Sei solo una PAR-AS-SI-TA! — urlava la suocera schiumando di rabbia, ignara di chi realmente abitasse nella mia casa

“Sei solo una PA-RA-SSI-TA!” sbraitava la suocera, senza sapere che in realtà viveva nella mia casa.
In via Garibaldi, nel cuore della pittoresca città di Montebelluna, tra modeste casette a un piano e orti ben curati, svettava un elegante villino a due piani con colonne bianche, un portico sontuoso e un giardino rigoglioso, come uscito dalla copertina di una rivista di vita campestre. Quella casa non era solo un’abitazione era il simbolo della tenacia, del lavoro e dell’orgoglio di Luisa De Luca, una donna di sessantadue anni con i capelli grigi raccolti in una crocchia severa e occhi che brillavano di un fuoco interiore, retaggio di vittorie passate. Ex direttrice di un asilo, veterana del lavoro, donna di impeccabile reputazione, aveva costruito quella casa negli anni Novanta un’epoca in cui ogni mattone era stato sudato, ogni euro strappato con fatica. E ora, osservando le tende perfettamente stese in salotto, sentiva il cuore riempirsi di calore. Quella casa era la sua vita, il suo traguardo, la sua fortezza.
“Anna!” la sua voce squillante, un po’ tagliente, fece tremare i vetri delle finestre. “Marco sta per tornare! Non far aspettare tuo marito a digiuno! La cena dev’essere pronta!”
Dalla cucina arrivò un’eco flebile, quasi un sussurro:
“Sì, Luisa.”
Anna, una donna di trentacinque anni dai lineamenti delicati e occhi stanchi, era davanti ai fornelli, mescolando una densa minestra di verdure che riempiva la casa di aromi contadini rosmarino, aglio, manzo stufato. Era la moglie di Marco da cinque anni, eppure si sentiva ancora un’estranea in quella casa, dove ogni parola della suocera suonava come una condanna e ogni gesto come un esame di idoneità.
“E poi,” la voce risuonò alle sue spalle. Luisa entrò in cucina come un generale sul campo di battaglia “quando finalmente troverai un lavoro decente? Stai qui come una parente povera, nella casa di mio figlio, mangi il mio cibo, usi le mie comodità. E Marco? Lui si spacca la schiena in fabbrica ogni giorno, e tu? Che cosa dai alla famiglia, oltre a pentole di minestra?”
Anna tacque. Le mani le tremavano, ma non alzò lo sguardo. Quattro anni prima aveva perso il lavoro di contabile nella filiale locale di una banca l’azienda aveva chiuso, come tante altre in quella provincia. Da allora cercava qualcosa di adatto, ma a Montebelluna, dove la popolazione superava di poco i ventimila abitanti, non c’erano offerte. E quando apparivano, pagavano al massimo mille euro al mese. Come si poteva vivere con quello?
“Luisa, sto cercando…” cominciò a dire piano.
“Non stai cercando un bel niente!” la interruppe la suocera. “Ti fa comodo! Vivi nella mia casa, mangi il mio cibo, mio figlio ti mantiene. Una vera sanguisuga! Una parassita che si è attaccata alla nostra famiglia!”
In quel momento la porta si spalancò. Entrò Marco un uomo di trentasette anni, spalle larghe, vestito da lavoro, con la stanchezza negli occhi e un sorriso sulle labbra. Operaio specializzato in una fabbrica di materiali edili, tornava a casa ogni giorno con il rumore dei macchinari nelle orecchie e la polvere tra i capelli. Vedendo la scena tesa, sospirò:
“Mamma, di nuovo? Stai dando fastidio ad Anna?”
“E che ho detto? La verità!” sbottò Luisa. “Da quattro anni questa donna vive del nostro sudore! Mio figlio lavora come un mulo, e lei? Come una sanguisuga, ci succhia le energie!”
Marco guardò la moglie. Anna era immobile, la testa bassa, come schiacciata dal peso di quelle parole. Lui sapeva che non era pigra. Sapeva che teneva la casa in ordine, cucinava, si prendeva cura di lui. Ma non sapeva che dietro quel silenzio si nascondeva un intero mondo.
Perché Anna non se ne stava semplicemente “a casa”. Ogni notte, quando tutti dormivano, accendeva il portatile, si metteva le cuffie e si immergeva in un flusso digitale: bilanci, dichiarazioni dei redditi, consulenze per imprenditori di Treviso, Bassano, persino di Venezia. In due anni si era creata una reputazione “Anna Contabile Montebelluna”, silenziosa ma affidabile, con una precisione impeccabile. Guadagnava tra i duemila e i quattromila euro netti al mese. A volte anche di più.
Ma la cosa più importante sei mesi prima aveva fatto qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato.
“Mamma, ceniamo in pace, per favore,” disse Marco, sedendosi stanco a tavola.
A cena, Luisa non la smetteva:
“La nuora di Maria Rossi, quella sì che è in gamba! Lavora in comune, stipendio di tremila euro, e questa…” fece un cenno sprezzante verso Anna “sa solo spendere i soldi di mio figlio.”
“Non spendo solo i vostri soldi,” disse Anna, piano ma ferma.
“E cos’altro sai fare?” sbuffò la suocera. “A parte stare sulle spalle degli altri?”
“Luisa, ricordi quando sei mesi fa la casa è stata messa all’asta?”
La donna si bloccò:
“Quale asta? Di che parli?”
“Dagli ufficiali giudiziari. Per i debiti del mutuo. Prezzo base: quattrocentomila euro. Ti ricordi? Era un incubo. Piangevi la notte. Poi è arrivato un acquirente un ‘buon samaritano’ che ti ha permesso di restare, chiedendo un affitto simbolico…”
“Sì, mi ricordo…” sussurrò Luisa. “Un miracolo. Una persona buona…”
“Sai chi è quella persona?” chiese Anna, alzandosi e avvicinandosi all’armadio.
Tirò fuori una cartella spessa di documenti, la posò sul tavolo. Tutti trattennero il fiato.
“Sono io,” disse. “Ho comprato questa casa.”
Silenzio. Spesso, come la minestra nella pentola. Marco lasciò cadere il cucchiaio. Luisa impallidì.
“Cosa? Tu? Ma come? Con quali soldi?”
“Ho venduto l’appartamento di nonna a Treviso. I miei genitori mi hanno prestato qualcosa. E ho aggiunto i miei risparmi del lavoro notturno che non sapevate.”
“Quale lavoro notturno?” chiese Marco, la voce roca.
“Mentre dormivate, lavoravo. Tenevo la contabilità per decine di imprenditori. In remoto. Guadagnavo più di te.”
“Cosa?” Marco la fissò come se fosse un alieno.
“Sì. A volte il doppio. Ma ho taciuto. Per non ferirvi. Soffrivate così tanto per i debiti… Se avessi detto: ‘Ho comprato la casa’, non mi avreste creduto. O avreste pensato che scherzavo.”
“Quindi… questa casa… ora è tua?” mormorò Luisa.
“Sì. L’atto è a mio nome. Ma non avevo intenzione di cacciarvi. Questa casa è la tua vita. I tuoi ricordi. Volevo solo evitare che la perdessi.”
“Ma paghiamo l’affitto…” cominciò Marco.
“A me. Cinquecento euro al mese solo per non farvi sentire in debito. Bastano per le bollette.”
Luisa si portò una mano al cuore:
“Quindi… vivo nella casa di mia nuora… e le pago per questo?”
“Sì. Ma non volevo dirvelo. Volevo che pensaste che vi aveva aiutato un buon samaritano.”
“All

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

three × 4 =

Sei solo una PAR-AS-SI-TA! — urlava la suocera schiumando di rabbia, ignara di chi realmente abitasse nella mia casa