« Ho trovato una bambina sul molo di Portofino dopo una tempesta, senza memoria, e l’ho cresciuta come mia figlia. Quindici anni dopo, un veliero è apparso all’orizzonte con sua madre a bordo. »

Il vento salato danzava tra i capelli di Ginevra mentre socchiudeva gli occhi al sole, sfiorando la tela con un colore indaco. Lazzurro si fondeva nel viola, come il tramonto sul mare di Portofinouna luce sfuggente, impossibile da afferrare.

A ventanni, il mare restava per lei un enigmauna voce che la chiamava, un ricordo senza forma.

Silvia le si avvicinò alle spalle, posando il mento sulla sua spalla, respirando lodore della pittura e della salsedine. Sapeva di limoni e di casa.

“È troppo cupo,” mormorò, senza rimprovero, solo con carezza. “Il mare oggi è calmo.”

Ginevra sorrise senza staccare gli occhi dalla tela.

“Non sto dipingendo il mare. Sto dipingendo il suono che aveva nei miei sogni.”

Silvia le accarezzò i capelli. Quindici anni prima, lei e Adriano avevano trovato una bambina sul molo di Viareggiobagnata, smarrita, con occhi come il cielo prima della tempesta. Non ricordava il suo nome, né da dove venisse. Lavevano chiamata Ginevra, e quel nome era diventato la sua anima.

Avevano aspettato. Settimane, mesi. Annunci sui giornali, domande alla polizia. Nessuno cercava una bambina dai capelli doro e gli occhi di tempesta.

Era come se il mare lavesse donata a loro.

“Tuo padre è tornato con le triglie,” disse Silvia, indicando la casa. “Dice che i pesci saltavano da soli nella rete.”

Adriano rideva vicino alla griglia, la sua allegria riempiva il cortile. Amava Ginevranon come una figlia, ma come un tesoro restituito dal mare.

La loro vita scorreva lenta, come il fiume Serchio destate. Giorni tra i gerani, cene sotto le stelle. Inverni davanti al camino, mentre Ginevra leggeva storie di mondi lontani.

A volte litigavanoper un ragazzo del paese, per i soldi nascosti da Silvia per lAccademia di Belle Arti. Adriano voleva che restasse, Silvia sognava di vederla volare.

Ma tutto si placava a tavola, tra il profumo dellaglio e del basilico.

Ginevra posò il pennello e si voltò.

“Mamma ti sei mai pentita?”

Silvia la guardò a lungo. Nei suoi occhi cera ancora la paura di quel giornoe un amore senza fine.

“Neanche un attimo, cuore mio. Neanche uno.”

La strinse forte, sentendo lodore della vernice e del sale. Per un istante, tutto le sembrò fragile come un quadroe si sentì pronta a difenderlo da ogni tempesta.

Lidea del concorso “Talenti della Toscana” venne ad Adriano. Batté il dito sul giornale:

“Ecco, Ginevra. Mostragli chi sei.”

Allinizio, rifiutò. Esporre i suoi sentimenti era come svelarsi nuda. Ma Silvia la guardò con speranza.

“Prova. Per noi.”

E Ginevra cedette.

Non uscì dallatelier per una settimana. Poi, a notte fonda, lispirazione arrivò.

Non avrebbe dipinto ciò che vedeva. Avrebbe dipinto ciò che sentiva.

Due paia di mani. Quelle ruvide di Adriano che reggevano una conchiglia. E quelle di Silvia, a proteggerla.

Lo chiamò “Il Nido”.

Vinse.

Il giornale pubblicò la sua fototimida, raggianteaccanto al quadro. Parlavano del suo talento, e della storia della bambina trovata sulla spiaggia, adottata da un pescatore.

Il paese festeggiò.

Poi, cose strane. Unauto nera che passava lentamente. Occhi che la osservavano mentre dipingeva. Una sera, trovò Silvia sul porticopallida, con una busta senza nome.

“È per te.”

Dentro, una lettera profumata di gelsomino:

“Ciao. Ti chiamavi Anastasia. Io sono tua madre. Mi chiamo Beatrice.”

Ginevra rileggeva le parole, il cuore stretto. Alzò gli occhi verso Silvia e vide lo stesso terrore.

La lettera raccontava uno yacht, una tempesta, un trauma. Anastasia era scomparsa. Le ricerche erano durate annifino allarticolo sul concorso.

“Non voglio strapparti via. Solo vederti. Ti aspetterò tra tre giorni, sul molo.”

Quando Adriano tornò, trovò due donne mute e la lettera a terra.

“Nessuno va da nessuna parte!” urlò. “Quindici anni! E ora che hai talento, si ricorda? Vuole i tuoi quadri?”

“Adriano, basta,” disse Silvia, ma il cuore le batteva forte.

“Andrò,” disse Ginevra, ferma. “Devo.”

Il giorno fissato, camminarono verso il molo. Uno yacht attraccò. Ne scese una donnaalta, elegante, gli occhi uguali a quelli di Ginevra.

“Nastya” sussurrò.

Ginevra restò immobile. Sentì la mano di Adriano sulla spalla, quella di Silvia sulla schiena.

“Buongiorno. Mi chiamo Ginevra.”

Parlarono a fatica. Beatrice mostrò foto: un padre sorridente, una bimba in braccio. Un mondo perduto.

“Non ti chiedo di venire con me. Solo di saperti viva. Di aiutarti se vuoi.”

Adriano serrò i pugni.

“Non ha bisogno dei tuoi soldi! Ha una casa!”

“Papà, ti prego.”

Ginevra guardò Beatrice. Due nomi. Due madri.

“Ho bisogno di tempo.”

Beatrice annuì, con le lacrime.

“Ti aspetterò.”

Le settimane furono piene di silenzi. Ginevra non dipingeva più. Adriano camminava come un temporale. Silvia teneva insieme i pezzi.

Poi, Ginevra chiamò.

Si incontrarono in un bar del porto. Parlarono del naufragio, degli anni persi. Per la prima volta, Ginevra non vide una stranierama una donna ferita.

Poi, il dialogo con Silvia e Adriano.

“Voglio conoscerla. Non vi amo meno. Voi siete la mia famiglia. Ma lei è il mio passato.”

Fu linizio.

Beatrice affittò una casa vicino. Non per ostentare, ma per esserci.

I primi mesi furono duri. Poi, sorpresa: conquistò Adriano parlando di mare, di pesca. Silvia aprì il cuore.

Beatrice non sostituì mai Silvia. Divenne unamica. Una custode di ricordi.

Pagò lAccademia, accompagnò Ginevra alle mostre. Le restituì pezzi del passato.

Un anno dopo, Ginevra dipinse un nuovo quadro: il molo, due barcheuna vecchia, una nuova. Tre donne che si tenevano per mano.

Titolo: “Radici”.

Sette anni dopo. Una galleria a Firenze. Ginevra, ormai famosa, presentava “Il Nido e lOceano”una mostra sulla perdita e sul ritrovarsi.

Sorrideva, ma i suoi occhi cercavano tre persone in fondo.

Adriano, con una giacca stretta, guardava i quadri come fossero lanima di sua figlia.

Silvia, tranquilla, la osservava con orgoglio.

E Beatricestanca, ma felice. Era diventata famiglia.

Il quadro centrale mostrava tre donne e un uomo, sul molo.

“Tuo padre sarebbe fiero, Nastya,” mormorò Beatrice.

Quel nome non fece più male.

Ginevra prese Silvia e Beatrice per il braccio. Adriano li avvolse nelle sue maniquelle che lavevano sollevata dalla sabbia.

Erano una famiglia. Non perfetta. Un

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