«Ma davvero sei un uomo sottomesso?!» La suocera è sconvolta nel vedere il figlio preparare la colazione da solo
«Ma che diavolo è questa storia, un uomo in cucina?!» La suocera era scioccata nel scoprire che suo figlio stesse preparando la colazione.
Valentina Rossi era venuta a trovarci per la prima volta in otto anni. Da quando suo figlio, Matteo, e io ci eravamo sposati, non aveva mai messo piede nella nostra casa. Viveva in un paesino vicino a Verona e si muoveva raramente in città letà, la salute e gli impegni della fattoria la trattenevano. Ma questa volta aveva insistito: «Voglio vedere come vivete. Dopotutto, avete una famiglia, un mutuo da pagare Devo assicurarmi che tutto vada bene.»
A dire il vero, ero contenta. In tutti quegli anni, nessuna visita, nemmeno una telefonata per chiedere come stavamo. Speravo che finalmente potessimo rompere il ghiaccio. Labbiamo accolta come si deve: camera pronta, piatti tradizionali, accappatoio morbido e pantofole comode. Abbiamo fatto del nostro meglio, Matteo e io. Tra lavoro e faccende domestiche, non era semplice, ma meritava che ci prendessimo cura di lei.
I primi giorni trascorsero tranquilli, senza drammi. Poi arrivò quel sabato mattina. Mi concessi un po di sonno in più, esausta dopo una settimana di duro lavoro. Matteo, invece, si era alzato prima. Era così, premuroso, sempre pronto a trovare piccoli gesti per farmi felice. Quel giorno, aveva deciso di prepararci una colazione a sorpresa, per me e sua madre.
Mezza addormentata, sentivo i rumori della cucina la padella che sfrigolava, la macchina del caffè che ronzava, lodore delle fette biscottate imburrate. Sorridevo, con il cuore leggero. Il mio uomo. Il mio Matteo così attento. Ma quella dolce quiete durò solo un attimo. Fino a quando Valentina non entrò in cucina.
La sua voce trapassò la porta:
«Ma che stai facendo, figlio mio? Davanti ai fornelli? Con un grembiule?!»
«Mamma, stavo solo preparando la colazione. Devi essere stanca dal viaggio. E Sofia dorme ancora lasciala riposare. Comunque, mi piace cucinare, lo sai»
«Togliti subito quella cosa! Un uomo in cucina, che vergogna! Non è per questo che ti ho cresciuto! Tuo padre non ha mai lavato un piatto in vita sua, e tu qui a fare le frittate come una sguattera! E Sofia, poi, perché sta ancora a letto? È compito suo! Sei completamente sotto il suo controllo, è patetico da vedere!»
Rimasi sotto le coperte, stringendo i pugni, divisa tra la voglia di ridere e quella di intervenire. Le sue parole mi disgustavano. Provavo vergogna per Matteo, pena per me stessa e paura che quella visita lasciasse cicatrici irrimediabili tra noi.
Uscii proprio mentre cominciava a soffocare dallindignazione. Matteo teneva ancora la spatola in mano, mentre la frittata si carbonizzava lentamente sul fuoco. Quanto a Valentina, tremava di rabbia, borbottando qualcosa sulla decadenza, lirresponsabilità e «un uomo devessere un uomo».
Preparai in fretta una tisana rilassante senza quella, avremmo rischiato un infarto in diretta. Mi sedetti accanto a lei, le presi la mano e cercai di spiegarle con calma:
«Da noi le cose funzionano diversamente. Siamo una squadra. Io cucino, pulisco, lavoro. Ma Matteo mi aiuta anche. Cucina perché gli piace. Perché si prende cura di noi. È davvero così grave?»
Ma lei non ascoltava. Il suo volto era chiuso, lo sguardo pieno di giudizio. Non disse nulla, ma la sua espressione parlava per lei: «Hai trasformato mio figlio in uno smidollato.» E quando se ne andò, qualche giorno dopo, senza nemmeno abbracciarci, capii che non avrebbe mai accettato il nostro modo di vivere.
Più tardi, Matteo mi confessò che aveva chiamato suo padre per lamentarsi: «Il nostro ragazzo è diventato lo schiavo di sua moglie, poverino, non può nemmeno dormire in piedi allalba davanti alle pentole.» E io, pensai: che tristezza crescere un uomo facendogli credere che prendersi cura degli altri sia una debolezza. Che lamore sia una vergogna.
Non sono arrabbiata. Solo addolorata. Per lei, che ha vissuto una vita in cui la cucina era una prigione. Per lui, che ha dovuto lottare per il diritto di essere un buon marito. E per me, perché avevo sperato tanto che saremmo diventate più vicine.
Ma almeno so una cosa: il mio uomo non è un «debole». È qualcuno che ama. E se questo non piace a tutti pazienza per loro. Alla fine, la vera forza sta nel saper amare senza vergogna.





