono una domestica e nessuno deciderà il mio tempo libero.