— Ti supplico, figliola mia, abbi pietà di me, sono già tre giorni che non mangio nemmeno un pezzetto di pane e non mi resta più un soldo — implorava la vecchietta alla venditrice.

**Diario di Luca**

“Ti prego, piccola, abbi pietà di me. Sono tre giorni che non mangio neanche un pezzetto di pane, e non ho più un soldo,” supplicava la vecchietta alla panettiera.

Un vento sottile d’inverno penetrava fino alle ossa, avvolgendo le vecchie strade di Roma, come se volesse ricordare i tempi in cui c’erano ancora persone con cuori caldi e sguardi sinceri.

Tra i muri grigi e le insegne sbiadite c’era una donna anziana, il viso solcato da rughe fini, come se ogni linea raccontasse una storia diversa: dolore, resistenza, speranze perdute. Stringeva tra le mani una borsa logora piena di bottiglie vuote, gli ultimi frammenti di una vita passata. Gli occhi le luccicavano, e le lacrime le scendevano lente sulle guance, senza fretta di asciugarsi nell’aria gelida.

“Ti prego, figlia mia” sussurrò con voce tremante, come una foglia al vento. “Tre giorni senza pane. Non ho neppure un euro neanche un centesimo per comprarne un pezzetto.”

Le sue parole rimasero sospese nell’aria, ma dietro il vetro del bancone, la panettiera scosse la testa con indifferenza. Il suo sguardo era freddo, scolpito nel ghiaccio.

“E allora?” rispose irritata. “Qui è una panetteria, non un centro di raccolta. Non sai leggere? Sul cartello c’è scritto chiaramente: le bottiglie si portano al centro riciclo, lì ti danno i soldi per il pane, per mangiare, per vivere. Cosa vuoi che faccia io?”

La vecchietta si confuse. Non sapeva che il centro chiudeva a mezzogiorno. Era arrivata tardi. Troppo tardi per quella piccola possibilità che avrebbe potuto salvarla dalla fame. Una volta non le sarebbe mai passato per la mente raccogliere bottiglie. Era stata un’insegnante, una donna colta, con dignità e un orgoglio che non aveva perso neanche nei giorni più duri. Ma ora ora era lì, davanti a un banco, come una mendicante, con l’amaro sapore della vergogna che le riempiva l’anima.

“Sentì” disse la panettiera, ammorbidendo un po’ il tono, “dovresti dormire meno. Domani, se porti le bottiglie presto, vieni, e ti darò da mangiare.”

“Piccola,” implorò la donna, “dammi almeno un quarto di rosetta te lo pagherò domani. Mi sento svenire non ce la faccio più.”

Ma negli occhi della panettiera non c’era neppure una scintilla di pietà.

“No,” tagliò corto. “Non faccio la carità. Io stessa arrivo a malapena a fine mese. Ogni giorno viene gente a chiedere, e non posso sfamare tutti. Non mi intralciare, c’è la fila.”

Vicino, c’era un uomo con un cappotto scuro, perso nei suoi pensieri. Sembrava distante, come se vivesse in un altro mondo: quello delle preoccupazioni, delle decisioni, del futuro. La panettiera cambiò tono all’istante, come se davanti a lei fosse apparso non un cliente qualunque, ma un ospite importante.

“Buongiorno, signor Marchetti!” esclamò cordiale. “Oggi è arrivato il suo pane preferito, con noci e frutta secca. E i biscottifreschi, con albicocca. Quelli alla ciliegia sono di ieri, ma sono ancora buoni.”

“Buongiorno,” rispose distratto l’uomo. “Mi dia il pane con noci e sei biscotti alla ciliegia.”

“Con albicocca?” chiese lei con un sorriso.

“Non importa,” mormorò. “Con albicocca, se preferisce.”

Tirò fuori un portafoglio spesso, estrasse una banconota e gliela diede in silenzio. In quel momento, il suo sguardo si posò per caso su un lato e si fermò. Vide la vecchietta nell’ombra del banco. Quel viso gli sembrava familiare. Molto familiare. Ma la memoria si rifiutava ostinatamente di restituirgli i ricordi. Solo un dettaglio brillò nella sua mente: una spilla antica a forma di fiore, attaccata al suo cappotto logoro. C’era qualcosa di speciale qualcosa che gli parlava di casa.

L’uomo salì sulla sua macchina nera, posò la busta con la spesa sul sedile e partì. Il suo ufficio era vicino, alla periferia della città, in un edificio moderno ma modesto. Non amava l’ostentazione. Luca Marchetti, proprietario di una grande catena di elettrodomestici, aveva iniziato dal nulla, nei primi anni ’90, quando l’Italia era sull’orlo del caos e ogni lira si guadagnava col sudore della fronte. Grazie alla sua volontà ferrea, all’intelligenza e a una capacità di lavoro incredibile, aveva costruito un impero senza contatti né protezioni.

La sua casauna bella villetta in periferiaera piena di vita. Ci vivevano la moglie Giulia, i due figli, Matteo e Davide, e presto sarebbe nata la tanto attesa bambina. Fu proprio la chiamata di Giulia a strapparlo ai suoi pensieri.

“Luca,” disse lei con voce preoccupata, “hanno chiamato dalla scuola. Matteo ha litigato di nuovo.”

“Amore, non so se posso” sospirò lui. “Ho una trattativa importante con un fornitore. Senza quel contratto, rischiamo di perdere milioni.”

“Ma è difficile andarci da sola,” sussurrò lei. “Sono incinta, sono stanca. Non voglio andarci da sola.”

“Non andare,” rispose subito. “Prometto che troverò un momento. E Matteo avrà una bella ramanzina se non inizia a comportarsi.”

“Non sei mai a casa,” disse lei con tristezza. “Arrivi quando i bambini dormono, te ne vai quando sono ancora a letto. Mi preoccupo per te. Non riposi mai.”

“È il lavoro,” rispose, sentendo una fitta di colpa. “Ma è tutto per la famiglia. Per te, per i bambini, per la nostra piccola che sta per arrivare.”

“Perdonami,” sussurrò lei. “Ho solo bisogno di te.”

Luca passò tutta la giornata in ufficio, e poi anche il pomeriggio. Quando tornò a casa, i bambini dormivano e Giulia lo aspettava in salotto. Si scusò per le sue parole, ma lui scosse la testa.

“Hai ragione,” disse piano. “Lavoro troppo.”

Gli propose di riscaldare la cena, ma Luca rifiutò.

“Ho già mangiato in ufficio. Ho portato i biscotti all’albicocca, da quella panetteria. Sono squisiti. E anche il pane con le noci”

“Non ci è piaciuto,” commentò Giulia. “I bambini non l’hanno nemmeno finito.”

Luca rimase pensieroso. Nella sua mente apparve l’immagine della vecchietta. C’era qualcosa in lei qualcosa di profondamente familiare. Non solo il viso, ma il portamento, lo sguardo, la spilla E all’improvviso, come un lampo, tornò la memoria.

“Potrebbe essere lei?” sussurrò. “Maria Antonietta?”

Il cuore gli si strinse. Ricordò tutto. La scuola, l’aula, i suoi occhi severi ma buoni. Ricordò come gli insegnava matematica, spiegando ogni problema con pazienza. Ricordò quando lui, un bambino di famiglia umile, viveva con la nonna in un piccolo appartamento dove a volte non c’era neppure il pane. E lei lei lo notava. Non lo faceva sentire umiliato. Inventò un “lavoro” per lui: aiutare in casa, piantare fiori, riparare la recinzione

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