Le critiche di mia madre per il mio scarso aiuto verso mio fratello malato mi hanno spinto a fuggire dopo la scuola.

Le rimproveri di mia madre per il mio mancato aiuto con mio fratello malato mi hanno spinto a scappare dopo scuola. Mamma mi accusa di non esserle vicina con mio fratello malato, ma appena finite le lezioni, ho preso le mie cose e sono fuggita.

Ginevra è seduta su una panchina nel parco di Milano, osserva le foglie cadere e danzare nel vento fresco dautunno. Il telefono vibra di nuovoun nuovo messaggio di sua madre, Sofia: «Ci hai abbandonato, Ginevra! Matteo sta sempre peggio, e tu vivi la tua vita come se niente fosse!» Ogni parola è un colpo al cuore, ma Ginevra non risponde. Non può. Dentro di lei si mescolano senso di colpa, rabbia e dolore, che la trascinano verso quella casa che ha lasciato cinque anni prima. Allepoca, a diciotto anni, aveva fatto una scelta che aveva diviso la sua vita in un “prima” e un “dopo”. E ora, a ventitré anni, si chiede ancora se avesse ragione.

Ginevra era cresciuta allombra del fratellino, Matteo. Aveva tre anni quando i medici gli diagnosticarono una grave forma di epilessia. Da quel momento, la loro casa si trasformò in una stanza dospedale. La madre, Sofia, si dedicò completamente a lui: medicine, dottori, esami senza fine. Il padre, invece, se ne andò, incapace di sopportare la pressione, lasciando Sofia sola con due figli. Ginevra, che aveva sette anni, diventò invisibile. La sua infanzia svanì tra le continue cure per Matteo. «Ginevra, aiutami con Matteo», «Ginevra, fai meno rumore, non devi agitarlo», «Ginevra, aspetta un attimo, adesso non è il momento». Aveva pazientato, ma ogni anno sentiva i suoi sogni allontanarsi sempre di più.

Da adolescente, Ginevra imparò a essere “pratica”. Cucinava, puliva, badava a Matteo mentre sua madre correva tra gli ospedali. Le amiche del liceo la invitavano a uscire, ma lei rifiutavaa casa avevano sempre bisogno di lei. Sofia la lodava: «Sei la mia roccia, Ginevra», ma quelle parole non la riscaldavano. Ginevra vedeva lo sguardo che sua madre riservava a Matteopieno damore, misto a disperazionee capiva che non avrebbe mai ricevuto quello stesso sguardo. Non era una figlia, ma unassistente, il cui compito era alleviare il peso della famiglia. Nel profondo, amava suo fratello, ma quellamore era intriso di stanchezza e risentimento.

Allultimo anno di liceo, Ginevra si sentiva come unombra. I compagni parlavano di università, di feste, di progetti per il futuro, mentre lei poteva pensare solo alle bollette mediche e alle lacrime di sua madre. Un giorno, tornando da scuola, trovò Sofia in preda alla disperazione: «Matteo ha bisogno di una nuova terapia, e non abbiamo i soldi! Devi aiutarci, Ginevra, cerca un lavoro dopo il diploma!» In quel momento, qualcosa dentro di lei si spezzò. Guardò sua madre, suo fratello, quelle mura che lavevano soffocata per tutta la vita, e capì: se fosse rimasta, sarebbe scomparsa per sempre. Soffriva, ma non poteva più essere quella che si aspettavano da lei.

Dopo il diploma, Ginevra riempì lo zaino. Lasciò un biglietto: «Mamma, vi amo, ma devo andare. Perdonami.» Con cinquecento euro, messi da parte con lavoretti occasionali, comprò un biglietto per Roma. Quella sera, seduta sul treno, pianse, sentendosi una traditrice. Ma nel petto batteva anche qualcosa di nuovola speranza. Voleva vivere, studiare, respirare, senza dover pensare ai corridoi degli ospedali. A Roma, affittò un letto in una residenza universitaria, diventò cameriera, si iscrisse ai corsi serali. Per la prima volta, si sentì una persona, non un ingranaggio.

Sofia non le perdonò. I primi mesi, chiamava, urlava, supplicava: «Sei egoista! Matteo soffre senza di te!» La sua voce feriva Ginevra come una lama. Mandava soldi quando poteva, ma non sarebbe tornata. Con il tempo, le chiamate divennero più rare, ma ogni messaggio traboccava di rimproveri. Ginevra sapeva che Matteo stava male, che sua madre era esausta, ma non poteva più sopportare quel peso. Voleva amare suo fratello come una sorella, non come uninfermiera. Eppure, ogni volta che leggeva le parole di sua madre, si chiedeva: «Se fossi rimasta, chi sarei diventata?»

Oggi, Ginevra vive la sua vita. Ha un lavoro, amici, progetti per la magistrale. Ma il passato la raggiunge. Pensa a Matteo, al suo sorriso nei giorni in cui stava meglio. Ama sua madre, ma non può dimenticare linfanzia rubata. Sofia continua a scrivere, e ogni messaggio è come leco di quella casa da cui è fuggita. Ginevra non sa se un giorno potrà tornare, spiegarsi, riconciliarsi. Ma una cosa è certa: quel giorno, quando il treno lha portata lontano da Milano, si è salvata. E questa verità, per quanto amara, le dà la forza di andare avanti.

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Le critiche di mia madre per il mio scarso aiuto verso mio fratello malato mi hanno spinto a fuggire dopo la scuola.