Dove la luce non arriva

Dove la luce non arriva
Nel inverno più rigido, nel cuore ghiacciato e affamato del ghetto di Bologna, una giovane madre ebrea prese una decisione che avrebbe segnato per sempre il destino di suo figlio. La fame era una presenza costante. Le strade odoravano di malattia e paura. Le deportazioni erano puntualiogni treno, un biglietto senza ritorno. Le mura si stringevano.
Eppure, in quelloscurità soffocante, trovò unultima fessurauna via duscita, non per sé, ma per il suo bambino appena nato.
I. Il freddo e la paura
Il vento tagliava come lame mentre la neve cadeva, coprendo di bianco macerie e corpi. Sofia guardò dalla finestra rotta della sua stanza, stringendo al petto il piccolo. Il bambino, Matteo, aveva appena pochi mesi e aveva già imparato a non piangere. Nel ghetto, un singhiozzo poteva significare la morte.
Sofia ricordava tempi migliori: le risate dei suoi genitori, il profumo del pane appena sfornato, la musica del sabato. Tutto svanito, sostituito da fame, malattia e la paura costante degli stivali che risuonavano di notte.
Le notizie correvano di bocca in bocca: un nuovo rastrellamento, una nuova lista di nomi. Nessuno sapeva quando sarebbe toccato a lei. Sofia aveva perso suo marito, Luca, mesi prima. Lo presero in una delle prime deportazioni. Da allora, sopravviveva solo per Matteo.
Il ghetto era una trappola. Le mura, prima innalzate per “proteggere”, ora erano sbarre. Ogni giorno, il pane era più scarso, lacqua più sporca, la speranza più lontana. Sofia condivideva una stanza con altre tre donne e i loro figli. Tutte sapevano che la fine era vicina.
Una notte, mentre il freddo faceva scricchiolare i vetri, Sofia udì un sussurro nel buio. Era Elena, la sua vicina, con gli occhi scavati dal pianto.
Ci sono degli uominidisse a bassa voce. Lavorano nelle fogne. Aiutano a far uscire le famiglie a un prezzo.
Sofia sentì una scintilla di speranza e terrore. Era possibile? E se fosse una trappola? Ma non aveva nulla da perdere. Il giorno dopo, cercò quegli uomini.
II. Laccordo
Lincontro avvenne in una cantina umida, sotto la bottega di un calzolaio. Tra lodore di cuoio e muffa, Sofia conobbe Marco e Antonio, due operai delle fogne. Uomini duri, volti segnati dal lavoro e dal rimorso.
Non possiamo portare via tuttiavvertì Marco, la voce rauca. Ci sono pattuglie. Occhi ovunque.
Solo mio figliosussurrò Sofia. Non chiedo niente per me. Solo salvatelo.
Antonio la guardò con pietà.
Un neonato? Il rischio è grande.
Lo so. Ma se resta, morirà.
Marco annuì. Avevano aiutato altri prima, mai un bambino così piccolo. Concordarono il piano: una notte, durante il cambio della guardia, Sofia avrebbe portato Matteo al punto dincontro. Lo avrebbero calato in un pozzo, nascosto in un secchio di metallo, avvolto in coperte.
Sofia tornò al ghetto con il cuore stretto. Quella notte, non dormì. Guardò il suo bambino, così piccolo, così fragile, e pianse in silenzio. Sarebbe stata capace di lasciarlo andare?
III. Laddio
La notte scelta arrivò con un gelo che faceva scricchiolare la pietra. Sofia avvolse Matteo nella sua sciarpa più caldalultimo ricordo di sua madree lo baciò sulla fronte.
Cresci dove io non possosussurrò, con la voce spezzata.
Camminò per strade deserte, evitando ombre e soldati. Al punto dincontro, Marco e Antonio laspettavano. Senza parole, Marco sollevò il coperchio di un tombino. Il fetore era insopportabile, ma Sofia non esitò.
Pose Matteo nel secchio, assicurandosi che fosse ben avvolto. Le sue mani tremavano, non per il freddo, ma per il peso di ciò che stava per fare. Si chinò, avvicinando le labbra allorecchio del figlio.
Ti amo. Non dimenticarlo mai.
Antonio calò il secchio lentamente. Sofia trattenne il fiato finché non scomparve nelloscurità. Non pianse. Non poteva. Se avesse pianto, non sarebbe riuscita a restare.
Non seguì suo figlio. Non poteva. Rimase, accettando il destino che lattendeva, sapendo che almeno Matteo aveva una possibilità.
IV. Sottoterra
Il secchio scese nelloscurità. Matteo non pianse, come se intuisse la gravità del momento. Antonio lo accolse con mani ferme e lo strinse al petto, proteggendolo dal freddo e dalla paura.
Le fogne erano un labirinto di ombre e fetore. Antonio avanzò al buio, guidato solo dalla memoria e dallistinto. Ogni passo era un rischio: pattuglie tedesche, traditori, il pericolo di perdersi per sempre.
Marco li raggiunse più avanti. Insieme, procedettero per tunnel senza fine. Lacqua gelida arrivava alle ginocchia. Leco dei loro passi era lunico suono, oltre al battito accelerato dei loro cuori.
Finalmente, dopo ore di cammino, raggiunsero unuscita nascosta, oltre le mura del ghetto. Lì, una famiglia li aspettava. Era il primo anello di una rete di resistenza.
Prenditi cura di luisussurrò Antonio, porgendo Matteo avvolto nella sciarpa. Sua madre non è potuta uscire.
La donna, Giulia, annuì con gli occhi lucidi. Da quel momento, Matteo fu anche suo figlio.
V. La vita in prestito
Matteo crebbe nella clandestinità. Giulia e suo marito, Roberto, lo allevarono come loro, sebbene sapessero che il pericolo non sarebbe mai svanito. Lo chiamarono Davide, per proteggerlo. La sciarpa della madre biologica fu la sua unica eredità, custodita come un tesoro.
La guerra continuò, implacabile. Notti di bombardamenti, giorni di fame, mesi di paura. Ma anche momenti di tenerezza: una ninna nanna, il profumo del pane, il calore di un abbracio.
Davide imparò a leggere con i libri che Roberto recuperava da case abbandonate. Giulia gli insegnò a pregare in silenzio, a non alzare la voce, a nascondersi al rumore di passi sospetti.
Passarono gli anni. La fine della guerra arrivò come un sospiro di sollievo e dolore. Molti non tornarono. I nomi dei scomparsi fluttuavano nellaria, come fantasmi senza tomba.
Quando Davide compì dieci anni, Giulia gli disse la verità.
Non sei nato qui, figlio. Tua madre era una donna coraggiosa. Ti ha salvato donandoti a noi.
Davide pianse per una madre che non ricordava, per un passato che poteva solo immaginare. Ma nel cuore, seppe che lamore di Giulia e Roberto era vero come quello di quella donna che lo aveva lasciato andare.
VI. Radici nellombra
Il dopoguerra portò nuove sfide. Lantisemitismo non svanì con loccupazione tedesca. Giulia e Roberto protessero Davide da pettegolezzi, sguardi, domande pericolose.
La sciarpa di sua madre divenne il suo talismano. A volte, la tirava fuori di nascosto, accarezzando la stoffa consumata, immaginando il volto della donna che lo aveva avvolto.
Davide studiò,

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